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Amazzonia, la vittoria degli Indios

E’ stata una grande vittoria per gli indigeni Munduruku: la gigantesca diga idroelettrica di São Luiz do Tapajós, che avrebbe stravolto per sempre il cuore dell’Amazzonia brasiliana non sarà costruita. L’Istituto Brasiliano delle Risorse Naturali Rinnovabili e Ambientali (IBAMA) ha deciso l’annullamento della licenza di costruzione del mega-progetto.

La diga,con un bacino di 729 chilometri quadri , avrebbe sommerso un’ampia parte di foresta pluviale portando alla deforestazione di un’area di 2.200 chilometri quadri, minacciando l’esistenza e la sopravvivenza della popolazione

“Noi, gli indigeni Munduruku, siamo molto felici. Questo risultato è molto importante per noi. Ora continueremo a combattere contro le altre dighe che minacciano il nostro fiume”, ha detto Arnaldo Kaba Munduruku, (nella foto Reuters) rappresentante generale del popolo Munduruku.

amazzonia-arnaldo-kaba

Grande soddisfazione anche di Greenpeace. Negli ultimi mesi, più di un milione e duecentomila persone in tutto il mondo hanno voluto sostenere la lotta degli indigeni Munduruku per dire no alla diga di São Luiz do Tapajós, chiedendo a multinazionali come Siemens di prendere le distanze dal progetto e di seguire l’esempio di ENEL che ha confermato a Greenpeace di voler abbandonare questo pericoloso progetto.

Ora la lotta continua. Sono altri 42 i progetti idroelettrici previsti per il bacino del fiume Tapajós e centinaia per l’ Amazzonia, come parte di un modello di sviluppo economico aggressivo che non riconosce l’importanza di preservare le foreste.

Le dighe finora costruire in Amazzonia hanno avuto impatti pesantemente negativi sulle comunità indigene, l’ambiente e sono state implicate in scandali di corruzione.

Marina Borghi di Green Peace Italia, Campagna Foreste commenta: “Questa è una grande vittoria per gli indigeni Munduruku, che vivono nella regione Tapajós da generazioni e le cui tradizioni e diritti erano profondamente minacciati dalla diga. È una grande vittoria anche per tutti coloro che hanno a cuore il futuro della Foresta Amazzonica e dei suoi abitanti, umani e non, e che hanno voluto sostenere i Munduruku in questa battaglia”.

Ora Greenpeace chiede al governo brasiliano di completare immediatamente la demarcazione ufficiale del territorio dei Munduruku e di scegliere un modello di sviluppo basato sull’efficienza energetica e l’impiego di energia veramente sostenibile, come quella solare ed eolica.

Green Peace chiede inoltre a Siemens e tutte le altre aziende che avevano mostrato interesse a partecipare al mega-progetto di São Luiz do Tapajós di impegnarsi in favore della protezione dell’Amazzonia e di promuovere progetti lungimiranti, capaci di portare benefici all’ambiente e ai Paesi che li accolgono, invece di minacciarli.

Greenpeace activists protest in front of Siemens building in Milan against the company's plans to get involved in the a new mega dam project at the Tapajos River in the Amazon. Blitz di Greenpeace questa mattina presso una sede di Siemens Italia, a Milano, per chiedere all’azienda di non partecipare alla costruzione di una mega diga idroelettrica nella foresta amazzonica. Degli attivisti sono saliti sul tetto dell’edificio vestiti da animali e alberi della foresta, mentre altri hanno suonato strumenti a percussione per far ascoltare a Siemens e ai suoi dipendenti, il battito del cuore dell’ Amazzonia.

  • Autore articolo
    Piero Bosio
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    Gran Bretagna e Germania, i grandi malati d'Europa. Il primo ministro britannico Starmer e il cancelliere tedesco Merz sono entrambi proiettati in una rincorsa della destra estrema. Il laburista britannico Starmer, due settimane fa: «restauriamo ordine e controllo», titolo di un documento presentato alla Camera dei Comuni. Il democristiano tedesco Merz: ci vogliono «controlli ai confini e respingimenti» perchè «l’immigrazione ha un impatto sul paesaggio urbano». Proprio così. Germania e Gran Bretagna, due potenze economiche mondiali: la Germania (80 milioni di abitanti) con il terzo pil del mondo (dopo Stati Uniti e Cina); il Regno Unito (con 60 milioni di abitanti) con il sesto pil mondiale (dopo la Germania c’è il Giappone e l’India e poi il Regno Unito). La “malattia” (la rincorsa ad essere a volte più a destra delle destre) rischia di cambiare i connotati a tradizioni politiche europee centenarie: come il laburismo britannico, il popolarismo democristiano tedesco insieme alla socialdemocrazia, sempre in Germania. Pesa, inoltre, un discorso pubblico sempre più contaminato da un lessico guerresco. Che danni può provocare questa “malattia” in due paesi fondamentali del continente europeo? Pubblica ha ospitato la storica Marzia Maccaferri (Queen Mary, University of London) e il giornalista Michael Braun (corrispondente da Roma del berlinese Tageszeitung).

    Pubblica - 03-12-2025

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    Finanza e Industria, ecco chi ci porta alla guerra

    Politici, industriali e finanzieri sono concordi nel sostenere la strada del riarmo e della militarizzazione europea: per i finanzieri si tratta di far fruttare i propri fondi rapidamente e in maniera sicura, per gli industriali idem, con fortissime iniezioni di denaro pubblico, non a caso anche quest’anno hanno fatto il record di vendite come registra il Sipri di Stoccolma il più autorevole istituto di ricerca sulla spesa militare nel mondo. Il problema, spiega Francesco Vignarca, portavoce della Rete Pace Disarmo, ricercatore e analista (tra i curatori del libro Europa a mano armata curato con Sbilanciamoci) è che così vince il discorso di guerra. Banalizzante, propagandistico e pericoloso perché sequestra la democrazia: “Il complesso militare industriale ha un pensiero medio lungo strategico. Stanno già intervenendo per togliere le leggi sulla limitazione alla vendita di armi, perché sanno che dovranno vendere questa sovraproduzione da qualche parte, così come fanno entrare capitali esteri nella nostra industria, come i sauditi in Leonardo, perché non siamo noi gli acquirenti di queste armi”. Ascolta l'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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