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Addio a Franca Valeri, Viva la Franca!

addio a Franca Valeri

Franca Valeri, La Franca (come la chiamavano tutti quelli che le volevano bene, alla milanese), se n’è andata. Stavolta non è solo uscita di scena, come lei sapeva fare meravigliosamente, con una delle sue battute “definitive”. Stavolta ci toccherà cominciare a ricordarla, rischiando di commemorarla: una cosa che lei avrebbe cordialmente detestato. E allora, proprio perché le sono stata amica e ho avuto il grande onore di lavorare con lei, voglio parlarne attraverso il lavoro di un suo giovane autore (e adoratore), Aldo Dalla Vecchia, che ha recentemente pubblicato un sintetico ma efficacissimo volume sulla vita e la carriera di questa straordinaria artista. Si intitola “Viva la Franca” (Graphe.it editore) e ne abbiamo parlato il giorno del suo compleanno, il 31 luglio…

Ira Rubini


La scena per Franca è sempre stato un toccasana, cambiava fisicamente appena saliva sul palco…

Sì, anche in vecchissime interviste, quando le chiedono qual è il momento più bello, lei risponde sempre “l’applauso del pubblico”. Ha sempre detto che al momento dell’applauso alla fine di ogni spettacolo, il contatto del pubblico e il sorriso delle persone erano la massima felicità possibile, sopra a tutte le altre. Questo ci fa capire quanto sia importante per lei il contatto con la scena e quanto sia grande questa artista, perché il teatro è un medium non apprezzato da così tante persone, che invece è una delle massime rappresentazioni dell’arte di Franca Valeri. Franca rimane insuperabile per quanto riguarda le messe in scena.

La sua capacità di comprendere che cosa si può fare dal vivo è sempre stata grande: mi ricordo di averla osservata lavorare per uno spettacolo di cui lei era regista e io autrice, e la vedevo rispettare con grande attenzione gli scritti, in quel caso di una giovane autrice, e poi rendere azione, con la regia, ciò che è parola. 

Pochi sono in grado di farlo in maniera efficace!

Torniamo al libro. L’espressione “cretinetti” se la inventò Franca Valeri in occasione del film “Il Vedovo”, con Alberto Sordi, con cui fece spesso coppia al cinema. Quando morì Sordi il suo epitaffio fu “Ciao cretinetti. Franca Valeri, Milano” pubblicato come necrologio dal Corriere della Sera…

Geniale! Tipico di Franca: incisivo, molto tranchant, affettuosissimo, delicato, ma anche divertente, pur in una circostanza luttuosa. E’ stato un gesto davvero “tipico-Franca Valeri”. Un vero colpo di genio. Su quel film di Dino Risi dovremmo fare una puntata a parte, sono stati scritti anche dei libri meravigliosi su quella pellicola. Per scrivere il libro mi sono visto e rivisto il dvd del “Vedovo”. E’ un film così moderno, anche se sono passati più di sessant’anni (è del 1959). Il “cretinetti”, come Valeri ha raccontato spesso, è stata un’idea sua subito accettata dal regista, ed è entrato subito nell’uso comune: la stessa Valeri l’ha riproposto quando faceva gli spot di un famoso pandoro, qualche decennio dopo.

Molto divertente è anche la genesi di un altro personaggio epocale di Franca Valeri, la “signorina snob“. Nasce alla radio perché i suoi compagni di scena della compagnia “I Gobbi”, Alberto Bonucci e Vittorio Caprioli che poi diventerà suo marito, erano stati invitati, dopo alcune loro esibizioni a tre a Parigi, a tornare in Italia a esibirsi in uno spettacolo, ma, come si legge nel tuo libro, diceva Franca: “Volevano tornare da soli senza di me, io insistevo e Vittorio per liberarsi di me mi presentò il direttore generale della Radio, dicendo che ero molto brava, curiosa, che avevo talento, ma che essendo una ragazza borghese, una ragazza ricca, non avrei mai accettato di fare delle “cosette” per la radio. Insomma lo ha talmente incuriosito che quello ha finito per offrirmi una scrittura. Io nel ’49 ho fatto la “Signorina Snob” che ha avuto molto successo. Quando poi tornarono da Parigi e scoprirono che avevo avuto tanto successo con la “Signorina Snob”, Caprioli si è come ingelosito e ha deciso di sposarmi”.

Il “Diario della Signorina Snob”, che è stato pubblicato da Mondadori nel ’51, lo rileggo periodicamente tipo Bibbia e ancora oggi mi commuove e fa sorridere. Ma la cosa clamorosa di quel libro è che la Valeri, nel 1949, usa parole francesi, inglesi, milanesi, modi di dire spiritosi che non sono così comuni neanche adesso. Pensiamo a quell’Italia della ricostruzione, un Paese ancora non del tutto alfabetizzato: Franca era così avanti già allora, che ancora oggi la rilettura del “Diario” è fonte di massimo divertimento. La radio fu il primo mezzo in cui fece grande successo. Non c’era ancora la televisione e la Signorina Snob diventò subito personaggio di culto grazie alla radio.

Meritano un approfondimento anche la storia personale della giovane Franca, il rapporto col fascismo, la sua fuga per andare in piazzale Loreto a vedere i corpi di Mussolini e degli altri gerarchi appesi a testa in giù. In quell’occasione disse “Per me quel truce spettacolo equivaleva a un Giudizio Universale: i buoni da una parte i cattivi dall’altra”. Avendo il papà ebreo, anche Valeri ebbe problemi evidenti, ma soprattutto nei suoi ricordi c’è la violenza brutale e volgare del fascismo verso tante sue amiche e famiglie che conosceva.

Nel mio libro riporto un episodio raccontato da lei in un’intervista a un quotidiano: stava tornando a casa a Milano e vide l’uscio aperto. Capì subito che dentro c’ero soldati tedeschi, che stavano portando via una giovane e bellissima ragazza che si era appena sposata, una sua vicina di casa che non è più tornata. Se Franca avesse aperto quella porta avrebbero preso anche lei: la vita è costellata di “sliding doors”…

Nel tuo libro si parla anche della grande capacità di Franca Valeri come autrice… avrebbe potuto essere una grande giornalista?

Certamente! Mi viene in mente Camilla Cederna, un’altra grande milanese che per decenni ci ha deliziato con i suoi articoli e reportage. Il concetto è un po’ lo stesso: la “Signorina Snob” però raffinata, colta, intelligente. E’ vero, avrebbe potuto avere anche una carriera giornalistica “à la Cederna” ma entrambe sono state due numeri uno nel rispettivo ambito; Franca è stata così geniale in tutte le sue attività che è sufficiente così, pure se non ha eccelso anche nel giornalismo…

Ahah è certamente sufficiente, ma c’è da dire che le sue caratterizzazioni così graffianti sono assimilabili ad analisi sociali giornalistiche…

Sembrano delle caratterizzazioni quasi disegnate, perché sono così precise… d’altro canto “alla Franca” bastavano un gesto, una parola o una frase per scolpire in maniera definitiva un personaggio e questo è il suo grande talento. Ho riletto bene i suoi libri dell’ultimo decennio, di genere autobiografico, e le raccolte di monologhi e sketch teatrali: alla base di tutta la sua arte c’è sempre e soltanto la scrittura. Se ha dominato le scene a teatro, alla radio, al cinema (anche se l’ha sfruttata poco), addirittura a Carosello, è perché alla base c’è sempre il suo cervello collegato con una scrittura unica al mondo.Una scrittura esatta, chirurgica, implacabile.

Concluderei ricordando lo straordinario amore di Franca per gli animali, fino a fondare una Onlus che si occupa di salvare animali randagi. Che io mi ricordi, con lei in scena c’è sempre stato un cane, un rappresentante della dinastia dei “Roro”, diminutivo di Orlando di operistica memoria, che si sono succeduti nei camerini di Franca Valeri…

La dinastia dei Roro esiste ancora, sono come i Windsor ormai! Hai detto una cosa molto vera e molto bella: nel libro “Animali e altri attori”, Franca ripercorre in maniera delicata e commovente tutti i cani e i gatti della sua vita fin dall’infanzia. E’ una galleria che agli amanti degli animali non potrà che piacere. Valeri è stata sensibile a questa tematica quando semplicemente non era di moda. E’ stata un’antesignana anche in questo.

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    Redazione
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    Mario Banushi in scena a Triennale Teatro: "Come si impara a dire addio a chi amiamo?"

    Fra i più importanti artisti della scena contemporanea internazionale, il greco-albanese Mario Banushi rievoca i riti funebri balcanici per una riflessione sul concetto di perdita. Nel suo Goodbye, Lindita, in scena al FOG Festival di Triennale Teatro, una famiglia in un interno che riporta a tradizioni antiche piange la scomparsa di una persona cara. Ma a un certo punto la situazione si apre a una dimensione più surreale e astratta, che permette a pubblico e performer di addentrarsi in un sogno, dove tutto è possibile. Il lavoro ha debuttato nel 2023 al Teatro Nazionale di Grecia, ha rivelato il talento di Banushi al pubblico e alla critica internazionali e fa parte di una trilogia dal titolo Romance Familiare. L'intervista di Ira Rubini a Mario Banushi a Cult.

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