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Accordo UE, Romano Prodi: “È una svolta decisiva”

Romano Prodi

L’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi è intervenuto questa mattina a Radio Popolare per commentare l’accordo europeo sul Recovery Fund, il ruolo svolto dal governo italiano e cosa c’è nel futuro dell’Unione Europea.

L’intervista di Claudio Jampaglia a Prisma.

Siamo ad una svolta decisiva nella svolta dell’Unione Europea?

Sì, una volta decisiva. Io ritengo che sia la seconda fase dell’Europa, quella più faticosa di una costruzione istituzionale. La prima è stata l’Euro, la seconda è questa perché mette attorno all’Euro una struttura di difesa e fa finalmente una politica economica che accompagna la moneta comune. È davvero una svolta. Il problema si apre per Paesi come l’Italia perché dobbiamo votare anche noi. Adesso temporaneamente abbiamo le risorse, abbiamo una congrua quantità di soldi in dono e abbiamo 120 miliardi che dovremo restituire. Cosa vuol dire? Che devono servirci per la ripresa e per riorganizzare il Paese altrimenti non potremo restituirli. L’Italia può uscire con l’aiuto dall’Europa dalla trappola del debito solo se ricomincia a crescere, altrimenti non si riesce mai a ripagare il debito. È la mia esperienza di governo, quando riuscimmo a diminuire fortemente il debito, ma solo perché allora si cresceva. Dobbiamo subito iniziare una strategia di impiego di queste risorse.

“Ora tocca a noi”, l’editoriale di Mario Monti oggi sul Corriere. “Arrivano i soldi, finiscono gli alibi”, Norma Rangeri sul Manifesto.

Ecco, questo è un bel titolo. Finiscono gli alibi. Giusto.

Le linee di ricostruzione, non solo post COVID, erano green, mai più carbone e innovazione digitale. A lei convince questa strada?

Ovvio che l’ambiente deve essere tra le priorità, ma per favore non iniziamo a fare l’elenco delle cose. Costruiamo la squadra che deve decidere, in armonia col governo e possibilmente oltre il governo, quello che si deve fare. Io penso una cosa molto semplice: il presidente Conte e i due Ministri Gualtieri e Patuelli devono prendersi una responsabilità politica e costruire un gruppo di lavoro, mettersi insieme alla Cassa Depositi e Prestiti e alle altre strutture che devono eseguire e fare una strategia di sviluppo. Costruiamo subito la macchina e poi iniziamo a correre dopo. Abbiamo poco tempo perché ad ottobre ci sarà l’esame, il momento in cui dobbiamo presentare cosa vogliamo fare. Sappiamo benissimo che la sanità, l’ambiente, la ricerca e la scuola non potranno che avere un grande porto. Conte e i due Ministri devono mettere in piedi una task force interna al governo, che mobiliti tutti i ministri ed assegni i compiti.

Che voto dà al governo? Come le è sembrato Giuseppe Conte?

Non sono mica un maestro. Oggettivamente Conte ha seguito una strategia coerente, è stato anche fortunato. Questo accordo buono per noi è nato da una serie di circostanze, ma la prima è l’alleanza con la Francia e la Spagna per creare un comune interesse. Prima la Francia faceva i suoi balletti perché aveva una condizione economica migliore, poi ha avuto bisogno anche lei e ci siamo alleati. Si è creata una struttura politica forte. La Germania ne ha tenuto conto e la Gran Bretagna era fuori. Se ci fosse stata la Gran Bretagna questo accordo non ci sarebbe stato. Si è creata una situazione politica in cui Merkel, intelligentemente, ha preso la leadership. Questo va benissimo perché è chiaro che non ci può essere Europa senza un accordo franco-tedesco. Conte ha agito bene o ha agito male? Certo che ha agito bene. È stato anche fortunato, ma la fortuna si costruisce e si aiuta. Noi siamo usciti bene e questo significa che Conte ha fatto bene.

Lei ha qualcosa da dire sulla Commissione Europea e il suo ruolo?

Il vero passo indietro dell’Europa negli ultimi 15-20 anni è stato proprio la caduta delle funzioni della Commissione. Vi siete accorti che negli ultimi anni non si vedevano mai le riunioni della Commissione, ma solo del Consiglio? Questa è una deviazione dell’Europa e finalmente, da qualche mese a questa parte, la Commissione ha ricominciato a prendere potere. Non è ancora arrivata al potere che aveva precedentemente, ma insomma le svolte si fanno progressivamente. Questo è stato il primo ritorno forte della Commissione da almeno dieci anni a questa parte. Continuerà in questa direzione? Penso di sì. Credo che la cancelliera tedesca, che di testa ne ha, ha capito che tutto sommato l’accordo con la Commissione giova anche alla Germania. La Germania ha capito che con gli Stati Uniti e la Cina di oggi non ha nessun ruolo da sola. Sotto questo accordo c’è la storia.

Questo accordo potrebbe dare una frenata ai sovranisti?

Questa non è una frenata per i sovranisti, è una botta. Si imputava all’Europa ogni male e adesso, fatta eccezione per ciò che riguarda i diritti, persino l’Ungheria e la Polonia hanno accettato questo passo in avanti. L’Europa è strana, tutti ne parlano male, ma quando si deve decidere tra sì e no, come si è visto alle ultime elezioni, la gente capisce che la storia va coi sì. Non è una svolta da poco e il sovranismo prende una botta assolutamente forte.

Il sogno di votare per un’Europa vera lo vede vicino?

Ancora no. Io ho sempre detto che l’Europa sarà completata quando potremo decidere il Presidente dell’Europa votando tra un socialista francese, un democristiano tedesco o italiano e così via. Da questo siamo ancora lontani. Ma le cose si costruiscono con lentezza. La democrazia è bella, ma è lenta per definizione.

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    L’Europa e il bellicismo crescente delle sue classi dirigenti. L’ultimo caso, quello dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e la postura aggressiva che dovrebbe tenere la Nato. Cosa possono fare il pensiero e la cultura della pace per contrastare l’escalation bellicista e la normalizzazione della violenza? Le risposte possono non essere quelle consuete, soprattutto perché in Occidente stiamo assistendo ad un cambio delle coordinate geopolitiche costruite negli ultimi ottant’anni. Un esempio. Il settimanale «The Economist» ha scritto nella sua rubrica di geopolitica «The Telegram» apparsa oggi sulle pagine online: «In Europa le preoccupazioni per l’inaffidabilità dell’America sotto Donald Trump stanno lasciando il posto a un timore più grande: che, pur presentandosi come il campione della civiltà occidentale, egli consideri ormai le democrazie occidentali reali come avversarie. “Nella Washington di oggi” - scrive il nostro editorialista di The Telegram - l’Europa “è spesso descritta con maggiore disprezzo rispetto alla Cina o alla Russia”. Pubblica oggi ha ospitato Donatella Della Porta, scienziata della politica, e Agostino Giovagnoli, storico.

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