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A Juba si rischia la catastrofe umanitaria

Le notizie che arrivano da Juba, la capitale del Sud Sudan, sono preoccupanti. Innanzi tutto perché non si intravvede la possibilità di fermare il conflitto e il rischio è che la città rimanga per settimane sotto il fuoco delle artiglierie contrapposte fino a quando, da una parte e dall’altra, non si raggiunga la consapevolezza di non poter ottenere una vittoria sull’avversario. Una situazione questa che svuoterebbe la città dei civili che già in migliaia stanno cercando di mettersi in salvo in tutte le direzioni.

Fonti umanitarie, che in questo momento sono consegnate nei compound delle varie ONG, parlano di preludio ad una catastrofe umanitaria. Nessun può far niente, si può solo assistere alla preparazione di una situazione che sarà ingestibile e che causerà molti morti.

L’Onu, l’Unione Europea, i singoli Paesi – Russia compresa – hanno fatto appelli ai due rivali, il presidente Salva Kiir e il suo vice Riek Machar, perché vengano fermati immediatamente i combattimenti. Ma una fonte diplomatica a juba ha fatto sapere che la preoccupazione maggiore è che molti luogotenenti, da una parte e dall’altra, siano ormai diventati schegge impazzite e non rispondano più alla catena di comando. In sostanza Salva Kiir e Riek Machar non avrebbero più il controllo della situazione. Se le cose stanno così diventerà impossibile fermare la distruzione totale di Juba. Soprattutto – afferma una fonte sentita in città – verrebbero vanificati tutti gli sforzi diplomatici di queste ore.

Svariate testimonianze locali affermano addirittura che ieri aerei da combattimento governativi avrebbero sorvolato a bassa quota e sparato sui quartieri controllati dai rivali. Salva Kiir – secondo dichiarazioni riportate dai portavoce Onu – non avrebbe mai impartito l’ordine.

Migliaia sono gli abitanti di Juba fuggiti dalle violenze in corso nella capitale del Sud Sudan e circa settemila sono i civili che hanno trovato riparo in due compound delle Nazioni Unite. Lo rende noto la l’Unmiss, la missione dell’Onu in Sud Sudan. “I violenti scontri a Juba hanno costretto più di settemila persone a cercare riparo nella sede dell’Onu a Jebel e nel compound di Tomping“, si legge in un comunicato. L’Onu ha anche accusato i combattenti di impedire ai civili di entrare in campi gestiti dalle Nazioni Unite usando armi pesanti, tra cui lanciarazzi contro siti protetti della missione Unmiss. Nelle ultime 24 ore 67 persone sono rimaste ferite dentro o attorno zone protette dell’Onu e otto di loro sono morte in un secondo momento.

Il segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon ha chiesto inutilmente un cessate il fuoco e un embargo immediato sulla vendita di armi al Sud Sudan. Di fatto le prossime ore saranno decisive: o si riuscirà a fermare gli scontri, oppure la situazione sfuggirà di mano. Intanto l’Onu, L’Unione Europea, le grandi agenzie umanitarie hanno dato indicazioni ai loro membri che sono fuori dalla capitale a non farvi ritorno e a quelli che vi sono bloccati a non uscire dalle case.

L’ebook di Raffaele Masto Dal vostro inviato in Sud Sudan

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    Raffaele Masto
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    Il 9 settembre, dopo 14 anni di lavori, l’Etiopia ha inaugurato ufficialmente la Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico d'Africa, e tra i 20 più grandi al mondo. Da anni la diga è anche causa di tensione con i paesi a valle del Nilo: Sudan e soprattutto Egitto, che temono di vedere ridotte le proprie risorse idriche, anche in considerazione dei sempre più frequenti periodi di siccità. “Questa diga sarà certamente uno degli epicentri di tensione di questa regione nel prossimo futuro” spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all'Università di Palermo, al microfono di Sara Milanese. Ascolta l’intervista andata in onda in A come Africa.

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