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Unicredit: 18 mila tagli in tre anni

Dovevano essere 10-12 mila i posti di lavoro a rischio in Unicredit, stando alle voci circolate nelle scorse settimane. E invece gli esuberi sono molti di più: la banca milanese li ha messi nero su bianco stamattina nel piano per i prossimi tre anni presentato agli analisti. Unicredit taglierà circa 18.200 persone. Il dato – spiega l’istituto – include la riduzione di 6.000 lavoratori relativi alla cessione della controllata in Ucraina e alla joint venture tra Pioneer e Santander. La diminuzione degli occupati si realizzerà sia nei corporate centres sia nelle banche commerciali in Italia, Germania, Austria e nell’Europa Centro Orientale. In particolare i dipendenti italiani tagliati saranno ben 6.900, 540 persone in più rispetto al piano già concordato nel 2014 con i sindacati. 800 in totale le filiali che saranno chiuse in Italia, Germania e Austria. Accanto ai tagli, il gruppo prevede misure di contenimento dei costi per un valore complessivo di 1,6 miliardi: i costi per il personale si ridurranno di 800 milioni e le altre spese amministrative di altri 800 milioni.

“Abbiamo approvato un piano rigoroso e serio e al tempo stesso ambizioso”, ha detto l’amministratore delegato Federico Ghizzoni. L’ad aggiunge poi che il piano “è soprattutto realistico perché si basa su azioni che dipendono dalle nostre scelte manageriali ed è un piano totalmente autofinanziato”.

I tagli di personale in Unicredit si susseguono ininterrottamente dai tempi della fusione con Capitalia: a fine 2008 i lavoratori del gruppo a livello mondiale erano 174mila, di cui 77.420 in Italia, e le filiali oltre 10.200, metà delle quali nel nostro paese. A distanza di sette anni, sono ben 47.151 i posti di lavoro persi, di cui circa la metà in Italia. La banca chiude i 9 mesi con un utile di oltre 1,5 miliardi (-16,1 per cento sullo stesso periodo del 2014). Nel terzo trimestre l’utile è a 507 milioni: questo significa che negli ultimi tempi le cose vanno meglio ma che rispetto all’anno scorso la banca milanese è in una situazione di forte sofferenza.

Cosa ha pesato sui conti di Unicredit lo spiega per noi il professor Andrea Di Stefano

Andrea Di Stefano commenta i tagli di Unicredit

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    Lorenza Ghidini
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    Non è arrivata nessuna proposta alternativa. Quella presentata da Inter e Milan è rimasta l’unica offerta per l’acquisto dello stadio di San Siro e delle aree vicine al “Meazza”. Il Comune di Milano lo ha comunicato, alla mezzanotte del 30 aprile, alla scadenza dell’avviso pubblico per la raccolta di manifestazioni d’interesse. Un esito prevedibile, dal momento che la finestra è rimasta aperta per poche settimane. Ora proseguiranno i lavori della Conferenza dei servizi, già iniziati quando potevano arrivare anche altre proposte. Il fronte di chi si oppone ai piani dei due club e a come la giunta comunale sta gestendo la vicenda tenta ancora di interrompere il percorso avviato. Oggi il comitato Sì Meazza, dopo aver già fatto un esposto alla Procura, ha inviato alla Corte dei conti una segnalazione perché indaghi per danno erariale, chiamando in causa il Comune. Luigi Corbani del comitato Sì Meazza spiega perché ha depositato questa segnalazione.

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    1) Gaza senza cibo da due mesi. Il blocco israeliano agli aiuti continua indisturbato mentre la fame dilaga tra la popolazione. Nella notte colpita con droni la nave della Freedom Flotilla, che voleva portare aiuti nella striscia. (Sami Abu Omar, Simone Zambrin - Freedom Flotilla) 2) Guerra in Ucraina. Secondo le Nazioni Unite la situazione lungo il fronte è peggiorata da quando sono iniziati i negoziati per il cessate il fuoco. In esteri la testimonianza da Sumy. 3) Germania, i servizi segreti classificano Afd come partito estremista. I leader del partito rispondono: azione politica, ci difenderemo. (Alessandro Ricci) 4) L’effetto Trump sulle elezioni nel pacifico. Domani Australia e Singapore al voto. In entrambi i casi i dazi americani hanno ribaltato i sondaggi. (Lorenzo Lamperti) 5) Mondialità. La partita sul clima si gioca tra Usa e Cina. (Alfredo Somoza)

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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