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Un accordo scritto sulla sabbia

Giuseppe Conte al Consiglio Europeo

Il Consiglio d’Europa di ieri ha partorito un topolino sul tema della gestione dei flussi di richiedenti asilo in Europa. Non poteva essere altrimenti, dal momento che il documento finale è passato all’unanimità, quindi è stato firmato sia dall’Italia, il Paese che chiedeva di più, sia dai paesi del gruppo di Visegrad che non volevano cedere nulla.

La chiave di lettura di questo risultato passa anzitutto dall’analisi del testo, nel quale si fa abbondante uso del condizionale (“potrebbero”, “dovrebbero”) e dalla parola magica, ripetuta 5 volte, “volontari”. In buona sostanza, si tratta di un accordo su base volontaria, quindi non vincolante, con tanti suggerimenti e praticamente nessun obbligo. Ecco i punti salienti:

Primo punto. Dublino non si tocca. La Convenzione firmata nel 1990, Governo Andreotti, poi diventato Regolamento Dublino II nel.2003 (Governo Berlusconi-Lega Nord-AN), modificata l’ultima volta nel 2013 (Governo Monti Pd-Berlusconi) che inchioda nel paese di primo approdo i richiedenti asilo. Si parla di avviare un consenso unanime per riformarlo, cosa impossibile perché i paesi orientali non lo cambierebbero mai.

Secondo punto. Si prevede la creazione di nuovi “centri controllati” nell’Unione Europea, che sarebbero in sostanza campi profughi sul suolo europeo, finanziati e gestiti dall’Unione Europea, per ospitare i migranti, esaminare le loro richieste e decidere in modo “rapido”. Sono dei nuovi hotspot che si “invita” ad aprire “su base volontaria». Come chiesto dall’Italia, si prevede, sempre su base volontaria, di poterli aprire fuori dall’UE. Al momento non ci sono candidature.

Terzo punto. Per venire incontro alla Germania, si condannano i cosiddetti secondary movements, cioè gli spostamenti dei migranti in un paese diverso da quello in cui hanno fatto richiesta di asilo. Un ricorso usato a man bassa dall’Italia che durante le emergenze 2015-2016 non identificava tutti i richiedenti asilo agevolando la loro partenza per altri paesi europei.

Quarto punto. Si aumenta di 500 milioni di euro il Fondo per lo Sviluppo dell’Africa, voluto fortemente dal governo Gentiloni, spostandoli però sul Fondo Fiduciario per l’emergenza in Africa che è il fondo tramite il quale si paga la Guardia Costiera libica, collegata a doppio filo ai signori della guerra e ai gestori dei lager per richiedenti asilo. Soldi che sicuramente non andranno in progetti di sviluppo nei paesi di partenza dei migranti.

Quinto punto. Si conferma la stretta contro le ong che operano nel Mediterraneo con un generico “devono rispettare le leggi applicabili e non interferire con le operazioni della guardia costiera libica”. In soldoni, devono consegnare i naufraghi alle unità della guardia costiera libica perché facciano ritorno ai lager dai quali sono scappati dopo torture e violenze di ogni genere.

Chi ha vinto con questo Consiglio d’Europa? Sicuramente i Paesi di Visegrad, alleati ideologici del Vicepremier Salvini, che riescono da un lato a fare sganciare la seconda tranche da 3 miliardi perché la Turchia non riapra la via dei Balcani, dall’altra lasciano i paesi del Mediterraneo, Italia in primis, a continuare a vedersela da soli. Nessuna solidarietà.

La Germania torna a casa senza danni, anzi, vengono condannati i movimenti “secondari” come voleva Merkel. La Francia può vantarsi di avere fatto il regista di un vertice di aria fritta e di tornare a casa senza nessun nuovo obbligo.

Chi perde? La Grecia, in parte la Spagna, e soprattutto l’Italia che dovrà continuare a fare da sola. Perdono anche le ong, che avranno sempre più ostacoli per salvare vite umane e l’onore dell’Europa.
Ciliegina sulla torta, la grande priorità portata da Conte al Consiglio, la fine dell’embargo alla Russia, è stata sonoramente bocciata e l’embargo rinnovato per altri 6 mesi.

Nota di colore, il Premier Conte sarà ricordato perché dopo avere vantato nel suo discorso di essere “un professore di diritto”, è stato deriso dallo svedese (“Io ero saldatore”) e dal bulgaro (“Sono pompiere”).

Giuseppe Conte al Consiglio Europeo

  • Autore articolo
    Alfredo Somoza
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    Violenza stradale, numeri un po' in calo. Il rimedio: l’educazione e diminuire la velocità

    L’Istat ha pubblicato i report sugli scontri stradali, su base regionale (relativi al 2024) e anche alcuni dati sui primi sei mesi di quest’anno. Ci sono meno feriti e meno vittime sulle strade, anche se i numeri restano ancora drammaticamente elevati. Secondo l’Istituto di Statistica nel primo semestre del 2025 i morti sono stati 1310 (si parla di morti per scontri stradali se il decesso avviene entro 30 giorni dall’evento, quindi sono escluse le persone che muoiono, nonostante la causa siano le conseguenze dello scontro, oltre quel limite temporale) contro i 1406 dello stesso periodo dell’anno precedente. I feriti sono stati 111090, anche in questo caso in calo rispetto al 2024, quando erano stati 112428. Gli obiettivi europei sulla sicurezza stradale prevedono il dimezzamento del numero di vittime e feriti gravi entro il 2030 rispetto all’anno di riferimento, che è il 2019. In Italia al momento registriamo una diminuzione del 4,5% (in Lombardia del 12,6). Bisogna ancora fare molto per riuscire a raggiungere l’obiettivo. Uno degli aspetti fondamentali, oltre la diminuzione della velocità, è l’incremento dell’educazione stradale. Stefano Guarnieri, padre di Lorenzo, morto nel 2010 a causa di un omicidio stradale a Firenze ha fondato l’associazione Lorenzo Guarnieri, che da anni si impegna a portare avanti un discorso di educazione. Alessandro Braga lo ha intervistato nella trasmissione Tutto Scorre.

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