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Se il medico dell’anno è yemenita

È ormai noto che l’Ungheria di Viktor Orbán ha un atteggiamento poco benevolo verso i migranti. Dall’inizio della crisi il governo conservatore e nazionalista guidato dal partito Fidesz si è distinto per dichiarazioni e iniziative che non lasciano dubbi sul suo orientamento.

La scorsa primavera a Budapest e nelle altre città del Paese sono comparsi dei grandi manifesti voluti dall’esecutivo con scritte frasi di questo tipo: “Se vieni in Ungheria non puoi portare via il lavoro agli ungheresi” o ancora “Se vieni in Ungheria devi rispettarne le leggi e la cultura”. Nel maggio dell’anno scorso gli elettori ungheresi hanno ricevuto a casa un questionario intitolato “Consultazione nazionale sull’immigrazione e il terrorismo” in cui si ponevano ai destinatari domande tutte tese a presentare in modo negativo la figura dell’immigrato, e a settembre è entrata in vigore una legge che prevede il carcere per chi entra illegalmente nel Paese.

Per Orbán i flussi migratori che impegnano le diplomazie europee sono un pericolo per tutto il continente e per l’esistenza stessa dell’Europa. L’anno scorso il premier ungherese ha dichiarato di non considerare positivo il fenomeno migratorio né dal punto vista economico né sul piano sociale e della sicurezza pubblica e di non considerare opportuno il fatto che genti di altre culture si mescolino agli ungheresi.

Una risposta a questo atteggiamento viene dalla storia di un uomo di altra cultura che si è stabilito in Ungheria oltre vent’anni fa. Si tratta di un medico yemenita di 46 anni che si chiama Abdulrahman Abdulrab Mohamed. Pediatra a Gyula, città di circa trentamila abitanti situata nella parte sud-orientale del Paese, Abdulrahman è stato appena eletto medico dell’anno come risultato di un voto svoltosi in rete al quale hanno partecipato dodicimila pazienti e un centinaio di candidati.

Si tratta di un premio istituito dalla filiale magiara del gruppo farmaceutico giapponese Astellas Pharma, che ogni anno viene attribuito a un medico come riconoscimento della sua competenza e delle sue qualità umane. Il concorso ha luogo grazie alla collaborazione dell’Ordine dei medici e dell’Associazione degli ospedali ungheresi che sperano di contribuire a scoraggiare in questo modo l’emigrazione, tutt’altro che irrilevante per numero, dei medici connazionali di Orbán che cercano migliori condizioni di lavoro all’estero, specie in Gran Bretagna e che si fanno apprezzare per le loro qualità professionali. Uno degli obiettivi del premio è provare a incoraggiarli a restare in patria.

Quest’anno il riconoscimento è andato ad Abdulrahman che dirige il centro di neonatologia dell’ospedale Kálmán Pándy di Gyula e che viene chiamato “zio Abdul” dai suoi piccoli pazienti e dai loro genitori. Abdulrahman ha infatti saputo instaurare con loro un rapporto di fiducia basato sull’empatia, ed è per questo benvoluto dalle famiglie che ricorrono a lui per affidargli i loro bambini.

La sua è una storia di integrazione riuscita in un Paese che ultimamente non sta brillando per apertura. Nato da una famiglia di contadini a 230 chilometri da Sana’a, ha dodici anni quando vede la sorellina di due, morire soffocata per aver ingoiato una moneta. Decide presto di diventare pediatra ma gli studi universitari costano troppo nello Yemen così, grazie a uno dei suoi docenti, ottiene una borsa di studio finanziata dai governi yemenita e ungherese per studiare all’Università di Szeged, nel Sud dell’Ungheria, verso il confine con la Serbia.

Comincia a esercitare la professione nel 1998, quando il Paese autorizza i medici stranieri a stabilirvisi ufficialmente. Intervistato dal quotidiano francese Libération, racconta di aver ricevuto dalla Gran Bretagna offerte di lavoro ben più allettanti dal punto di vista remunerativo, ma di aver scelto di restare a Gyula che considera tollerante e accogliente. Abdelrahman parla ungherese, ha ottenuto la cittadinanza nel 2007 e ha una famiglia. Il suo è davvero un esempio positivo che contribuisce a mettere in discussione le teorie sull’incompatibilità culturale promosse dall’attuale governo ungherese.

Massimo Congiu è direttore dell’Osservatorio Sociale Mitteleuropeo, un’agenzia che si propone di monitorare il mondo del lavoro e degli affari sociali in Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca.

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    Massimo Congiu
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    Sono più di un abitante su dieci della Lombardia, lavorano, pagano le tasse, hanno figli che vanno a scuola ma restano ai piani bassi dell’ascensore sociale. È il ritratto degli stranieri nella nostra regione, fotografato dal dossier immigrazione che è stato presentato oggi. Rispetto a un anno fa sono aumentati del 2,3%, la meta preferita Milano e il suo hinterland. Del milione e 200mila stranieri, poco meno di un milione ha il permesso di soggiorno, circa la metà di lungo periodo. “Questo nonostante le difficoltà nell’ottenerlo”, dice Maurizio Bove, presidente di Anolf Lombardia, una delle realtà che ha elaborato il rapporto, che chiede una netta revisione delle norme per la regolarizzazione dei migranti.

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    1) Israele, la diffusione del video delle torture nel carcere di Sde Teiman non è il problema. Gli abusi e l’impunità lo sono. (Daniel Solomon - physicians for human rights) 2) New York al voto. Trump minaccia gli elettori che devono scegliere il prossimo sindaco della città, in un’elezione che potrebbe rimodellare il partito democratico. (Roberto Festa) 3) E’ morto Dick Cheney. Il potente vice presidente americano artefice della guerra al terrore che plasmò gli stati uniti contemporanei. (Martino Mazzonis) 4) Francia, la battaglia contro il fast fashion è persa prima ancora di iniziare. A Parigi apre il primo negozio fisico di Shein, il colosso cinese noto per il pesante impatto ambientale e le vergognose condizioni dei lavoratori. (Francesco Girgini) 5) Spagna, la riconciliazione con il Messico passa dall’arte e dalla cultura. Madrid non ha ancora chiesto scusa per il periodo coloniale ma con una mostra e l’assegnazione del premio Cervantes prova a ricucire lo strappo. (Giulio Maria Piantedosi) 6) Belem 2025, ultima chiamata. Diario dalla Cop30: la flotilla dei popoli indigeni partita dal messico in viaggio verso il Brasile. (Alice Franchi) 7) Rubrica Sportiva. Il ritiro di Bopanna, il grande veterano del tennis mondiale. (Luca Parena)

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    L'Orizzonte è l’appuntamento serale con la redazione di Radio Popolare. Dalle 18 alle 19 i fatti dall’Italia e dal mondo, mentre accadono. Una cronaca in movimento, tra studio, corrispondenze e territorio. Senza copioni e in presa diretta. Un orizzonte che cambia, come le notizie e chi le racconta. Conducono Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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