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Siria: dobbiamo fare guerra all’indifferenza

Shady Hamadi è un giovane scrittore italo-siriano.  Ha conosciuto la sua terra d’origine alla fine degli anni’90, quando le autorità di Damasco hanno permesso al padre di rientrare in patria dopo anni di esilio all’estero. Non è durato molto. La guerra civile ha imposto un altro, doloroso esilio, questa volta anche a Shady, che ha perso la sua terra poco dopo averla trovata. Ora, oltre a scrivere, l’autore di La felicità araba, Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana, è anche un attivista della causa siriana, come si definisce.

Commenta la guerra siriana dopo il massacro di Deir Ezzor, una guerra che appare distante agli occhi degli europei nonostante tutto il suo carico di orrori e le ripercussioni che lo stesso Vecchio Continente subisce, come gli attacchi a Parigi. “Per me non è certo una guerra lontana. E’un dramma. Differente rispetto a quello che vivono coloro che hanno perso parenti e amici, casa e beni, ma rimane pur sempre un dramma. Amplificato dal fatto di non essere capiti da tutti: dall’opinione pubblica e dal vicino di casa”.

Perché non si sente compreso?

“Perché il profugo qui viene visto solo come un immigrato. E poi per il modo in cui si racconta la guerra qui in Italia.  Non si spiegano le motivazioni. Non sembrano esserci responsabili. Si parla dell’Isis, ma non dei motivi per cui è scoppiata. Non si racconta del destino delle decine di città sotto le bombe, dove si muore di fame da tempo”.

Perché questa guerra non riesce a suscitare l’interesse e l’indignazione degli europei?

“Perché c’è indifferenza, un’indifferenza che non colpisce solo gli europei, ma anche gli arabi. Un’indifferenza che registriamo anche in Siria. Ci sono zone di Damasco dove la gente va tranquillamente in discoteca o in pasticceria mentre a pochi chilometri di distanza la gente muore  di fame o sotto le bombe. Lì è un modo per esorcizzare la guerra. Diversa è invece l’indifferenza dell’opinione pubblica europea e araba. Non esiste una mobilitazione per fermare la guerra”.

Perché?

“Per una questione di categorie. Edward Said parlava di un’immagine stereotipata del Medioriente. Aveva ragione. Qui si dice: in Siria sono tutti uguali, tutti musulmani. meglio che si ammazzino tra di loro.  E poi, qui si dice:  i sunniti sono tutti con l’Isis. Va bene, è vero:  tanti sunniti aiutano l’Isis, ma è anche vero che centinaia di sunniti vengono uccisi dai coltelli e dalle bombe dell’Isis. E poi c’è la questione dell’identità. Noi abbiamo manifestato per Charlie Hebdo, perché la strage della redazione del giornale è stato un attacco alle nostre libertà derivanti dall’Illuminismo. Ma io chiedo: perché non siamo riusciti a organizzare una marcia dei capi di stato e di governo per i 500.000 morti della guerra siriana? Alla fine, se la Civiltà Occidentale si riunisce per 17 morti e rimane indifferente per tutte le altre vittime, allora significa che questa civiltà è in declino”.

Ma perché la guerra in Siria è così importante anche per un europeo?

“Per tre motivi. La Siria è nel cuore del Medioriente. Nel 2011,  milioni di persone sono scese in piazza per chiedere libertà e pari diritti. Se fossero state ascoltate non avremmo avuto la guerra e al suo posto sarebbe sorto uno stato moderno in grado di costruire un regime democratico. Sarebbe stato un esempio in una regione dove la democrazia non esiste. Vediamo bene cosa fanno ora in Siria regimi come quello dell’Arabia Saudita e dell’Iran. Il secondo motivo è il sistema di convivenza. In Siria, musulmani e cristiani convivevano prima di questa guerra. Lo facevano da 1400 anni. Ora, con questa guerra, questo modello sta per essere distrutto. Il terzo e ultimo motivo riguarda la Primavera Araba. Se non ci fosse stata la guerra, i giovani arabi avrebbero avuto la possibilità di costruire un diverso futuro. Io penso che questo conflitto non abbia seppellito del tutto quel sogno, ma l’abbia fortemente penalizzato. Questi sono i tre motivi per cui la guerra in Siria è fondamentale per la stessa sopravvivenza della civiltà occidentale e di quella orientale”.

 

 

 

 

  • Autore articolo
    Michele Migone
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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    Anniversario numero 56 per la Strage di Piazza Fontana, quest’anno oltre alle istituzioni nella celebrazione del pomeriggio parleranno una studentessa di un liceo milanese e uno dei vigili del fuoco che entrarono per primi dopo lo scoppio della bomba, ci spiega Federico Sinicato, presidente dell’Associazione dei Familiari delle vittime di Piazza Fontana. “L’importanza del 12 dicembre va al di là della celebrazione e del ricordo che si fa in piazza, è una data storica per l’intero Paese perché è l’inizio della strategia della tensione che produce effetti devastanti e blocca di fatto il grande movimento di riforma del Paese nato dalle lotte dei lavoratori e degli studenti, basta pensare che l’approvazione del Senato dello Statuto dei lavoratori è del 11 dicembre, il giorno prima, il momento fu scelto come risposta all’avanzata dei diritti e se pensiamo che oggi questi valori vengono rimessi in discussione. E’ una data sacra per il Paese”, In Piazza dopo le celebrazioni istituzionali ci sarà il corteo dei movimenti con partenza alle 18.30 da Piazza XXIV Maggio. E ci sarà anche l’inaugurazione del memoriale “Non dimenticarmi“, un’installazione permanente nata dal basso che ricorda le vittime delle stragi, donata al Comune di Milano e installata in Piazza Fontana. L'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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    Federico Sinicato presidente associazione Familiari Vittime di Piazza Fontana ci racconta cosa sarà questo 12 dicembre e il percorso di avvicinamento nelle scuole, nei racconti e nelle testimonianze. Valter Boscarello Fondatore di Memoria Antifascista, ci presenta il corteo delle 18h30 (da Piazza 24 maggio fino a piazza fontana) dedicato ai movimenti e alla repressione delle lotte. Nel pomeriggio verrà inaugurato il memoriale “Non dimenticarmi“, un’installazione permanente dedicata a tutte le vittime delle stragi, voluta dal basso e accolta dal Comune di Milano. Linda Maggiori, giornalista freelance e attivista di The Weapon Watch l'osservatorio sul traffico d'armi nei portio italiani, ci racconta la sua inchiesta sulla "flotta del genocidio": le rotte delle armi dai porti italiani pubblicata per Altra economia dove dimostra come l'industria italiana e i porti italiani abbiano rifornito Israele per tutta la durata dell'attacco a Gaza in barba alla legge 185 che lo vieta e alle dichiarazioni del governo. Tiziana Ricci ci presenta la mostra alla Fabbrica del vapore sui 50 anni della radio, gratuita, libera e bellissima.

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