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Prove di un unico fronte anti-Assad

Le divisioni all’interno dell’opposizione sono state in questi anni tra i principali ostacoli a una soluzione diplomatica della crisi siriana. I Paesi occidentali, già scettici su un possibile intervento militare per far cadere il regime, non hanno mai trovato un interlocutore unico e affidabile, in grado di tenere insieme l’opposizione politica all’estero e la miriade di gruppi armati presenti sul terreno. Anche per questo motivo Europa e Stati Uniti non hanno mai aiutato sul serio i ribelli e non hanno mai spinto fino in fondo per l’uscita di scena di Bashar al-Assad. L’arrivo dell’ISIS ha poi peggiorato ulteriormente le cose.

Adesso il fronte anti-regime sta provando a parlare con una sola voce, in vista di un possibile negoziato di pace. Questa settimana, per la prima volta dall’inizio della guerra, si sono riuniti l’opposizione politica e diversi gruppi armati. La riunione è stata a Riyad, in Arabia Saudita, uno dei principali sponsor dell’opposizione siriana. Alla fine le parti si sono dette pronte a dialogare con il governo di Damasco già dal prossimo gennaio.

Sulla carta si tratta di un passo in avanti importante per fermare un conflitto che ha già fatto 300mila morti. Ma sicuramente nelle prossime settimane verranno a galla una serie di problemi, oggi ancora senza soluzione, sia all’interno del fronte anti-regime, sia sulla fattibilità di un negoziato di pace.

È la prima volta che i gruppi armati partecipano a una conferenza politica per discutere del futuro della Siria. Finora la rappresentanza dell’opposizione era sempre stata lasciata alla comunità siriana in esilio, che però non ha più alcun contatto con la popolazione rimasta all’interno del Paese. Seppur con gravoso ritardo la comunità internazionale ha accettato che il coinvolgimento delle organizzazioni armate che controllano il territorio e che hanno un importante appoggio sociale è indispensabile.

Significativo anche il fatto che la conferenza si sia tenuta in Arabia Saudita. Riyad è il principale sponsor dei ribelli siriani, soprattutto quelli legati a una rigida interpretazione della religione islamica. Si tratta di organizzazioni spesso estremiste, ma che allo stesso tempo hanno ottenuto i principali successi militari contro l’esercito di Damasco. Il legame tra l’estremismo islamico e i paesi del Golfo, che hanno usato la guerra in Siria in chiave anti-iraniana, è un elemento critico, ma alla fine sono gli stessi sponsor, Arabia Saudita in testa, che possono convincere i gruppi armati ad accettare un negoziato politico. Altri non lo potrebbero fare.

Miliziani di Al Nusra
Miliziani di Al Nusra

Ma la riunione di Riyad ha lasciato senza risposta diversi interrogativi. La stessa Arabia Saudita potrebbe aver usato quest’occasione per accrescere la sua leadership all’interno della comunità sunnita in Medio Oriente, senza cercare sul serio una soluzione al conflitto siriano. Il rischio c’è, e solo il tempo ci dirà come sono andate sul serio le cose.

A Riyad, poi, non erano presenti tutti i gruppi ribelli. Non c’erano i curdi e gli islamisti di al-Nusra, il braccio siriano di al-Qaida. In quest’ultimo caso si tratta di un’assenza “giustificata”. Pur essendo al-Nusra legata ai paesi arabi del Golfo, soprattutto Arabia Saudita e Qatar, la sua natura la rende impresentabile in un negoziato condotto dalle Nazioni Unite. Con l’occidente terrorizzato dalle azioni dello Stato Islamico sarebbe a dir poco bizzarro invitare alle trattative per il futuro della Siria un’organizzazione legata ad al-Qaida. Ma ancora una volta si tratta di un gruppo che controlla un’importante fetta di territorio, la provincia di Idlib, nel nord-ovest della Siria. Alcuni gruppi presenti a Riyad sono alleati militari di al-Nusra, e loro potrebbero rappresentare il collegamento con il processo politico. Alla conferenza, seppur con una posizione molto critica, ha partecipato per esempio un importante gruppo islamista, Ahrar al-Sham.

I curdi, invece, pagano la posizione della Turchia. Essendo in guerra con i curdi del suo paese Ankara si considera in guerra anche con i curdi siriani, seppur in questi anni abbiano combattuto contro il regime e soprattutto contro l’ISIS. In un modo o nell’altro i curdi, che controllano il nord-est della Siria, andranno coinvolti.

Infine il documento firmato a Riyad dice molto chiaramente che ci può essere un negoziato politico solo se Bashar al-Assad lascerà il potere all’inizio della transizione. Una posizione che si scontra non solo con quella del regime, ma anche con quella dei suoi due principali sostenitori, Russia e Iran.

Il processo è molto complesso e al momento non si riesce ancora a ipotizzare come governo e opposizione possano dialogare. Pesano i fallimenti del passato e le ferite profonde della guerra, che con il tempo è diventata anche una guerra settaria. Ma non ci sono alternative al dialogo. E per poter dialogare è necessario che ci siano gli interlocutori, con le idee chiare e una posizione forte. Per questo la creazione di un’unica coalizione che rappresenti il fronte anti-regime è una condizione alla quale non si può rinunciare.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    Il 9 settembre, dopo 14 anni di lavori, l’Etiopia ha inaugurato ufficialmente la Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico d'Africa, e tra i 20 più grandi al mondo. Da anni la diga è anche causa di tensione con i paesi a valle del Nilo: Sudan e soprattutto Egitto, che temono di vedere ridotte le proprie risorse idriche, anche in considerazione dei sempre più frequenti periodi di siccità. “Questa diga sarà certamente uno degli epicentri di tensione di questa regione nel prossimo futuro” spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all'Università di Palermo, al microfono di Sara Milanese. Ascolta l’intervista andata in onda in A come Africa.

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