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“20 milioni di sostenitori di Trump sono stati radicalizzati”: intervista al geopolitologo Alec Ross

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Donald Trump Casa Bianca - Alec Ross

Alec Ross, geopolitologo ed ex-Advisor for Innovation di Barack Obama, oggi anche docente di geopolitica e geoeconomia alla BBS dell’Università di Bologna, è stato ospite di Cult per commentare l’assalto a Capitol Hill e il ruolo dei social media nella radicalizzazione dei sostenitori di Trump.

Credo che degli oltre 74 milioni di sostenitori che hanno votato per Trump circa 20 milioni siano stati radicalizzati“, dice Alec Ross, spiegando che questo lungo processo di radicalizzazione è iniziato ancora prima di Donald Trump. L’intervista di Ira Rubini a Cult.

La verità e la realtà non sono mai state uno degli obiettivi di Donald Trump. Molti hanno pensato che io sia stato troppo estremo nelle opinioni che ho espresso nel corso degli anni su Donald Trump. Adesso la sua volontà di deformare la realtà appare chiarissima a tutti. Nessuno dovrebbe essere sorpreso da quello che è successo al Campidoglio. Io non sono rimasto sorpreso: c’è una linea diretta dall’inizio della presidenza di Trump ad oggi fatta di incitamento alla violenza, produzione di disinformazione e radicalizzazione dei sostenitori. Credo che degli oltre 74 milioni di sostenitori che hanno votato per Trump circa 20 milioni siano stati radicalizzati. Non parliamo di una frangia marginale, ma di un gran numero di persone. È un processo non iniziato con Trump, ma con Fox News e la combinazione di TV, radio e media politici. Tutti questi elementi insieme hanno creato questo processo di radicalizzazione.

Alec Ross negli anni passati ci ha consegnato una grande fiducia nel valore dei social media. Ha cambiato idea dopo quello che è successo recentemente?

No, la mia visione non è cambiata. Credo che la tecnologia in sé sia neutrale. Dipende dalle intenzioni e dai valori delle persone che la utilizzano. Può essere buona o cattiva. È come l’energia nucleare. Può creare o distruggere.

Forse ci sono stati degli sviluppi che neanche Alec Ross aveva previsto?

Il problema sono questi ragazzi della California, i capi delle grandi aziende dei social network. Dopo che Trump è stato bloccato da Twitter sono rimasto sorpreso perché per molti anni i social network non hanno fatto nulla, non hanno alzato un dito. Sono passate direttamente dalla passività al bando. Io conoscono personalmente Mark Zuckerberg e Jack Dorsey – è stato lo stesso Dorsey di Twitter a creare il mio account mentre eravamo seduti su un marciapiede a Città del Messico. Sono due persone molto intelligenti, ma non sono saggi. Sono ingegneri poco sofisticati quando si tratta di politica e di società. Avrebbero dovuto dialogare con Trump e con gli altri politici che gli somigliano, stabilendo anni fa delle politiche molto chiare e il confine che, una volta superato, avrebbe portato a delle conseguenze.

La velocità sempre più estrema con cui vengono diffuse, smentite o modificate le notizie fa la differenza. Che tipo di strategia bisogna utilizzare, soprattutto da parte dei cittadini?

Dobbiamo tornare a fidarci del buon vecchio giornalismo. Il vero giornalismo non è mai stato così importante. Questa diffusione ultra rapida di notizie non sempre accurate non arriva dal giornalismo altamente qualificato. Dobbiamo porre maggiore enfasi sul professionismo nelle notizie.

Cosa può essere fatto anche a livello istituzionale?

Credo che i social network devono fare quello che ha fatto Google col suo algoritmo. Tra i risultati delle ricerche di Google non si vede così tanta disinformazione, mentre gli algoritmi di Facebook e Twitter sono all’opposto.: danno priorità a ciò che è virale. Devono sistemare i propri algoritmi affinché diano priorità alla verità invece che alla viralità.

Chi sono le persone che hanno partecipato all’assalto a Capitol Hill?

Sono persone che vengono dal mio stato, il West Virginia. Quando un italiano mi dice che è andato negli Stati Uniti tante volte e non ha mai visto quelle persone, io chiedo: “Dove sei andato?”. Mi rispondono a New York, Miami o San Francisco. È come quando un americano va in Italia e visita Venezia o Roma. Le persone che avete visto al Campidoglio vengono dall’interno del Paese, dagli Stati come il mio che si vedono solo dagli aerei. Sono queste le persone radicalizzate.

Ogni tanto continua a sentirsi con Obama?

Sì, tanto in tanto. Sono stati quattro anni un po’ difficili, non è stato facile veder distrutto tutto quello che era stato fatto nei suoi otto anni di presidenza. Penso che aiuterà il suo amico Biden, ma al 100% in privato.

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    Redazione
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    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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