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Vučić il neo presidente con qualche ombra

Questo articolo di Giovanni Vale è stato originariamente pubblicato su sito dell’Osservatorio Balcani Caucaso

Da primo ministro a presidente: Aleksandar Vučić ha vinto ieri la sua scommessa e potrà rimanere al potere in Serbia fino al 2022. Col 91% delle schede scrutinate, l’attuale capo di governo e leader del Partito progressista serbo (Sns) ha ottenuto un confortevole 55,13% dei voti, superando la soglia della maggioranza assoluta e rendendo quindi inutile il ballottaggio. Si tratta dunque di una vittoria al primo turno, il cui ultimo caso, nella storia recente della Serbia, risale al 1992, quando l’exploit riuscì a Slobodan Milošević. Questa volta, Vučić prenderà il posto del suo collega di partito (e presidente uscente) Tomislav Nikolić, che lo stesso premier considerava troppo debole per una rielezione. In generale, malgrado una campagna martellante, gli undici candidati non sono riusciti a motivare l’elettorato: appena il 54,55% degli elettori si è infatti recato alle urne, lasciando che un quarto della popolazione decidesse il nome del futuro capo di Stato.

Frammentata e divisa davanti al potente primo ministro, l’opposizione esce dalle urne con le ossa rotte. In seconda posizione, si piazza l’ex Ombudsman Saša Janković con circa il 16,26% delle preferenze, nonostante il sostegno di più di cento intellettuali ed artisti che lo avevano convinto a candidarsi e l’appoggio di diverse formazioni politiche tra cui il Partito democratico (Ds). Lo segue a ruota Luka Maksimović, meglio noto come Ljubiša Preletačević “Beli”, un candidato burla che nei suoi video elettorali proponeva una parodia della politica serba. Col dignitoso 9,43% ottenuto, “Beli”, in groppa al suo cavallo bianco, dimostra quanto grande sia la disaffezione alla politica degli elettori serbi. I restanti pretendenti superano di poco o non superano affatto la soglia del 5%. E’ il caso dell’ex ministro degli Esteri Vuk Jeremić (5.64%) o ancora dell’ultra-nazionalista Vojislav Šešelj (4.47%), il leader del Partito radicale serbo (di cui Vučić fu un membro di spicco fino al 2008).

Nel suo discorso di ieri sera, il premier diventato presidente ha dunque annunciato una vittoria “limpida come l’acqua”, potendo affermare di avere “il 12% in più di tutti gli altri candidati messi assieme”. “Con un risultato del genere, non c’è spazio per l’instabilità”, ha aggiunto il neoeletto presidente, che ha fatto della stabilità in Serbia e nella regione il suo cavallo di battaglia in patria e all’estero. Ma a quest’immagine di uomo del dialogo e di interlocutore indispensabile che Vučić stesso promuove presso le cancellerie europee, fa da contraltare un lato ben più oscuro all’interno del paese. Uno dei punti più critici e che anche i diplomatici europei di stanza a Belgrado sono disposti ad ammettere riguarda l’erosione della libertà d’espressione, con i mezzi d’informazione ormai soggetti ad un’autocensura cronica che ne condiziona il lavoro.

Un’altra questione rilevante riguarda il dirigismo e la mancanza di trasparenza con cui vengono gestiti gli investimenti stranieri, in primis il progetto di “Belgrado sull’acqua”, che, tra leggi speciali, demolizioni illegali e manifestazioni di protesta con decine di migliaia di persone, si appresta a trasformare il volto della capitale serba a un prezzo di circa tre miliardi di euro. Sempre riguardo alla politica interna, l’opposizione pro-europea denuncia la confusione che viene portata avanti tra le istituzioni pubbliche e quelle del potente SNS, il partito guidato da Vučić. “Un tratto comune ai paesi dei Balcani”, minimizza un diplomatico a Belgrado, ma per i detrattori del premier-presidente, l’iscrizione al SNS è ormai diventata necessaria per parti importanti della popolazione per ottenere un lavoro. Proprio questo nesso perverso giustifica la paura che, sempre secondo gli oppositori di Vučić, paralizza la società serba.

Ombre non mancano neanche nella politica estera portata avanti da colui che fu ministro dell’Informazione ai tempi di Slobodan Milošević. Il dialogo con il Kosovo, che viene spesso citato dai rappresentanti europei come un esempio delle concessioni fatte da Vučić in nome della pace nei Balcani, ha vissuto ad inizio anno una drastica involuzione. L’episodio del treno che Belgrado ha inviato nell’ex provincia ribelle con tanto di decorazioni riportanti la scritta “il Kosovo è serbo” è rimasto senza spiegazioni. Vučić, che ha assicurato di essere stato all’oscuro dell’iniziativa, ha in seguito ordinato al treno di fermarsi a pochi chilometri dal confine, scongiurando lo scontro con le forze speciali kosovare già schierate. Alla retorica conciliante che il premier utilizza in occasione dei suoi spostamenti nei Balcani, fa inoltre seguito una propaganda serrata che i tabloid vicini al governo di Belgrado ripetono costantemente in senso anti-albanese, anti-croato e anti-bosniaco.

Insomma, l’uomo che è appena riuscito a prolungare il suo mandato di altri cinque anni, saltando da una poltrona all’altra, potrebbe non essere il “moderato filo-europeo” con cui i paesi europei vogliono convincersi di avere a che fare. Dal suo arrivo al potere nel 2012 (come vice-premier e alleato di maggioranza) e nel 2014 (come premier), Vučić ha in effetti inanellato dei comportamenti democraticamente discutibili. Basti citare la richiesta di elezioni parlamentari anticipate concessa nel 2016 dal capo di Stato Nikolić in nome della stabilità, o ancora la decisione di sospendere l’attività del parlamento a un mese dalle elezioni presidenziali di questa domenica, mentre lo stesso premier proseguiva la sua campagna elettorale senza dare le dimissioni.

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    Osservatorio Balcani Caucaso
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    Gran Bretagna e Germania, i grandi malati d'Europa. Il primo ministro britannico Starmer e il cancelliere tedesco Merz sono entrambi proiettati in una rincorsa della destra estrema. Il laburista britannico Starmer, due settimane fa: «restauriamo ordine e controllo», titolo di un documento presentato alla Camera dei Comuni. Il democristiano tedesco Merz: ci vogliono «controlli ai confini e respingimenti» perchè «l’immigrazione ha un impatto sul paesaggio urbano». Proprio così. Germania e Gran Bretagna, due potenze economiche mondiali: la Germania (80 milioni di abitanti) con il terzo pil del mondo (dopo Stati Uniti e Cina); il Regno Unito (con 60 milioni di abitanti) con il sesto pil mondiale (dopo la Germania c’è il Giappone e l’India e poi il Regno Unito). La “malattia” (la rincorsa ad essere a volte più a destra delle destre) rischia di cambiare i connotati a tradizioni politiche europee centenarie: come il laburismo britannico, il popolarismo democristiano tedesco insieme alla socialdemocrazia, sempre in Germania. Pesa, inoltre, un discorso pubblico sempre più contaminato da un lessico guerresco. Che danni può provocare questa “malattia” in due paesi fondamentali del continente europeo? Pubblica ha ospitato la storica Marzia Maccaferri (Queen Mary, University of London) e il giornalista Michael Braun (corrispondente da Roma del berlinese Tageszeitung).

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    Politici, industriali e finanzieri sono concordi nel sostenere la strada del riarmo e della militarizzazione europea: per i finanzieri si tratta di far fruttare i propri fondi rapidamente e in maniera sicura, per gli industriali idem, con fortissime iniezioni di denaro pubblico, non a caso anche quest’anno hanno fatto il record di vendite come registra il Sipri di Stoccolma il più autorevole istituto di ricerca sulla spesa militare nel mondo. Il problema, spiega Francesco Vignarca, portavoce della Rete Pace Disarmo, ricercatore e analista (tra i curatori del libro Europa a mano armata curato con Sbilanciamoci) è che così vince il discorso di guerra. Banalizzante, propagandistico e pericoloso perché sequestra la democrazia: “Il complesso militare industriale ha un pensiero medio lungo strategico. Stanno già intervenendo per togliere le leggi sulla limitazione alla vendita di armi, perché sanno che dovranno vendere questa sovraproduzione da qualche parte, così come fanno entrare capitali esteri nella nostra industria, come i sauditi in Leonardo, perché non siamo noi gli acquirenti di queste armi”. Ascolta l'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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    L’inquietudine della provincia nel film “Ferine”, in concorso al Noir in Festival

    Trattandosi di un film horror si può raccontare poco. Ferine di Andrea Corsini si sviluppa intorno ad Irene, una donna che desidera una figlia ma nello stesso tempo è costretta a difendersi da chi la ostacola. In seguito a un incidente, la donna va in cerca di sangue per sopravvivere. Il tutto si svolge in un paesaggio vuoto e deprimente: “Cercavo una provincia in cui si respirasse solitudine e isolamento, come la villa di architettura brutalista e il centro commerciale esternamente vuoto. Il cemento da una parte e dall’altra le zone boschive, in cui si scatena l’aspetto selvaggio della storia”. Spiega Corsini, che nel film ha ricreato delle atmosfere che ogni tanto ricordano David Lynch, accompagnate dalla musica di Pino Donaggio: “È sempre stato il mio sogno, ma non avrei mai pensato di riuscirci. Non ho dovuto dirgli quasi niente per arrivare a questo risultato”. Un film prevalentemente femminile, con attrici internazionali che recitano in inglese e in cui gli uomini hanno soltanto parti in secondo piano. L'intervista di Barbara Sorrentini ad Andrea Corsini.

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    Presto Presto – Interviste e analisi - 03-12-2025

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    Lista stupri. Una delle ragazze minacciate: “L’educazione sessuo-affettiva serve ad arginare le violenze”

    L’educazione sessuale a scuola si farà solo con il consenso dei genitori degli studenti minorenni, sia alle medie sia alle superiori. Alla Camera ieri è arrivato il via libera agli emendamenti al ddl Valditara tra le proteste delle opposizioni. È stato respinto anche un emendamento che prevedeva di togliere il consenso dei genitori in caso il corso fosse organizzato dalle Asl, quindi non da associazioni ma dal servizio sanitario nazionale. Intanto, prosegue l’indagine della procura di Roma "lista degli stupri” comparsa nei giorni scorsi nei bagni del liceo romano Giulio Cesare. Al momento il reato ipotizzato è istigazione a delinquere finalizzata alla violenza sessuale. Andrea, una delle studentesse del Giulio Cesare il cui nome era presente nella lista, al microfono di Mattia Guastafierro, ci racconta qual è il clima a scuola: “Ci sono stati dei precedenti, sicuramente non così gravi: stati bruciati dei cartelloni contro la violenza sulle donne nel bagno dei maschi, sono state strappate delle petizioni messe in bacheca per sensibilizzare alla violenza di genere. Purtroppo ci sono persone che hanno avuto un'educazione familiare estremamente poco consapevole di certe cose e purtroppo questa è la prova che un argomento così terribile come lo stupro possa essere utilizzato con leggerezza e, anzi, scritto su un muro di un bagno”. Inoltre, Andrea riconosce l'importanza dell'educazione sesso-affettiva nelle scuole: "Noi passiamo tantissime ore all'interno delle mura scolastiche e quindi deve essere la scuola a insegnare ed arrivare dove la famiglia magari non riesce. C'è molta disinformazione su quello di cui si tratta nell’educazione sessuo-affettiva: serve per insegnare il consenso, per conoscere se stessi senza paure, senza timori e stigmi sociali, per accettare ogni parte di sé. Facendo questo percorso dentro la scuola inevitabilmente la violenza di genere, e le violenze in generale, vengono arginate proprio perché la violenza parte da un'insicurezza. Se noi insegniamo che va bene averle, che queste si possono gestire, come gestire le relazioni, i conflitti ed educare al consenso, io credo che queste cose non succederebbero più. La scuola se ne deve far carico".

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