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Siria, le bombe “diplomatiche” di Trump

L’operazione militare di Stati Uniti, Francia e Regno Unito in Siria rappresenta il più importante attacco occidentale contro il regime di Damasco dall’inizio della guerra. Dopo sette anni di combattimenti, centinaia di migliaia di vittime, milioni e milioni di profughi, una parte dei paesi occidentali ha deciso di punire Bashar al-Assad. Non per i tantissimi morti fatti dall’esercito siriano e dai suoi alleati, ma per il presunto utilizzo di armi chimiche.

I raid hanno colpito un teatro bellico delicatissimo, dove si incrociano gli interessi di una buona parte della comunità internazionale e quelli di quasi tutti i paesi della regione. La guerra in Siria è anche una perfetta guerra per procura, dove diversi attori esterni cercano di aumentare la loro influenza e ridurre quella dei loro avversari. Se vogliamo un conflitto fatto di molti conflitti.

In questa prospettiva l’intervento occidentale, una novità quasi assoluta, avrebbe potuto rappresentare una variabile in grado di incendiare ulteriormente la situazione. Ma vista la sua natura limitata l’operazione decisa dagli Stati Uniti con il supporto di Francia e Regno Unito non cambierà il corso della guerra. In altre parole i raid ordinati da Trump soddisfano tutti, perché permettono a tutti di mantenere la loro presenza in territorio siriano. La prima ministra britannica, Theresa May, ha detto molto chiaramente che l’intenzione non era l’ingresso nella guerra civile siriana e nemmeno un cambio di regime.

Allora per quale motivo tutto questo rumore? La risposta sta nel termine usato da Trump per definire l’azione militare, “deterrente”. Una buona parte dell’Occidente è convinta che fosse arrivato il momento di ribadire a tutti gli attori della comunità internazionale, non solo in Medio Oriente, che le armi chimiche, e più in generale le armi non convenzionali, non si possono usare. Una specie di ricordo delle regole base. In questa prospettiva il messaggio non è diretto solo ad Assad e suonerebbe così: “State attenti perché non staremo più a guardare”. I britannici ci tenevano a lanciare un messaggio alla Russia dopo la vicenda Skripal, gli americani volevano far sentire la loro voce anche all’Iran (in questo caso spinti da Israele) e magari anche alla Corea del Nord. La Siria quindi era il teatro perfetto dove lanciare questo messaggio.

L’operazione mette però in luce anche tutta l’ipocrisia di Europa e Stati Uniti. In Siria sono morte centinaia di migliaia di persone a causa delle armi convenzionali del regime. E nessuno ha mai mosso un dito. In questi giorni molti siriani, come spesso succede non ascoltati dal sistema mediatico, lo hanno fatto notare più volte. Trump, che pensa di aver fatto quello che gli chiedeva l’opinione pubblica occidentale, ha parlato di atrocità contro la popolazione civile, riferendosi al presunto attacco chimico a Duma dello scorso fine-settimana. Ma quelle scene, bombe chimiche o meno, si ripetono quasi quotidianamente da oltre sette anni. Perché nessuno è intervenuto per fermarle prima?

I raid delle scorse ore non cambieranno quindi il corso della guerra e non provocheranno nemmeno un’immediata reazione russa, visto che gli interessi, i mezzi, e le basi di Mosca non sono stati colpiti. Ma sul lungo e sul medio periodo potrebbero mettere in moto dinamiche al momento ancora sconosciute. In Siria potrebbero provocare un’accelerazione della campagna militare di Assad per riconquistare tutto il paese, a partire dall’ultima roccaforte dell’opposizione, la provincia di Idlib, nel nord. A livello internazionale potrebbero rendere ancora più complicati i rapporti tra Russia e Occidente. Ambienti vicini al Cremlino parlano da settimane dell’arrivo di un lunghissimo periodo di isolamento rispetto a Europa e Stati Uniti. Mosca per tradizione non risponde subito, ma è prevedibile che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi metta in campo la sua risposta a Trump.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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