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Sette giorni dopo il cessate il fuoco tra Hamas e Israele, su Haaretz e il New York Times i bimbi uccisi dalle bombe

Sono passati 7 giorni dal cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Un conflitto violento come non si vedeva da anni, durato 11 giorni. Ora le armi tacciono, ma il rumore che hanno provocato è ancora forte. Ed è inevitabile, perché un cessate il fuoco non è una tregua né tanto meno la pace. E’ inevitabile perché Gaza ne è uscita ancora una volta distrutta, strutturalmente ed emotivamente. E perché in undici giorni sono morte nella striscia almeno 260 persone. Di questi, 68 “erano solo bambini” come titola il New York Times. Un lungo articolo costellato delle foto di bambini e bambine uccisi durante i raid. Fotografie che appaiono scorrendo il testo e che bloccano la lettura, senza via di scampo. Ci sono Hamada al-Emour, di 13 anni, e suo cugino Ammar al-Emour, 10 anni, che il 12 maggio erano andati dal parrucchiere per farsi belli per la festa della fine del ramadan e, tornando a casa, un razzo israeliano li ha uccisi entrambi. C’è la grande famiglia al-Qawlaq, che viveva in due appartamenti adiacenti, che sono stati distrutti il 16 maggio. Sono morti in 20 della stessa famiglia, tra cui 8 bambini.

Qui non si tratta, però, di strumentalizzare queste tragiche morti e fare una facile spettacolarizzazione del dolore, né di dare un volto alle vittime. Ma di non lasciare che quanto successo sprofondi nel silenzio delle armi, di stimolare un dibattito, di continuare a parlare di quanto successo. Per questo, il quotidiano israeliano Haaretz ha ripreso le foto pubblicate dal New York Times, ne ha fatto un collage, e l’ha messo in prima pagina. “Questo è il prezzo della guerra” è il titolo. La scelta di Haaretz di non pubblicare le foto dei 2 bambini israeliani morti, presenti invece nell’articolo del New York Times, è stata molto criticata all’interno del paese. L’editore si è poi scusato ma, ancora, questo non è il punto. La scelta del quotidiano di pubblicare le foto e l’articolo sulla versione stampata in lingua ebraica (e non in quella internazionale in inglese) sembra andare nella direzione di cui parlavamo prima: stimolare un dialogo, un dibattito, non dimenticare, non lasciare che quanto successo si assopisca nella quotidianità. Stessa direzione in cui va la dichiarazione di oggi dell’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu, Michelle Bachelet, che durante una riunione straordinaria per discutere della creazione di un’eventuale commissione d’inchiesta internazionale sulle violazioni dei diritti umani nei Territori palestinesi e in Israele, ha detto che i raid israeliani su Gaza potrebbero costituire dei crimini di guerra.

Le bombe lasciano un segno che va oltre gli edifici distrutti e che non si ferma quando smettono di esplodere. E questo non va mai dimenticato.

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    Martina Stefanoni
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