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Il Belgio spaccato in due

Tengono duro i ferrovieri della Vallonia in Belgio. Non intendono buttare al vento decenni e decenni di lotte sindacali, di diritti acquisiti. E poi, in nome di cosa, di uno “zero virgola” dettato dalla fredda logica dell’austerità europea?

No, piuttosto preferiscono perdere un po’ di soldi, ma la lotta non si ferma. Un nuovo preavviso è stato presentato per prolungare lo sciopero ancora per tre giorni – mercoledi, giovedi e venerdi. Treni fermi in tutto il Sud del Paese, chilometri e chilometri di code in auto per entrare nella capitale Bruxelles e una perdita stimata finora attorno ai 40 milioni di euro per uno sciopero che va avanti ormai da otto giorni.

Ma che succede in Belgio?

Il Sud sta male, ci vorrebbero investimenti pesanti nelle strade, nelle infrastrutture, per attirare soldi che finora sono andati solo al Nord, le Fiandre, una calamita di soldi per i servizi, l’industria chimica e l’agricoltura.

Il Sud arranca, i disoccupati delle ricche acciaierie di un tempo non sono riusciti a riconvertirsi, vivono di sussidi o posti pubblici che hanno ottenuto anche grazie alla tessera del Partito socialista.

Quello che è molto strano – e che purtroppo indebolisce il movimento sindacale di questi giorni – è che il Sud è pronto alle barricate, il Nord invece resta tranquillo. I valloni che si sono riversati per le strade di Bruxelles si lamentano per la riforma delle pensioni con l’innanzamento dell’età pensionabile a 67 anni. I fiamminghi che hanno partecipato alla manifestazione erano molto pochi. Gli stessi ferrovieri che subiranno tagli al personale e ai giorni di congedo non fanno sciopero, accettano.

Allora chi ha ragione?

Il Belgio non è un Paese, sono in realtà due Paesi, un po’ come l’Italia del Nord e del Sud, ma in più si ci mettono la lingua diversa e la politica a complicare le cose. «Il nostro scopo è far cadere il governo», ha ammesso chiaramente Michel Meyer, capo del più grande sindacato belga, il Cgsp. Il governo di destra di Charles Michel scricchiola, anche dopo gli attentati del 22 marzo, ma non cade, anzi intima ai ferrovieri di tornare al lavoro.

Se dovesse aprirsi una crisi di governo, si potrebbe tornare alla situazione di tre anni fa, quando per più di un anno non ci fu un governo, talmente era difficile mettere insieme fiamminghi e valloni. Ora i ferrovieri ci stanno riprovando.

  • Autore articolo
    Maria Maggiore
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