Approfondimenti

I giovani credono più nel vaccino dei loro genitori, le sentenze in favore dei salvataggi nel Mediterraneo e le altre notizie della giornata

vaccini italia ANSA

Il racconto della giornata di venerdì 22 ottobre 2021 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. L’86% della popolazione italiana sopra i 12 anni ha fatto almeno due dosi, mentre la fascia meno immunizzata al momento è quella che va dai 30 ai 60 anni. Salvare vite in mare non solo non è un reato, ma è anche un dovere. E mentre la politica e la pubblica opinione obiettano e strumentalizzano, nell’ultima settimana si registrano ben tre fatti giudiziari importanti che danno ragione a chi salva. Dopo aver dato forfait per la terza volta alla Corte d’Assise di Bologna, l’ex boss della banda della Magliana Maurizio Abbatino sarà obbligato a testimoniare il prossimo 3 novembre. Un anno fa veniva approvata la legge contro l’aborto in Polonia e in un anno più di 30mila donne sono andate all’estero per abortire o l’hanno fatto illegalmente. Infine, l’andamento della pandemia di COVID-19 in Italia.

Perché i giovani credono più nel vaccino dei loro genitori?

Nell’ultima settimana in Italia sono stati somministrati in totale 1.269.160 vaccini anti-COVID, di cui circa 345mila prime dosi. Complessivamente l’86% della popolazione sopra i 12 anni ha fatto almeno due dosi. La fascia meno immunizzata al momento è quella che va dai 30 ai 60 anni, in quella tra i 30 e i 40 il 17% non ha avuto nemmeno una dose. Tra i 40 e i 49 il sempre il 17% non è immunizzata, il 13,5% nella fascia tra i 50 e i 59 anni. Al contrario è molto alta la percentuale dei ventenni vaccinati, solo il 12% di loro non ha nemmeno una dose. Perché i giovani credono più nel vaccino dei loro padri?
Lo abbiamo chiesto al sociologo Nicola Ferrigni:


 

Ong, salvataggi in mare e processi. Dall’archiviazione per la Sea Watch3 alla sentenza per l’Asso28

(di Diana Santini)

Salvare vite in mare non solo non è un reato, ma è anche un dovere. La Libia non è un porto sicuro e la sua cosiddetta guardia costiera non è un interlocutore legittimo. Sembrerebbe scontato, evidente, semplicemente ovvio, ma le ong che pattugliano il mare in supplenza chi dovrebbe e potrebbe farlo (gli Stati, l’Europa) affrontano di continuo processi per quello che è semplicemente un gesto di umanità. Mentre la politica e la pubblica opinione obiettano, ignorano, strumentalizzano queste poche semplici verità, nell’ultima settimana si registrano ben tre fatti giudiziari importanti, che danno a chi salva un’altra volta ragione. Ieri il gip di Agrigento ha accolto la richiesta di archiviazione nel processo a carico del comandante della Sea Watch3: Arturo Centore, quando soccorse nei pressi delle coste libiche un gruppo di migranti nel luglio del 2019, non solo non commise alcun reato ma “aveva l’obbligo di prestare soccorso e di provvedere al trasporto in luogo sicuro”. Il provvedimento critica anche apertamente gli Stati per “non essersi assunti alcuna responsabilità” in proposito.
Se il processo alla Sea Watch è stato archiviato, quello a carico della Mare Jonio, che si riferisce a un salvataggio avvenuto nello stesso periodo, non è invece ancora finito: il pm ha però già chiesto per il capitano e l’armatore della nave di Mediterranea (che tra l’altro in questi giorni si appresta a tornare in mare) l’archiviazione: erano stati indagati per favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina poiché la Mare Jonio rifiutò qualsiasi contatto con le autorità libiche e, disobbedendo agli ordini provenienti dal ministero dell’Interno italiano fece rotta verso nord, sbarcando la mattina successiva a Lampedusa.
C’è infine, sempre in quest’ultima settimana, un’altra sentenza importante da segnalare, ed è di condanna a carico del comandante di un mercantile, l’Asso28, che dopo avere salvato alcuni migranti in mare li riconsegnò alle autorità libiche: le motivazioni non sono ancora state depositate, ma la richiesta si basava sulla tesi che la Libia non è un porto sicuro.

Due papà fermati a Linate: “Temevano che avessimo rapito i nostri figli”

“Volevano controllare che non avessimo rapito i nostri figli”. È una storia di pregiudizio e di legislazione assente quella di cui sono stati vittima Carlo Tumino e Christian De Florio, genitori milanesi di due gemelli nati negli Stati Uniti. Ieri a Linate, prima di prendere un volo, la polizia di frontiera li ha fermati perché i documenti dei due figli non erano riconoscibili. Possedevano il passaporto statunitense, ma non avevano con sè la carta d’identità italiana. La polizia ha chiesto loro dove fosse la madre per verificare che non li avessero rapiti. Solo dopo 25 minuti e accertato che i documenti erano a norma, la famiglia è stata lasciata andare. “In Italia dobbiamo ancora giustificare la nostra famiglia, ci hanno trattati con la violenza del pregiudizio e lo hanno fatto proprio davanti ai due bambini”, hanno denunciato i due papà sul loro blog “Papà per scelta”:


 

Strage di Bologna, la Corte d’Assise obbliga Maurizio Abbatino a parlare

(di Riccardo Tagliati)

È già la terza volta che Maurizio Abbatino, ex boss della banda della Magliana, poi divenuto collaboratore di giustizia, dà forfait alla corte d’assise di Bologna che lo vuole ascoltare nell’ambito del processo sui mandanti della strage del 2 agosto 1980.
La prima è stata lo scorso 24 settembre: aveva mandato un certificato per precarie condizioni di salute, al che la Corte aveva rinviato l’audizione a venerdì scorso. In quell’occasione il legale di Abbatino aveva mandato una mail alla Procura chiedendo di ascoltare il teste in video.
La video conferenza era in programma oggi, ma anche in questo caso Abbatino non si è presentato dicendo di non sentirsi sufficientemente protetto. A quel punto il presidente della Corte, il giudice Caruso ha disposto che l’audizione avvenga obbligatoriamente il prossimo 3 novembre. E per questo la Corte ha dato mandato al servizio centrale di protezione di dare corso senza ritardo all’audizione
Sono gli avvocati di parte4 civile che difendono i famigliari delle 85 vittime che vogliono venga sentito in aula Abbatino: “A lui vogliamo chiedere dei rapporti tra i Nar e la banda della Magliana” ha detto qualche giorno fa l’avvocato Speranzoni.
Proprio nei legami tra neofascisti, malavita, servizi deviati e loggia P2 affonda le radici, ne sono convinti procura generale e famigliari delle vittime, lo stragismo che a Bologna ha mietuto 85 vittime innocenti in un sabato d’agosto del 1980.

Un anno dopo l’approvazione della legge contro l’aborto in Polonia

(di Martina Stefanoni)

Il simbolo dell’aborto illegale nel mondo è una gruccia, quelle usate per appendere i vestiti. Le donne che non riescono ad abortire in modo legale – perché viene loro vietato – utilizzano ogni metodo a loro disposizione per poter porre fine ad una gravidanza indesiderata. Anche quelli più dolorosi e pericolosi, come l’Abortion Hanger, l’aborto con le grucce, appunto.
Questo perché, per una donna, abortire non è un’opzione, non è qualcosa che si può fare così come no. Se una donna sceglie di abortire, è perché non ha altra scelta. I motivi sono diversi – economici, sociali, psicologici, familiari, sanitari – ma il concetto è lo stesso. Non si può fare altrimenti. Per questo, le leggi che – in giro per il mondo – limitano o addirittura rendono illegale l’aborto, non hanno nessun effetto sull’eliminazione della pratica, semplicemente la rendono più difficile, più pericolosa e più dolorosa.
Un anno esatto fa, in Polonia, veniva approvata una legge che vieta l’aborto anche in caso di malformazione del feto e che in pratica sancisce il divieto quasi totale di interrompere la gravidanza. La legge, che ha limitato ulteriormente il già terribilmente piccolo diritto all’aborto delle donne polacche, aveva scatenato proteste in tutto il paese.
Ora, 12 mesi dopo l’approvazione della legge, le donne e le associazioni femministe fanno i conti. Secondo l’associazione Abortion Without Borders, che aiuta le donne ad accedere in modo sicuro all’aborto, in un anno, almeno 34mila donne hanno abortito in modo illegale o sono andate all’estero per farlo. Numeri che, secondo l’associazione, sono solo la punta dell’iceberg. Nei primi sei mesi dopo l’approvazione della legge, 17mila donne hanno chiamato l’associazione per cercare aiuto, e tutt’ora, ricevono circa 800 telefonate di questo tipo al mese. Numeri simili vengono riportati dalle altre associazioni che si occupano del diritto all’aborto, come Federa e Women help Women, che in questi 12 mesi ha detto di aver ricevuto circa 80mila messaggi solo dalla Polonia.
Ciò che preoccupa maggiormente, è che l’attacco ai diritti delle donne in Polonia sembra essere solo all’inizio. A Settembre, è stata presentata in parlamento una proposta di legge – portata avanti da un gruppo ultra conservatore – che porterebbe a considerare l’aborto (fatto a qualunque punto della gravidanza) come un omicidio e, quindi, le donne che abortiscono – e chiunque le abbia aiutate – andrebbero incontro a sanzioni di tipo penale, fino a 25 anni di carcere.
Mentre le tensioni tra Polonia e Bruxelles si intensificano, le donne polacche devono lottare, tutti i giorni, per un diritto che nell’Unione Europea dovrebbe essere facilmente accessibile.
La situazione dei diritti umani in Polonia è in caduta libera, ma le donne sanno che se smettono di combattere, nessuno lo farà per loro.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

(di Massimo Alberti)

Oggi è uscita la bozza del consueto monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità che nella settimana 10-17 ottobre conferma un lieve aumento dell’RT, comunque 0,86 quindi sotto l’1, ed un leggero aumento dell’incidenza in 17 regioni. Scende il tasso di occupazione sia delle terapie intensive sia dei reparti ordinari. 4 le regioni a rischio moderato, Abruzzo, Campania, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte. L’ISS quantifica in circa 1 milione i lavoratori senza green pass.
Per quanto riguarda i vaccini, 349 mila le dosi nell’ultima settimana, in calo. 7 milioni 600mila non hanno fatto alcuna dose, concentrati nella fascia 30-49 anni. Mentre tra i 20 ed i 29 anni l’80% ha la copertura della doppia dose.
I nuovi casi di oggi sono 3882, 39 i morti. Continua il calo delle terapie intensive e la leggere crescita dei ricoveri nei reparti ordinari.
Nonostante qualche segnale di maggiore circolazione, la situazione non è minimamente paragonabile ad un anno fa.

Il 22 ottobre del 2020 i morti erano 91,i nuovi casi quasi 20mila, i ricoveri crescevano al ritmo di quasi 900 pazienti al giorno, i ricoverati in terapia intensiva erano oltre 1000. La campagna vaccinale di massa ancora un miraggio lontano, le prime dosi arriveranno solo il 27 dicembre. Eravamo nel pieno della seconda ondata l’Italia si preparava a richiudere. La lenta risalita era iniziata ad agosto, per aumentare a settembre, per impennarsi ai primi di ottobre. “Impennata di positivi e vittime”, “grandi città sotto assedio” erano i titoli che si potevano leggere sui giornali dell’oggi di un anno fa. “Verso il coprifuoco, fuori solo per lavoro e scuola” erano i titoli di due giorni dopo. E la chiusura, tra le proteste che partivano da Napoli, arrivarono il 25 ottobre. “il lockdown del tempo libero” “Italia chiusa alle 18”, titolavano i quotidiani di quella domenica. Per raggiungere il picco si sarebbe penato ancora un mese, fino al 17 novembre. Poi, grazie alle restrizioni, l’inizio della discesa, seguita il 26 novembre dal picco delle terapie intensive, con 3846 ricoverati gravi. Il 4 dicembre si tocco il picco di 741 morti. Il numero di vaccinati al 22 ottobre 2020 era Zero. Oggi, un anno dopo, i ricoverati gravi sono 343. Tra questi i vaccinati sono 2,2 per milione di abitanti. Quelli non vaccinati più del triplo, 32 per milione di abitanti. Il 78,32% della popolazione generale – l’86 dei vaccinabili – è coperto con almeno una dose.

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