Approfondimenti

La fine della tregua e lo stop agli aiuti umanitari, i nuovi dettagli sul caso Delmastro e le altre notizie della giornata

bombardamenti Gaza ANSA

Il racconto della giornata di venerdì 1° dicembre 2023 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. La tregua tra Hamas e Israele, durata 7 giorni, è finita e Israele ha ripreso i bombardamenti lungo tutta la striscia di Gaza: i morti da questa mattina sono 178. Le opposizioni stanno valutando la possibilità di presentare una mozione di sfiducia unitaria contro il sottosegretario Delmastro. La Procura di Milano ha avviato un’indagine sul Cpr di via Corelli dopo anni di segnalazioni e denunce. Mattarella ha firmato la legge che punta a vietare la produzione e commercializzazione di carne coltivata in Italia e il testo è stato trasmesso a Bruxelles, ma il provvedimento potrebbe avere vita molto breve.

La fine della tregua cambia l’epicentro dei bombardamenti

La tregua tra Hamas e Israele, durata 7 giorni, è finita. Israele ha ripreso i bombardamenti lungo tutta la striscia di Gaza. I morti da questa mattina sono 178, compresi tre giornalisti, e numerosi sono anche i feriti che tornano ad affollare gli ospedali già al collasso. L’esercito israeliano ha detto di aver colpito 200 obiettivi da questa mattina. Intanto il gruppo libanese di Hezbollah ha rivendicato un attacco contro soldati israeliani lungo la frontiera con Israele, mentre i media libanesi riportano che un bombardamento israeliano ha ucciso due civili nel sud del Paese. Lo scambio segna la fine della tregua anche lungo questo fronte.
Con la ripresa della guerra, anche centinaia di camion di aiuti sono stati bloccati al valico di Rafah e non sono entrati nella striscia pesando su una popolazione allo stremo e che ora, secondo quanto si apprende dall’esercito israeliano, saranno costretti ad evacuare di nuovo, anche dal sud della striscia.

(di Martina Stefanoni)

Li abbiamo visti camminare per chilometri e chilometri, a bordo di asini e cavalli i più fortunati, a piedi tutti gli altri, con anziani e malati in sedia a rotelle, migliaia e migliaia di bambini e ragazzini abbracciati ai loro genitori. Sono andati dal nord della striscia e da Gaza City, verso il sud, perché così chiedeva Israele e perché la situazione al nord stava diventando incompatibile con la vita. Poi c’è stata la tregua. 7 giorni di respiro in cui gli ultimi rimasti al nord – chi poteva – si sono faticosamente spostati a Khan Younis o a Rafah. Oggi, quando il silenzio è stato rotto dalle esplosioni e dagli spari, per la popolazione di Gaza l’incubo è ricominciato, come ci ha raccontato da Rafah Mohammad:

È chiaro, ormai, che il nuovo epicentro dei bombardamenti sarà il sud, in particolare Khan Younis, dove centinaia di migliaia di persone hanno cercato rifugio. Ora una nuova pioggia di volantini lanciati questa mattina dall’esercito israeliano chiede a queste persone di evacuare. “Siete stati avvisati” si legge su questi volantini, che hanno un elemento nuovo: un QR code, ironico se si pensa che una delle difficoltà principali per la popolazione è caricare il cellulare. Il codice manda ad un sito dell’IDF che mostra una cartina della striscia divisa in centinaia di blocchi numerati che dovrebbe man mano aiutare i civili a capire se la zona dove si trovano diventa pericolosa, per poi spostarsi. Dove, però, non si sa.

La Casa Bianca ha detto che gli Stati Uniti continuano a lavorare per una tregua umanitaria a Gaza con Israele, Egitto e Qatar. Un portavoce del consiglio della sicurezza nazionale ha detto che “Hamas non ha finora fornito un elenco di ostaggi che consenta un prolungamento della pausa”. Il governo israeliano ha fatto sapere che tra le persone ancora prigioniere di Hamas ci sono 115 uomini, 20 donne e due bambini. La maggioranza, ovvero 126, sono israeliani e 11 sono cittadini stranieri, di cui otto thailandesi. Sentiamo Meron Rapoport, giornalista israeliano ex caporedattore del quotidiano Haaretz:


 

L’ipotesi di una mozione di sfiducia contro Delmastro

Le opposizioni stanno valutando la possibilità di presentare una mozione di sfiducia unitaria contro il sottosegretario Delmastro. A proporla sono stati per primi Verdi e Sinistra Italiana, dopo che oggi sono state diffuse alcune delle carte del procedimento che lo riguarda: ne emerge l’accanita ricerca da parte di Delmastro di elementi e prove sul caso Cospito, estorti al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria grazie alla sua posizione di sottosegretario e poi usati in aula per attaccare il PD dal collega di partito e coinquilino Giovanni Donzelli. Il servizio da Roma è di Anna Bredice:


 

L’effimero pasticcio legislativo del divieto alla carne coltivata

La firma del presidente Mattarella, la trasmissione a Bruxelles del testo della legge: è iniziata la breve parabola del ferreo divieto di produzione e commercializzazione di carne coltivata in Italia. Dal governo si approfitta per festeggiare, visto che la legge avrà con ogni probabilità vita breve: la firma di Mattarella è subordinata all’accoglimento dei rilievi che verranno da Bruxelles sul testo. Commissione e singoli stati hanno tre mesi, ora, per eccepire l’ovvio: la legge contrasta con le norme sulla libera circolazione delle merci in Europa, e dunque non potrà mai entrare effettivamente in vigore. Nel frattempo, fino a marzo dunque, è sospesa, ma nel dibattito pubblico e sui giornali megafono del governo la legge esiste eccome: e può fungere anzi da ottimo argomento di conversazione per cene e cenoni natalizi, dove la carne non manca mai e signora mia, vuoi mettere con quegli intrugli di laboratorio che ci vogliono propinare. Il ministro Lollobrigida, che ha firmato con quello della salute Schillaci questo effimero pasticcio legislativo, è raggiante: siamo i primi al mondo, e forse varrebbe la pena di chiedersi il perché. La consolazione, o disperazione a seconda di come la si vede, è che stiamo parlando di nulla: non c’è infatti alcun produttore di carne coltivata in laboratorio che abbia chiesto un’autorizzazione all’immissione sul mercato europeo. Ma tant’è, il governo brinda, e scrive leggi come mangia.

Le indagini della Procura sul Cpr di via Corelli a Milano

Ora si accende anche il faro della Procura sul Cpr di via Corelli a Milano. A far scattare l’indagine dei magistrati hanno contribuito le innumerevoli denunce pubbliche fatte in questi anni da attivisti antirazzisti, giornalisti e alcuni politici.

(di Roberto Maggioni)

Nelle carte dell’inchiesta della Procura c’è tutto il corollario di denunce fatte in questi anni da tutti coloro che si sono occupati di Cpr. Trattamenti disumani, cibo scadente, abuso di farmaci, impossibilità di comunicare con l’esterno, assistenza sanitaria negata. I Cpr sono questo e ora su quello di via Corelli a Milano c’è anche la parola dei magistrati.
Chissà se questa inchiesta scalfirà i piani del governo che i Cpr li vorrebbe moltiplicare e addirittura esternalizzare oltre i confini nazionali. Ne dubitiamo, si dirà che questi gestori di via Corelli sono delle mele marce e si proverà a difendere l’indifendibile.
Dall’indagine della Procura per turbativa d’asta e frode in pubbliche forniture emerge che la società Martinina Srl, per aggiudicarsi il bando da 4,4 milioni di euro per gestire per un anno i 72 posti di via Corelli, aveva promesso di tutto: dal cibo biologico ai mediatori culturali, dall’assistenza sanitaria di qualità alle attività religiose, sociali e ricreative. E invece nulla di tutto ciò è stato fatto. Nell’assenza di controlli e di occhi indipendenti in quei luoghi di segregazione può avvenire di tutto. E avviene. Da oggi però sappiamo che, almeno qui a Milano, le denunce pubbliche fatte da attivisti, associazioni come Naga e rete No Cpr, e da quei pochi parlamentari che ispezionano i centri – in questo caso il senatore ex 5 Stelle Gregorio De Falco – non sono cadute nel vuoto.

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    A Gaza resta in vigore il fragile cessate il fuoco concordato a Sharm el Cheik, ma l’intesa tra Hamas e Israele è costantemente minacciata da accuse reciproche di violazione degli accordi. Al centro delle tensioni con il governo di Tel Aviv ci sono soprattutto i 19 corpi degli ostaggi non ancora restituiti dai miliziani, e il disarmo dell’organizzazione palestinese. Hamas da parte sua accusa Israele di violare la tregua e denuncia che sui corpi dei palestinesi morti in carcere e riconsegnati da Tel Aviv ci sono evidenti segni di tortura. Resta grave la situazione umanitaria: le agenzie Onu affermano che nella Striscia entra una quantità ancora troppo esigua di aiuti umanitari, mentre l’organizzazione mondiale della sanità parla di una diffusione incontrollata delle malattie infettive. Intanto il valico di Rafah resta chiuso. Giovanna Fotìa, dell’Ong WeWorld, è la responsabile dei progetti per la Palestina.

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