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    Il sistema “mafio-corruzione”: come cambiano i poteri criminali in Italia. Intervista con Roberto Scarpinato.

    A cura di:

    Raffaele Liguori

    Roberto Scarpinato è il procuratore generale di Palermo. Si è occupato di alcuni dei più noti processi di mafia degli ultimi 25 anni: da quello a carico di Giulio Andreotti (l'Andreotti complice della mafia fino al 1980), a quelli per gli omicidi Lima, Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa e poi le indagini sui progetti di eversione sottostanti alla stragi del '92/93. Scarpinato ha un'idea precisa della storia d'Italia: non la si può conoscere fino in fondo se non si conosce anche il suo lato “osceno”, fuori dalla scena, cioè la criminalità del potere. Il magistrato racconta in questa intervista a Memos le trasformazioni della mafia in questi anni, i suoi mutamenti attraverso il passaggio dalla prima alla seconda repubblica. Le mafie si sono trasformate anche a causa della crisi economica. Ma le mafie non si possono combattere fino in fondo se non si combatte la corruzione. «Assistiamo – racconta Scarpinato – ad una proliferazione di sistemi criminali che noi chiamiamo “mafio-corruzione”: l'incontro a mezza strada, nella “terra di mezzo”, tra colletti bianchi che appartengono al mondo politico-amministrativo, finanziario e aristocrazie mafiose che gestiscono gli affari utilizzando soprattutto lo strumento della corruzione, e la violenza solo come extrema ratio». Scarpinato denuncia le “gravissime ricadute sociali di una corruzione che comporta tagli allo stato sociale”. «E' inutile che ci giriamo attorno – dice il magistrato - con l'alto commissariato, con i piccoli aggiustamenti, qui ci vuole un intervento radicale», che significa far aumentare il rischio penale della corruzione: non basta alzare le pene, occorre aumentare il rischio di scontarle concretamente.

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