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Negli Stati Uniti è scontro senza precedenti tra la Corte Suprema e la Casa Bianca

Stati Uniti Trump Casa Bianca ANSA

Il punto di non ritorno è stato probabilmente toccato. Alcuni la chiamano crisi costituzionale. Altri non hanno paura di usare un termine piuttosto forte. Poteri dittatoriali. Lo si chiami come si preferisce, ma quanto successo tra sabato sera e ieri, martedì, mostra che lo scontro tra potere giudiziario e potere esecutivo non solo è iniziato, ma ha raggiunto appunto livelli mai sperimentati prima, da cui dipende il futuro degli Stati Uniti come democrazia.

Vediamo i fatti. Sabato l’amministrazione Trump ordina la deportazione di oltre 200 detenuti, in gran parte venezuelani, alcuni salvadoregni, in El Salvador, sulla base dell’Alien Enemies Acrt, una legge del 1798 che dà al presidente poteri eccezionali per arrestare e deportare stranieri ostili in tempo di guerra. Gli Stati Uniti non sono in guerra, almeno ufficialmente, ma Trump ha deciso di usare quell’antica legge per sbarazzarsi di noiose garanzie legali, e deportare chi vuole. Immediatamente, mentre i detenuti sono in procinto di partire, l’American Civil Liberties Union si rivolge a un giudice federale di Washington DC, James Boasberg, che effettivamente blocca la deportazione. E dice all’avvocato del governo presente: “Non importa come lo facciate, che si tratti di far tornare indietro un aereo o di non imbarcare nessuno sull’aereo, lascio a voi decidere. Ma questa è una cosa che dovete assicurarvi venga rispettata immediatamente”.

Allora, non ci sono dubbi possibili su quello che il giudice ha detto sabato sera al rappresentante del governo. Dovete immediatamente bloccare le deportazioni, sia che l’aereo sia ancora a terra, sia che sia in volo. Se è in volo, deve tornare. Non ci sono dubbi possibili sull’ordine del giudice, e invece l’amministrazione cosa fa? Non rispetta l’ordine, e manda tutti i deportati in una prigione di El Salvador. Al momento della decisione del giudice, è emerso poi da una verifica dei tempi, l’aereo era un volo.

Infuriato perché la sua sentenza non è stata rispettata, il giudice Boasberg richiama gli avvocati del governo. E questi, per giustificare la deportazione, gli rispondono. Il suo ordine non era scritto, e non iniziava con la frase tradizionale. As Discussed in Today’s Hearing, come discusso nell’udienza di oggi. Non è uno scherzo. Gli hanno risposto davvero così. Prendendolo in giro. Non ha pensato di prenderlo in giro Donald Trump, che a quel punto ha preso in mano il cellulare e su Truth Social ha postato la richiesta di impeachment per il giudice Boasberg, definendolo un pazzo radicale di sinistra.

A quel punto, in una mossa inusuale per una personalità abituata a calibrare col gontagocce le sue dichiarazioni pubbliche, è emerso il presidente della Corte Suprema, John Roberts, che ha detto che non è la richiesta di impeachment la scelta più giusta per dirimere la questione. Basta seguire ciò che la legge prevede, e quindi ricorrere in appello. Ecco, la legge, il punto è ormai questo. In un sistema democratico, il potere giudiziario è incaricato di vagliare il rispetto della legge. Nessuno è al di sopra della legge, nemmeno un presidente. Altrimenti, si sarebbe in un sistema assoluto, totalitario, in cui le leggi da far rispettare le decide arbitrariamente un corpo politico, o un capo della nazione sciolto da qualsiasi controllo e regola.

Trump, ormai, si comporta sempre più così. Rispetta la legge quando la legge gli serve per colpire i suoi nemici. Per il resto, ormai sempre più chiaramente, non rispetta le leggi che non gli piacciono. E questo, appunto, fa assomigliare l’America sempre meno a una democrazia.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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