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Ma gli Stati Uniti d’Europa sono lontani

L’Europa guarda agli Stati Uniti e aspetta di sapere con chi avrà a che fare nei prossimi quattro anni. Con quale presidente si riaprirà la trattativa sul trattato di libero scambio, il contestatissimo Ttip. Chi sarà l’interlocutore per la lotta al terrorismo. Che rapporto avrà la nuova amministrazione americana con la Russia, vicina di casa dell’Europa, con la ferita ancora aperta dell‘Ucraina.

Tra poche ore sapremo chi troverà Bruxelles alla cornetta del telefono dello studio ovale. Ma – per quello che interessa noi europei – la questione resta quella rimarcata con perfidia da Henry Kissinger tanti anni fa. “Quando dobbiamo parlare con l’Europa non sapiamo a chi telefonare”, disse l’allora segretario di Stato. E da allora le cose non sono cambiate. Sembrava stessero cambiando, in realtà, sembrava che la strada imboccata dall’Unione europea fosse irreversibilmente, anche se lentamente, quella degli Stati Uniti d’Europa. Ma oggi è tutto in forse e, anzi, è lo stesso progetto europeo a essere in discussione. L’ultimo scontro Renzi-Juncker è un esempio: al di là del merito della questione soldi e investimenti: il capo di governo di uno dei paesi principali dell’Unione dice semplicemente: non mi interessa, io faccio quello che voglio. Qualche anno fa sarebbe stato impensabile. L’Unione europea ha sbagliato tanto. Molto a causa dell’inadeguatezza dei suoi centri di comando a Bruxelles. Tanto, e forse ancora di più, per le convenienze e l’opportunismo dei governi nazionali.

Ma oggi è un fatto che l’Unione è una dis-unione. E guardando agli Stati Uniti non può non avvertire la propria condizione ancora di più. L’Europa non è una democrazia. Il Parlamento di Strasburgo è poco più di un simulacro. La Commissione è debole perché, in assenza di forti personalità politiche, e Juncker non è tra queste, è in balìa dei governi nazionali. Questi ultimi hanno smesso da tempo di pensare a un futuro comune. I partiti transnazionali non esistono, se non in periodiche kermesse di scarsa utilità. Non è nulla di nuovo, lo sappiamo da tempo, ma ora questo deficit di democrazia ci è esploso in mano. E se i cittadini europei non sono più europeisti la ragione è soprattutto questa. Il dramma dei migranti ha fatto da detonatore. E si è capito che l’Europa politica e democratica non c’è. Tra poche ore ascolteremo l’inno americano. L’inno alla gioia è sempre più, solamente, la nona di Beethoven.

  • Autore articolo
    Alessandro Principe
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    L’Europa e il bellicismo crescente delle sue classi dirigenti. L’ultimo caso, quello dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e la postura aggressiva che dovrebbe tenere la Nato. Cosa possono fare il pensiero e la cultura della pace per contrastare l’escalation bellicista e la normalizzazione della violenza? Le risposte possono non essere quelle consuete, soprattutto perché in Occidente stiamo assistendo ad un cambio delle coordinate geopolitiche costruite negli ultimi ottant’anni. Un esempio. Il settimanale «The Economist» ha scritto nella sua rubrica di geopolitica «The Telegram» apparsa oggi sulle pagine online: «In Europa le preoccupazioni per l’inaffidabilità dell’America sotto Donald Trump stanno lasciando il posto a un timore più grande: che, pur presentandosi come il campione della civiltà occidentale, egli consideri ormai le democrazie occidentali reali come avversarie. “Nella Washington di oggi” - scrive il nostro editorialista di The Telegram - l’Europa “è spesso descritta con maggiore disprezzo rispetto alla Cina o alla Russia”. Pubblica oggi ha ospitato Donatella Della Porta, scienziata della politica, e Agostino Giovagnoli, storico.

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