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L’Occidente alla guerra in Libia

Mentre continua lo stallo politico in Libia, per il mancato voto di fiducia al governo di unità nazionale – votazione rimandata alla prossima settimana – in Occidente sembra passata l’idea del baratto della Siria con la Libia.

Mano libera a Mosca in Siria, in cambio della mano libera delle potenze occidentali in Libia. Con o senza legittimità internazionale. La Casa Bianca ha già dettato la linea con l‘attacco sulla base di Daiesh a Sabratha, ottenendo la collaborazione di Gran Bretagna, da dove sono partiti i caccia, e dell’Italia, che ha dato il consenso al decollo dei droni dalla base USA di Sigonella, in Sicilia. La linea interventista di Washington è stata assecondata da Francia e Gran Bretagna, che hanno già sul terreno reparti speciali. E dalle ultime dichiarazioni di Paolo Gentiloni e Matteo Renzi, malgrado il politichese, sembra in arrivo anche un probabile assenso italiano, dopo l’accordo per le operazioni offensive dei droni USA a partire dalla base di Sigonella – accordo rivelato dalla stampa statunitense. Non solo: secondo fonti libiche, a Mlita, vicino a Zuara, ci sono forze speciali italiane in difesa dell’impianto di Gas, che collega le coste libiche con il terminale di Gela.

Tutto questo suonar di tamburi di guerra viene fatto nel nome di un dilagare delI’influenza di Daiesh su nuovi territori in Libia, sfruttando il vuoto politico nato dalla permanente indecisione sul governo di riconciliazione nazionale tra le parti libiche proposto dall’ONU, dopo lunghe trattative a Skhierat in Marocco.

In realtà per combattere Daiesh non ci sarebbe bisogno di truppe combattenti straniere, ma sarebbe utile e sufficiente metter fine all’embargo internazionale contro l’Esercito libico. E quello che, da almeno un anno e mezzo, chiedevano il governo e il Parlamento riconosciuti internazionalmente, si è rivelato una realtà, proprio in questi giorni a Bengasi. La vittoria militare delle truppe governative che hanno conquistato le ultime due roccaforti degli jihadisti nel capoluogo della provincia orientale, ha dimostrato appieno che una volta aggirato l’embargo sugli armamenti, l’esercito libico ha la capacità di sconfiggere il terrorismo jihadista. A Bengasi i rifornimenti militari francesi arrivati a Zentan via terra dalla Tunisia, e poi per via aerea fino a Benina, l’aeroporto di Bengasi, hanno permesso di bloccare l’arrivo di nuove reclute e armamenti via mare da Sirte agli jihadisti assediati nei quartieri di Allithi e Abu Atni. La stampa libica da tempo parla della presenza di reparti speciali francesi a Labraq e britannici a Tobruk, ma ufficialmente avrebbero compiti di addestramento. Le Monde rivela invece che questi reparti hanno invece compiti di azioni sul terreno, per assassini mirati e operazioni speciali.

In questo quadro di avanzato coinvolgimento degli occidentali in operazioni militari in Libia, la linea di prudenza italiana, che antepone il raggiungimento di un accordo politico tra le parti prima di un intervento – nel quadro dell’ONU o per richiesta di un governo unitario, nei limiti di un operazione di peacekeeping -viene ad essere sconfessata dal protagonismo delle altre potenze occidentali. Gli interessi contrapposti fanno avanzare anche scenari di smembramento della Libia in tre province, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, come ai tempi dell’impero ottomano.

Ipotesi fortemente contrastata dai politici e dalla società civile libica, che non può essere portata a termine, se non al costo di molte vite umane libiche ed occidentali.

  • Autore articolo
    Farid Adly
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