Da qualche mese, Jane Fonda – che compirà 88 anni il prossimo 21 dicembre – ha rilanciato il Comitato per il Primo emendamento, un’organizzazione fondata, tra gli altri, da suo padre Henry durante gli anni del maccartismo, per contrastare la persecuzione anticomunista di quel periodo. Oggi, che non è trascorso neppure un anno dall’insediamento di Donald Trump, Fonda e con lei oltre 2.000 professionisti hollywoodiani denunciano un uguale pericolo per la democrazia e la libertà d’espressione negli Stati Uniti, ribadendo quanto sia cruciale vigilare e soprattutto intessere una rete di solidarietà per respingere gli attacchi. L’attrice si è anche espressa immediatamente e con contrarietà alla notizia giunta una decina di giorni fa sul possibile acquisto di Warner Bros. da parte di Netflix, ulteriore tappa di un quadro industriale che negli ultimi anni ha visto sempre più ridursi nelle mani di pochissimi le diverse multinazionali dei media e dell’intrattenimento. «Per gli attori, gli sceneggiatori, i registi, i montatori, i designer e le maestranze che già lottano per il proprio lavoro, questo tipo di fusione diminuisce la generale richiesta delle loro competenze. E quando solo una manciata di mega-compagnie controlla l’intera filiera, guadagna il potere di schiacciare ogni gilda e sindacato, rendendo ai lavoratori ancora più difficile contrattare, farsi valere o anche solo semplicemente guadagnarsi da vivere» ha scritto Fonda in un editoriale. «Ma, per quanto pericolosa possa essere questa ricaduta economica, non è ciò che mi spaventa di più» ha continuato. «Ciò che mi terrorizza – e che dovrebbe terrorizzare chiunque abbia a cuore una società libera – è il modo in cui l’amministrazione Trump utilizza questo tipo di operazioni come strumento per effettuare pressioni politiche e censure». Fonda si riferisce, tra le altre cose, a un’altra fusione avvenuta da poco, quella tra Paramount e Skydance, gruppo ora controllato da David Ellison, figlio del multimiliardario della tech company Oracle Larry Ellison, grande sostenitore di Trump. Ma andiamo con ordine: i Warner Bros. sono uno dei maggiori studios hollywoodiani, in attività da più di un secolo, tra le major che hanno contribuito a fondare l’industria, che già nel 2022 è stato oggetto di un’altra fusione controversa, quella con il gruppo Discovery. Il detestato CEO David Zaslav – uno dei principali “nemici” durante il famoso sciopero di attori e sceneggiatori del 2023 – ha licenziato in tronco, ha cancellato progetti in corso, ha messo in piedi discutibili strategie di marketing, ha buttato via film già pronti per ottenere in cambio sgravi fiscali, e ora sostiene, con i suoi azionisti, che non ci sia altro da fare che vendere Warner al miglior offerente. L’offerta di oltre 80 miliardi avanzata da Netflix è stata accettata, gettando nel panico tutti gli addetti ai lavori e gli spettatori appassionati: chi ama il cinema sa che Netflix è un’aperta oppositrice della distribuzione in sala, e infatti il suo capo Ted Sarandos ha dichiarato già che, se riuscisse effettivamente ad acquistare Warner, ridurrebbe le finestre di permanenza dei film al cinema per – parole sue – «andare incontro alle esigenze dei consumatori»; chi ama la tv, d’altronde, sa che Warner possiede HBO, la più prestigiosa delle reti via cavo, responsabile negli ultimi decenni dell’evoluzione del linguaggio televisivo tutto, e teme soprattutto per il futuro. Certo, può essere allettante pensare di trovare nel catalogo di Netflix anche tutte le grandi serie HBO, da I Soprano a The Wire a Il trono di spade, ma cosa ne sarà delle produzioni future? Di tutte quelle serie più o meno sperimentali, che non cercano il pubblico di massa del generalismo caro a Netflix, eppure proseguono nell’innovazione linguistica e narrativa, nel sostegno agli autori e alle storie adulte e complesse? È verosimile che Netflix voglia sfruttare al massimo i marchi posseduti da Warner e HBO – Il trono di spade e i suoi spinoff, Harry Potter, i supereroi DC Comics come Batman e Superman – e sopprimere tutto ciò che non piace immediatamente al suo algoritmo. Attenzione, però, perché la già citata Paramount Skydance, che pure era in trattative per acquistare Warner, ha rilanciato con un’offerta d’acquisto ostile di oltre 100 miliardi “cash”, coinvolgendo fondi di investimento sauditi e una società del genero di Trump Jared Kushner. Pare che Ellison abbia promesso direttamente a Trump di “dare una regolata” alla CNN (sempre di proprietà Warner) se lo aiuterà a “vincere” la gara: il disprezzo anche solo di ogni parvenza democratica è ormai totale. Insomma: se la spuntasse Netflix potrebbe essere la fine delle sale cinematografiche e della serialità d’autore, se prevalesse Paramount Skydance ci sarebbe un trionfo di censura e propaganda. Senza contare la minaccia sempre più tangibile dell’intelligenza artificiale, a cui i boss delle media company guardano per diminuire impieghi umani e stipendi. «L’unico antidoto è la solidarietà» ha concluso Fonda. «E se non agiamo adesso, non ci resterà nessuna industria – e nessuna democrazia – da difendere».


