Gli ucraini respingono le accuse: sono solo falsità. La Russia rilancia: l’attacco di droni contro la villa di Vladimir Putin a Valdai, vicino a Novogorod, c’è stato. Il fatto è che, dopo 36 ore, Mosca non ha ancora mostrato una prova dell’accaduto. “Quali prove servirebbero?” ha chiesto Dmitri Peskov, il portavoce del Cremlino. In realtà, non ci sono neppure gli indizi. Come sottolinea l’Istituto per la Storia della Guerra, un think tank indipendente di Washington, in questi anni non c’è stato caso di un bombardamento ucraino sul territorio russo che non sia stato documentato in qualche modo. Che siano stati i media russi locali, o gli stessi ucraini, le immagini sono sempre girate in rete. Qui né un fotogramma, né una testimonianza. Sota, una fonte dell’opposizione russa, ha pubblicato un servizio d’inchiesta dicendo che gli abitanti di Valdai non hanno sentito alcuna attività dell’antiaerea nella notte tra il 28 e il 29 dicembre. Eppure le batterie di difesa sono una quindicina, eppure, secondo i russi – anche se c’è discrepanza sul numero, a seconda della fonte – gli ucraini avrebbero utilizzato decine di droni, la maggiora parte dei quali abbattuti. I detriti, però, non sono stati mai mostrati. Nulla. Risulta anche sospetto il momento scelto per le accuse a Kyiv. Vengono fatte nel pomeriggio di ieri, quando risulta ormai chiaro che il vertice di Mar A Lago tra Vlodomir Zelensky e Donald Trump non è andato male per il presidente ucraino. Nessun accordo, ma la discussione è stata fatta sul piano dei 20 punti, nato dal lavoro con gli europei. Sulle questioni più delicate, Donbass e centrale di Zaphoriza, tra i due non c’è stato accordo, ma Trump non ha preso le parti della Russia, come aveva fatto in passato. Non ha messo in un angolo Zelensky affinché accettasse le condizioni di Mosca. La fake dell’attacco a Valdai serve a Putin per riportare Trump sul binario, ma, soprattutto, per avere la scusa per rifiutare ogni proposta di pace basata su un piano che contempli più le esigenze di Kyiv che i diktat di Mosca. Segno che la certezza di una vittoria militare in pochi mesi, sbandierata da Putin, non è forse così solida al Cremlino.


