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Il tramonto del Sudamerica progressista

La definitiva defenestrazione di Dilma Rousseff da presidente del Brasile sancisce (ahimè) il lento esaurirsi della forza propulsiva (di berlingueriana memoria) delle istanze progressiste in America Latina; cui avevano dato il via, un paio di decadi fa, lo stesso Partito del Lavoratori (PT) di Lula da Silva in Brasile e il bolivarismo venezuelano (rimasto poi fisicamente orfano del suo leader Hugo Chavez).

A Paesi conservatori come Perù e Paraguay si è aggiunto un campione di neoliberismo come Mauricio Macrì, che ha spazzato via il kirchnerismo peronista nel colosso Argentina. Mentre la socialista Michelle Bachelet in Cile non si è mai risollevata in popolarità dallo scandalo familiare d’inizio mandato. E presidenti come Evo Morales in Bolivia e Rafael Correa in Ecuador mostrano di essere in affanno e soprattutto senza validi successori all’orizzonte.

Non basterà dunque la minuscola isola democratica dell’Uruguay di Tabaré Vasquez (e del suo generoso predecessore José Alberto Mujica) a risollevare l’immagine del subcontinente. E forse neppure lo storico accordo di pace recentemente sottoscritto fra governo e guerriglia nella Colombia di Juan Manuel Santos, che rischia di essere vanificato dal “no” del suo predecessore ultrareazionario Alvaro Uribe, nel referendum popolare di ottobre. Ometto volutamente il Messico e l’istmo centroamericano, non classificabili essendo tragicamente in balia del narcotraffico.

Deve però essere chiaro che non sono stati solamente il logoramento di lunghi e difficili anni al governo, né gli inesorabili fenomeni di corruzione ad avere indebolito le forze democratiche latinoamericane fin quasi alla débâcle.

Certo sono lontani i tempi delle dittature sanguinarie che imperversavano in quasi tutto il Centro e Sudamerica; e che l’ondata di queste variopinte sinistre, in pro di una genuina democrazia, hanno relegato per sempre (speriamo) alla storia.

Ma, come dimostra il pervicace golpe de facto in Brasile, è in corso da tempo una strategia precisa da parte dei poteri forti storici (quelli che risalgono ancora ai tempi della colonia, sempre sostenuti dai loro pari negli Stati Uniti, seppur oggi con un presidente Obama soft) di riprendersi quanto perduto: soprattutto quella fetta di ricchezza che la sinistra latinoamericana (in piena epoca, nell’emisfero nord-occidentale, di concentrazione di beni nelle mani di sempre più pochi) ha saputo ridistribuire, togliendo decine di milioni di persone dall’estrema povertà.

Alcune delle quali (persone) nel segreto dell’urna, le si sono poi (purtroppo) rivoltate contro.

  • Autore articolo
    Gianni Beretta
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    Dopo il successo delle edizioni romane, l’R&B Takeover Fest approda per la prima volta a Milano, all’interno del calendario della Milano Music Week. "Volevamo creare un momento di condivisione per un genere che c’è sempre stato in Italia ma che è sempre stato snobbato dalla discografia”, spiega il direttore artistico e produttore Big Fish ai microfoni di Volume. Il Festival punta a dare voce a una nuova scena di artisti “che ha voglia di esprimersi lontano dalle dinamiche di mercato” ed è il primo in Italia interamente dedicato alla musica R&B e alle sue contaminazioni. Si partirà il 19 novembre con un panel pubblico dal titolo “R&B Takeover: L’Italia che vibra di R&B”, presso la Casa degli Artisti, per proseguire il 20 novembre con la serata dei live, condotta da Nina Zilli presso l'Apollo Club e con protagonisti Arya, Ghemon, Ste e Malasartoria. L'intervista di Elisa Graci e Dario Grande a Big Fish e Arya su radiopopolare.it

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