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Il governo Draghi ha perso un’occasione d’oro sui vaccini

Avrebbe potuto sottrarre alle regioni la campagna sui vaccini. Ha deciso di non farlo. Nonostante le regioni italiane stiano dimostrando, con poche eccezioni, di non essere all’altezza del compito. Con esempi disastrosi, su tutti la Lombardia, con disfunzionalità che fanno sì che i già pochi vaccini vengano spesso lasciati nei frigoriferi, o con situazioni in cui i criteri con cui vengono decise le priorità sono perlomeno discutibili, i primi mesi della campagna vaccinale hanno dimostrato tutti i limiti dell’organizzazione regionale. Il governo Draghi è nato con la grande promessa di fare presto e bene nelle vaccinazioni. Fino a ora oltre alle promesse non si è andati. Non ci sono più le primule di Arcuri, ma non ci sono ancora i suoi sostituti. E il tempo passa.

La garanzia di una accelerazione fino a 500mila vaccinazioni al giorno si riferisce sì ad aprile ma alla fine di aprile. E ieri Draghi ha spostato l’asticella ancora un po’ più in là, ai primi di maggio per vedere tutto funzionare al meglio. E il tempo passa. Il governo ha deciso di mettere a disposizione delle regioni che non ce la fanno una struttura governata da Roma che fa perno su Esercito e Protezione Civile. Avrebbe potuto imporla, accentrare la campagna di vaccinazione una volta per tutte. Ha deciso di rinunciarci. Sarà una opzione facoltativa. Gli interessi politici dei partiti che stanno nella maggioranza, pensiamo alla Lega che domina in Lombardia ma anche al Pd che governa in Campania, in Puglia, in Toscana, tanto per fare degli esempi, hanno prevalso. Ieri 386 morti in Italia, solo 17 in Gran Bretagna dove le cose invece procedono al meglio. A quali responsabilità vanno ascritti questi morti in più?

Foto | Il premier Mario Draghi

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    Luigi Ambrosio
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    Nel giorno mondiale contro la violenza sulle donne, raccontiamo con Cristina Carelli, presidente di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, i centri antiviolenza, oltre 110 in Italia con differenze però tra Nord e Sud, con quasi 4mila operatrici in stragrande maggioranza volontarie e quasi 30mila donne “ascoltate” all’anno. “Siamo realtà aperte e sempre presenti, le donne arrivano da noi spesso senza appuntamento e si rivolgono a noi quasi sempre liberamente - spiega Carelli - perché il presupposto del nostro intervento è la libertà di scelta della donna, lo sottolineiamo perché è in corso un tentativo di trasformarci in realtà di servizio e per imporre alle donne dei percorsi standardizzati, più istituzionali e di sistema, e non costruiti per ciascuna partendo dal consenso e dalla libera scelta di ogni donna”. Sottofinanziamento, soluzioni solo punitive, negazione della dimensione politica e culturale della prevenzione, la frontiera è sempre la società. Se sono le famiglie a decidere cosa è giusto o meno per l’educazione sessuale, stiamo riproponendo il problema. “Chiediamo al governo di essere coerente: bisogna lavorare sul fronte della cultura e della prevenzione”. La violenza non è solo un atto individuale, ma è resa possibile da scelte politiche e culturali che limitano la libertà delle donne, scrive Di.Re nella campagna “Tutto nella norma” che potete trovare sul sito: direcontrolaviolenza.it

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    Valeria Valente, senatrice PD, componente della Bicamerale femminicidio, annuncia l'approvazione del ddl sulla introduzione del reato di "femminicidio" alla Camera in seconda lettura e l'avvio al Senato della discussione sul disegno di legge cosiddetto "sul consenso". Cristina Carelli, presidente di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, ci racconta l'attività, il bisogno, la necessaria libertà e il necessario rispetto per accompagnare le donne vittime di violenza, che si pratica negli oltre 110 centri con quasi 4mila operatrici di stragrande maggioranza volontarie nel 2204 per quasi 30mila donne. Un lavoro da sostenere e conoscere. Luca Parena ci racconta la fiaccolata al Corvetto per ricordare Ramy El Gamel morto un anno fa dopo un inseguimento dei carabinieri, la rabbia delle seconde generazioni e la targa dedicata da un ragazzo del quartiere. Alessandro Braga da Padova racconta la vittoria del "Doge" Zaia con 200mila voti e il suo destino nella Lega tra territorio e aspirazioni nazionali.

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