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Gisèle Pelicot: un cambiamento reale nella società francese

Gisèle Pelicot

“Grazie a tutti voi sono in grado di lottare fino in fondo. È una lotta che dedico a tutti e tutte, gli uomini e le donne, che nel mondo sono vittime di violenze sessuali. A tutte queste vittime oggi voglio dire: guardatevi intorno, non siete sole”.
Queste parole sono praticamente le uniche che Gisèle Pelicot ha direttamente rivolto ai giornalisti da quando, due mesi fa, si è aperto il processo per stupro aggravato che vede imputati il suo ex marito e una cinquantina di uomini che l’hanno violentata per anni, mentre era drogata e incosciente. Ma la decisione di aprire le udienze al pubblico ha permesso alla sua voce di risuonare con forza ben oltre l’aula del tribunale di Avignone. La sua determinazione a mediatizzare tutto quello che le è stato fatto, e da chi, sta creando un’onda di choc in Francia e travalica i confini del paese.
Di lei hanno detto che è coraggiosa ad affrontare così quello che ha subito. Un coraggio che lei, che ha ammesso di essere completamente distrutta e di non sapere se, a 71 anni, riuscirà mai a ricostruirsi, non si riconosce. Forse la parola che meglio la definisce è “dignità”. Dall’inizio del processo, Gisèle Pelicot ha tenuto la testa alta e mantenuto un tono pacato e deciso, senza per questo nascondere la sua fragilità, ad esempio dietro agli occhiali scuri delle prime udienze. E più passa il tempo, più il contrasto con gli accusati che cercano di nascondersi sotto le felpe col cappuccio, tengono gli occhi bassi e cercano di giustificare quello che hanno fatto o di negare la loro responsabilità, scaricandole sull’ex marito, è evidente. Con la sua determinazione e la sua dignità, Gisèle Pelicot ha ottenuto qualcosa di impensabile fino a poco tempo fa: la vergogna ha cambiato campo.
Gli applausi che la accolgono ogni giorno al suo arrivo in tribunale hanno contribuito a darle forza, insieme alle testimonianze di sostegno arrivate da tutto il paese, le manifestazioni in suo nome, le sue immagini apparse nelle strade delle città francesi che la stanno trasformando in un’icona. Ma questi applausi mostrano anche un cambiamento reale della società francese. Quando, nel ‘78, si è aperto ad Aix-en Provence, a pochi chilometri da Avignone, lo storico processo che ha permesso di riqualificare lo stupro come reato, le due vittime erano regolarmente accolte da fischi, sputi, insulti, da parte del pubblico e delle forze dell’ordine.
I due procedimenti sono stati paragonati spesso, non solo per la tematica, ma perché in entrambi i casi la decisione di non tenere le udienze a porte chiuse era motivata anche dalla volontà di aprire il dibattito pubblico sulla questione delle violenze sessuali. “Vorrei che tutte le donne vittime di stupro si dicessero: la signora Pelicot l’ha fatto, posso farlo anche io. Voglio soprattutto esprimere la mia volontà e la mia determinazione affinché cambiamo questa società”, ha dichiarato in aula Gisèle Pelicot.
Qualche impatto concreto, la mediatizzazione degli stupri di Mazan sembra già averlo. Al numero nazionale per l’ascolto e l’orientamento delle donne vittime di violenza sono arrivate molte più chiamate legate alla sottomissione chimica e di persone incoraggiate dalla presa di posizione di Gisèle Pelicot. L’Ordine dei medici ha chiesto alle istituzioni di rendere mutuabili e accessibili i test per verificare se si è stati drogati a propria insaputa, anche senza denuncia. Si è riaperto il dibattito sulla possibilità di introdurre nel codice penale la nozione di consenso, quando si parla di stupro. Un’idea controversa perché potrebbe rivelarsi controproducente, mentre c’è più consenso sulla proposta di varare una legge integrale contenente 130 nuove misure contro le violenze sessiste e sessuali.
In risposta al movimento Metoo anche in Francia ha avuto grande successo l’ashtag not all men, non tutti gli uomini. La presenza sul banco degli imputati di uomini di ogni tipo e strato sociale, difesi da compagne, madri e parenti che non possono immaginarli stupratori, conferma quanto questo fenomeno coinvolga invece tutti e pervada tutta la società. Quello che potrebbe passare alla storia come il processo alla Cultura dello Stupro potrebbe insomma segnare un momento di presa di coscienza collettiva. Ma la realtà è che la strada è ancora tutta in salita.

(di Luisa Nannipieri)

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    L’educazione sessuale a scuola si farà solo con il consenso dei genitori degli studenti minorenni, sia alle medie sia alle superiori. Alla Camera ieri è arrivato il via libera agli emendamenti al ddl Valditara tra le proteste delle opposizioni. È stato respinto anche un emendamento che prevedeva di togliere il consenso dei genitori in caso il corso fosse organizzato dalle Asl, quindi non da associazioni ma dal servizio sanitario nazionale. Intanto, prosegue l’indagine della procura di Roma "lista degli stupri” comparsa nei giorni scorsi nei bagni del liceo romano Giulio Cesare. Al momento il reato ipotizzato è istigazione a delinquere finalizzata alla violenza sessuale. Andrea, una delle studentesse del Giulio Cesare il cui nome era presente nella lista, al microfono di Mattia Guastafierro, ci racconta qual è il clima a scuola: “Ci sono stati dei precedenti, sicuramente non così gravi: stati bruciati dei cartelloni contro la violenza sulle donne nel bagno dei maschi, sono state strappate delle petizioni messe in bacheca per sensibilizzare alla violenza di genere. Purtroppo ci sono persone che hanno avuto un'educazione familiare estremamente poco consapevole di certe cose e purtroppo questa è la prova che un argomento così terribile come lo stupro possa essere utilizzato con leggerezza e, anzi, scritto su un muro di un bagno”. Inoltre, Andrea riconosce l'importanza dell'educazione sesso-affettiva nelle scuole: "Noi passiamo tantissime ore all'interno delle mura scolastiche e quindi deve essere la scuola a insegnare ed arrivare dove la famiglia magari non riesce. C'è molta disinformazione su quello di cui si tratta nell’educazione sessuo-affettiva: serve per insegnare il consenso, per conoscere se stessi senza paure, senza timori e stigmi sociali, per accettare ogni parte di sé. Facendo questo percorso dentro la scuola inevitabilmente la violenza di genere, e le violenze in generale, vengono arginate proprio perché la violenza parte da un'insicurezza. Se noi insegniamo che va bene averle, che queste si possono gestire, come gestire le relazioni, i conflitti ed educare al consenso, io credo che queste cose non succederebbero più. La scuola se ne deve far carico".

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