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COVID e governo. Come è cambiata la comunicazione durante questa seconda ondata?

Conte DPCM - Comunicazione COVID

Carlo Galli, politico e politologo dell’Università di Bologna, è intervenuto questa mattina a Radio Popolare per affrontare il tema della comunicazione del governo durante questa seconda ondata della pandemia di COVID-19. Cosa è cambiato rispetto al modo in cui è stata affrontata la prima ondata?

L’intervista di Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni a Prisma.

Che impressione le fa la gestione di questa seconda ondata delle pandemia di COVID a livello di comunicazione da parte di Conte e del governo?

È una questione di comunicazione, ma è anche una questione oggettiva. La prima ondata colse tutti alla sprovvista ed era lecito essere impreparati. Conte diede l’impressione di pacatezza e buon senso e in quei momenti veramente drammatici parve una figura rassicurante. Oggi siamo stati nuovamente colti di sorpresa e non era lecito essere colti di sorpresa. Il governo aveva avuto tutta l’estate per prepararsi alla prevista e prevedibile seconda ondata. Non lo ha fatto fatto a sufficienza. Le responsabilità sono in parte dei cittadini che sono andati allegramente all’estero a prendersi il COVID e in grandissima parte le responsabilità sono del governo che non ha fatto quello che doveva fare. È chiaro che oggi non guardiamo più con indulgenza e fiducia al governo e a Conte in particolare, non tanto per la sua persona quanto per il suo ruolo. In effetti annaspa perché deve fare una cosa impossibile, cioè far combaciare l’esigenza che l’economia non si fermi con il principio secondo il quale il bene più alto sono la salute e la vita dei cittadini. Bisogna portarli avanti entrambi e questo implica compromessi e implica che siano tutti scontenti. Il secondo punto, quello più grave, riguarda quella che viene definita comunicazione, ma che in realtà è una questione di visione: non si può sottoporre i cittadini a tutte le diminuzioni e restrizioni di diritti e di fonti di reddito senza dare ai cittadini l’idea che si sappia cosa si sta facendo e fornire loro un orizzonte di senso.
In questo momento il governo sta inseguendo il COVID, non lo sta prevedendo, non lo sta prevenendo e curando. Lo sta inseguendo in modo sempre più affannoso. Comanda il COVID insomma. Questo lo sentiamo tutti e ci fa paura. Ci fa paura il fatto che il governo non sia capace di dirci qualcosa di meno infantile di quello che ci sta dicendo: accettate le restrizioni perché così forse potrete avere un Natale più sereno. Questo è inaccettabile.

Il nuovo DPCM è stato molto divisivo e in molti hanno accusato il governo di aver agito con disparità di trattamento chi lavora di giorno e chi lavora dopo le 18.

La questione è che non esiste un algoritmo in grado di sistemare i sacrifici oggi in modo tale che nessuno ne risenta o che tutti ne siano soddisfatti. È umano. Sarebbe sciocco pensare ad una deliberata volontà discriminatoria del governo, ma di fatto il DPCM implica una strana differenziazione tra le attività di giorno e le attività di notte. Se il principio è evitare gli assembramenti basterebbe che chi deve fare i controlli li facesse e controllasse quello che succede di notte nelle piazze delle grandi città e quello che succede di notte davanti ai locali. L’idea un po’ primitiva secondo cui all’ora di pranzo non si producono assembramenti perché le persone non hanno tempo di farsi una grande mangiata seduti ad un tavolo e invece la sera possono farlo nasce dal fatto che non si è voluto dire “chiudiamo i ristoranti”. In realtà non si è voluto dire “chiudiamo tutte le attività che possono dar luogo ad assembramenti”. Perché gli assembramenti non vengono colpiti in quanto tali? Perché si deve colpire a monte degli assembramenti? Che vengano fatti controlli puntuali e mirati laddove gli assembramenti si formano. Questa sarebbe la cosa da fare. Il punto è che come non siamo stati in grado di intercettare le dinamiche di propagazione del contagio, come si era detto che avremmo fatto, così non siamo in grado di operare controlli mirati laddove ce n’è bisogno. E quindi facciamo provvedimenti generalizzati e chiudiamo di sera quando è più facile. Tutto ciò è segno di un affaticamento sia della macchina dello Stato sia del fatto che il rispetto delle norme è diventato davvero facoltativo perché è venuta meno in buona parte la fiducia verso il governo.

Il superconsulente del Ministro della Salute che all’indomani del DPCM lo critica sui giornali che tipo di danno crea?

Crea un grosso danno naturalmente. Il fatto è che quelle parole nascono dalla sua idea che il danno lo abbiano fatto altri e lui si senta in dovere di criticare per motivi deontologici. Quello stesso professore ha detto una cosa che mi ha colpito molto: noi stiamo gestendo la pandemia oggi come la si sarebbe gestita a Venezia nel 1400, in età sostanzialmente pre-scientifica. Forse non abbiamo calcolato bene quanto sia grande il mito della scienza nella società di oggi e quanto il mito della scienza esca praticamente distrutto da questa vicenda del COVID. Il mito della scienza è grande anche presso coloro che la criticano, la negano e la temono. La temono perché pensano che sia troppo efficiente e perché pensano che sia governata da menti malvagie che intendono nuocere agli uomini. Tutti pensano che la scienza sia un’arma di assoluta potenza ed efficacia. O almeno tutti lo pensavano. Dopo questa vicenda la scienza si è sostanzialmente delegittimata. I virologi hanno litigato in pubblico come se fossero dei filosofi e questo ha mandato un messaggio di assoluto sconcerto ai cittadini. Naturalmente chi ha un minimo di competenza sa che la scienza non è onnipotente e che la scienza procede attraverso prove ed errori.
Se il governo vuole riprendere un minimo di autorevolezza non deve soltanto rimediare in fretta alle discriminazioni che ha prodotto attraverso l’ultimo DPCM, ma deve essere in grado di dare una parola meno banale del “Natale sereno”. Deve essere in grado di dire di aspettare fino a quando avremo i vaccini e spiegare come stanno davvero le cose.
Serve un messaggio di serietà, che guardi in avanti e che sia fondato su quelle poche certezze scientifiche che riusciamo a mettere in piedi oggi.

(Potete ascoltare l’intervista a partire dal minuto 3)

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