Un ballottaggio senza sorprese in Cile. La somma dei partiti della destra al primo turno aveva raggiunto quasi il 70% preannunciando la vittoria di José Antonio Kast, che era passato al secondo turno con un modesto 24%. La differenza con le ultime presidenziali del 2021, vinte dalle sinistre, è stata quella dell’affluenza alle urne che ha raggiunto l’85% oltre 35 punti in più per via dell’introduzione del voto obbligatorio nel 2022. Quei 6 milioni di cileni che non avevano votato in passato hanno scelto, a stragrande maggioranza, candidati delle destre, ma non per motivi ideologici, bensì perché alcuni punti programmatici erano più appetibili. Lo spartiacque, oltre alle proposte dei candidati, è stata la promessa di maggiore sicurezza davanti alla criminalità. La ricetta di Kast è stata quella che aveva per la maggiore in tutto il mondo: repressione, chiusura delle frontiere e, ovviamente, mai interrogarsi sulle cause. Fatto sta che, per la prima volta dopo il ritorno alla democrazia, il Cile avrà un presidente che, nel plebiscito per perpetuare Pinochet del 1988, votò sì e che rivendica gli anni della dittatura, ma questo sembra ormai un tema risalente ad un’altra era geologica nel Cile di oggi, anche se le proposte in materia economica di Kast riprendono, eccome, le idee sull’economia del generale morto nel 2006.


