Ventisei anni di negoziati e ora un supplemento di tre settimane di trattative serrate, sostanzialmente tutte interne all’Europa, per arrivare, a metà gennaio, alla creazione dell’area di libero scambio più grande del mondo: un mercato unico, senza dazi reciproci, da 700milioni di consumatori. La commissione stima che a regime l’accordo si tradurrà in una crescita del pil europeo dello 0,05%: Poco? Tanto? Dipende dai punti di vista, dai Paesi e dai settori di appartenenza. Per la grande industria, compresa quella dell’auto, per la chimica e la farmaceutica o per il settore della moda l’accesso senza tariffe e burocrazia a un mercato tanto ampio sarebbe una manna: Berlino anzi lo considera l’unica vera possibilità di sopravvivere alla morsa cinese da una parte e trumpiana dall’altra, con rischi modesti o nulli di concorrenza dai Paesi sudamericani. Per il settore agricolo (di cui si sono fatti portavoce Francia, Italia e altri) le cose sono più complicate: Il principale interesse dei Paesi Mercosur è infatti esattamente ampliare il mercato dei propri prodotti alimentari: soprattutto bovini, pollame, zucchero e soia. La preoccupazione, sia della grande industria alimentare sia dei piccoli produttori agricoli, è che l’Europa sia inondata di cibo a basso costo, frutto di regole meno stringenti (per esempio sui pesticidi, sui farmaci o sul cosiddetto benessere animale) e costi del lavoro inferiori.Infine, ma nessuno sembra badarci troppo, ci sarebbe la questione ambientale, con i rischi di deforestazione che un aumento della produzione alimentare in Brasile potrebbe comportare per l’Amazzonia.


