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Landini, le ragioni della piazza

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La prima volta di Maurizio Landini su un palco come segretario generale della Cgil. A Roma sabato 9 febbraio i sindacati confederali manifestano insieme contro le politiche del governo Conte. Quelle economiche, ma anche quelle contro i migranti. Di fatto, si tratta della prima manifestazione di piazza da quando è in carica questo esecutivo.

Vi aspettate una partecipazione ampia?

Sì, abbiamo segnali molto positivi dai territori, dai luoghi di lavoro, quindi, penso che sarà una bella manifestazione. La novità vera non è che parla Landini, la novità vera è che si tratta di una manifestazione unitaria di Cgil, Cisl e Uil, dei sindacati che offrono a tutti quelli che lavorano, ai pensionati, ai giovani, ai precari, a tutti quelli che vogliono cambiare questa situazione, che non accettano questo livello di diseguaglianze, che non condividono le scelte sbagliate che sono state fatte negli anni e che anche questo governo continua a fare e che vogliono mettere al centro un’idea diversa di lavoro, di diritti, di sviluppo e di giustizia sociale.

In piazza per che cosa?

Cgil, Cisl e Uil, in questi mesi, hanno fatto un cosa precisa, abbiamo messo a punto una piattaforma e cioè diciamo cosa deve essere affrontato, chiediamo un piano straordinario di investimenti, pubblici e privati, di manutenzione del territorio, di infrastrutture sociali, chiediamo il rilancio del Mezzogiorno, una vera riforma fiscale, che si combatta l’evasione ma si riduca il carico fiscale sul lavoro dipendente, sui pensionati. Chiediamo che non si tagli la Sanità, ma che ci sia un investimento e si rafforzi la Sanità pubblica, chiediamo il diritto all’istruzione, una riforma del diritto alla formazione permanente di tutte le persone, chiediamo una vera riforma delle pensioni e, allo stesso tempo, diciamo che va fatta una lotta alla corruzione e all’evasione fiscale. Noi abbiamo fatto tutta una serie di proposte, il governo ci ha semplicemente ascoltato una volta, non ci ha mai dato risposte, poi ha fatto una Legge di stabilità senza mai confrontarsi con nessuno. Noi consideriamo sbagliate una serie di scelte fatte. Soprattutto ciò che manca: c’è una riduzione degli investimenti pubblici, in realtà non si sono messi in discussione i vincoli europei, anzi si sono accettati perché alla fine questo governo ha solo fatto finta di fare una battaglia con l’Europa, e alla fine cosa ha portato a casa? Nulla, se non indebitarsi ulteriormente, aumentare i vincoli Iva e, di fatto, non è cambiato niente delle politiche di austerità. Poi, c’è una politica che questo governo sta facendo, raccontando che il pericolo del Paese sono i migranti o che saremmo un Paese invaso, quando la verità è un’altra: noi siamo un Paese di evasori, non di invasi. Siamo un Paese in cui la maggioranza dei giovani se ne deve andare perché qui non trova da lavorare, qui siamo di fronte al fatto che sta aumentando la povertà, sta aumentando chi, pur lavorando, è povero. Questi temi non vengono adeguatamente affrontati e noi, in piazza, sabato, vogliamo che manifesti quell’Italia che le cose le vuole cambiare davvero, a partire, però, dalle persone e dai diritti delle persone.

Ma c’è chi ha subito detto che la Cgil vuole fare politica, dando a questo un significato negativo. Ma sono in tanti che guardano alla Cgil e a questa ripresa dell’iniziativa come un’opportunità per colmare il vuoto di rappresentanza politica a sinistra.

Noi siamo un sindacato, in questo caso, insisto, la piattaforma è di Cgil, Cisl e Uil. La storia del nostro Paese è quella di un movimento sindacale che quando, unitariamente, ha messo in campo la sua azione il Paese ha avuto crescita, diritti, sia sul piano sociale che su quello civile. E da questo punto di vista il sindacalismo italiano confederale è sempre stato un sindacalismo che ha sempre svolto anche una funzione politica, non nel senso di sostituirsi ai partiti, ma nel senso di essere un soggetto che rappresenta i lavoratori non solo nei luoghi di lavoro, ma anche con l’ambizione di avere un progetto di società. Noi nel rapporto con la politica, con i governi e con le imprese vogliamo essere soggetti autonomi, alla pari, vogliamo confrontarci, avere le nostre idee, le persone che vogliamo rappresentare devono avere questa dignità. Poi, da questo punto vista, noi non vogliamo sostituirci, né alla sinistra, né alla destra, né al centro. Noi vogliamo fare il nostro mestiere di chi vuole dare voce e diritti al lavoro e al sindacato, vogliamo tornare a discutere di cose vere, di un nuovo modello di sviluppo, di cosa vuol dire oggi gestire i nuovi processi tecnologici, creare nuovo lavoro, cosa vuole dire oggi redistribuire la ricchezza che viene prodotta e combattere le diseguaglianze che ci sono e soprattutto avere anche rispetto dell’ambiente. Siamo in una fase di grande trasformazione. Quello che noi diciamo è che ci vuole più partecipazione, più democrazia, bisogna combattere la logica in cui è prevalsa la finanza, il mercato in questi anni. Tutto questo significa aprire una discussione nuova e diversa in questo Paese qui, non è nostro compito dare vita a nuove formazioni politiche o creare l’opposizione sociale. Noi non siamo un sindacato né di opposizione né di governo, siamo un sindacato autonomo e democratico che vuole ridare voce e diritti alle persone che lavorano.

Si arriva a questa manifestazione dopo anni in cui è successo veramente di tutto, il conflitto sociale è praticamente scomparso o comunque ha avuto poca o nessuna visibilità, la dialettica tra opposizione e maggioranza sembra essersi ridotta all’interno dello stesso governo, si sono create nuove povertà, imbarbarimento sociale. E inversioni di rotta non se ne vedono, anzi. Nella stessa piazza di sabato ci saranno, inevitabilmente, lavoratori che questo governo l’hanno votato. Quindi, che Italia verrà in piazza San Giovanni?

Viene in piazza l’Italia che per vivere ha bisogno di lavorare, sia quelli che un lavoro ce l’hanno ma sono sfruttati, impoveriti o hanno paura di perderlo, sia quelli che hanno un lavoro precario e vorrebbero uscire dalla precarietà, sia quelli che il lavoro non ce l’hanno e lo stanno cercando. E, nello tempo, sarà una piazza anche piena di pensionati, di chi si è battuto, ha conquistato diritti e oggi li vede persi, che con fatica riesce a sbarcare il lunario. Però, sarà un’Italia che non si arrende e ha la speranza di poter cambiare. Poi, certo, sono stati anni di grande trasformazione, a me sembra che siamo di fronte a un grande cambiamento. Dal 2008 al 2018 abbiamo vissuto la più grande crisi che si conosca, quindi, nulla sarà più come prima. Allo stesso tempo, in questo stesso decennio 20 milioni di italiani hanno cambiato voto, hanno cambiato partito, ci sono forze politiche che dieci anni fa non esistevano, ma, nonostante questo, siamo di fronte al fatto che sta aumentando il numero di persone che non si sentono più rappresentate da nessuno e quindi c’è sfiducia, c’è rabbia, è a rischio la tenuta democratica di questo Paese. Da un certo punto di vista, rimettere al centro il lavoro e i diritti vuol dire anche riaffermare i valori della democrazia, della nostra Costituzione. Per noi la bussola, l’orizzonte, deve essere proprio applicare i principi della nostra Costituzione. Di fronte alle paure, alle preoccupazioni, diciamo che valori come l’antifascismo, l’antirazzismo devono tornare a essere un elemento qualificante delle persone e dei valori che il sindacato vuole mettere in campo. Tutta questa discussione va fatta, c’è bisogno che la gente si parli, non che abbia paura, è necessario che si ricostruiscano legami di solidarietà perché quando non ci sono si rischia di vedere il nemico in colui che è affianco a te e non in quello che ti sta sfruttando.  A me sembra che oggi abbiamo bisogno di questo. Il fatto che abbiamo deciso di passare da piazza del Popolo a piazza San Giovanni è perché i segnali che arrivano dai territori ci dicono che questa nostra manifestazione, l’aver messo in campo questa discussione, sta incontrando tante persone che hanno bisogno di parlarsi, di tornare ad avere speranza e di essere ascoltate. Quello che è successo in questi anni sia con i governi di centrodestra o di centrosinistra, sia con quello attuale, è che il governo può decidere senza ascoltare nessuno. Dove non ci sono più corpi intermedi di rappresentanza, dove passa una logica autoritaria, vediamo anche come stanno trattando il Parlamento. Io credo che noi dobbiamo denunciare questa situazione, dobbiamo dire che quando le cose sono complicate e difficili, come adesso sono, c’è bisogno di utilizzare l’intelligenza, c’è bisogno di unire il Paese, non di dividerlo, c’è bisogno di fare sistema, ma soprattutto serve cambiare le leggi sbagliate, quella sulle pensioni, quella sul mercato del lavoro, il famoso Jobs Act, c’è da cambiare il sistema fiscale nel nostro Paese, non introducendo una flat tax, cioè una tassa uguale per tutti e non in base a quanto guadagni e a quanto hai, bisogna, invece, redistribuire e combattere le diseguaglianze. Questo mi sembra il nodo per ridare un senso allo stare insieme e al nostro Paese.

Crisi, che inevitabilmente è stata anche crisi del sindacato,  necessità di ricostruire. E la questione della negazione della intermediazione su cui questo governo non sembra proprio voler cambiare rotta.

No, assolutamente, anzi, è sotto gli occhi di tutti, noi prima di organizzare una manifestazione abbiamo scritto al governo, abbiamo chiesto di discutere le proposte che abbiamo avanzato, gli abbiamo chiesto di poter discutere della Legge di stabilità, tutto questo non è avvenuto. Punto. E, allora, come avviene in un sindacato degno di tale nome, quando avanzi una piattaforma, fai delle proposte, chiedi di essere ascoltato e non ti ascoltano, ti mobiliti e dimostri che tu sei rappresentativo, che rappresenti una parte consistente di questo Paese. Se davvero vogliono cambiare il Paese, lo devono fare insieme a te, non contro di te. Dopo di che noi lanciamo anche un altro elemento, quando diciamo che vogliamo unire, oggi c’è un punto, e in questo c’è un ritardo, degli errori che i sindacati, anche la Cgil, in questi anni hanno fatto. Quello che oggi sta succedendo è che le persone, pur facendo lo stesso lavoro, non hanno più gli stessi diritti e le stesse tutele, noi lanciamo anche una cosa nuova: diciamo che tutte le persone che lavorano, a prescindere dai rapporti di lavoro, siano subordinati a tempo indeterminato, ma siano anche partite Iva, lavoro autonomo, il nostro obiettivo è riconquistare un nuovo Statuto dei diritti e dei contratti che stabilisca  che sono le persone che hanno questi diritti non il rapporto di lavoro, la maternità, le ferie il tfr, il diritto alla salute, paghe orarie che siano quelle stabilite dai contratti, che non ci siano discriminazioni. Ecco, questo è il mondo che noi vogliamo lanciare, mentre in questi anni è passata un’idea di frantumazione, di precarietà, appalti, subappalti, finte cooperative. Ecco, noi tutto questo lo vogliamo mettere in discussione. E questo significa porre al centro la qualità del lavoro, la qualità dello sviluppo, vedere le cose in un modo diverso. Certo, questo richiede anche un cambiamento del sindacato, è fuori dubbio. Ma il fatto che finalmente, dopo anni, unitariamente i sindacati siano in piazza insieme e aprano una discussione con tutte le lavoratrici e i lavoratori e con il Paese io credo che sia una novità molto importante che vada sviluppata fino in fondo.

L’idea che si sta cercando di far passare con i primi provvedimenti di questo governo è la lotta alla povertà, e cioè che in qualche modo, almeno nelle intenzioni dichiarate, si distribuiscono un po’ di risorse a quella parte di società che si è ulteriormente impoverita in questi anni con il reddito di cittadinanza, le pensioni…

Se finalmente un governo dice di voler spendere 7 miliardi, come sta dicendo, per combattere la povertà, noi siamo assolutamente d’accordo. Quello che diciamo è come si spendono, cosa si sta facendo. Noi non contestiamo il fatto che finalmente si spendano soldi per combattere la povertà, quello che noi stiamo dicendo è che con i provvedimenti che hanno fatto, e che non hanno discusso con nessuno, rischiano di non combattere fino in fondo la povertà e rischiano di fare un mescolamento, perché se tu mescoli la lotta alla povertà con le politiche per il lavoro rischi di fare un ibrido che non risolve i problemi. Non è vero che semplicemente dando un’offerta di lavoro io combatto la povertà. Oggi, infatti, anche chi lavora può essere povero, siamo in presenza di tanto lavoro povero, d’altra parte non è vero che il lavoro viene creato dai Centri per l’impiego. Il lavoro si crea con gli investimenti. E’ una contraddizione raccontare che i Centri per l’impiego vogliono creare lavoro stabile e per farlo quelli che vengono assunti, i cosiddetti navigator, vengono assunti con collaborazioni coordinate e continuative a termine. Quindi, con meno diritti e sottopagati. Noi diciamo anche che per combattere la povertà ci vuole un ruolo dei Comuni, perché la povertà si combatte non soltanto dando un lavoro, serve anche estendere i servizi sociali, le tutele sociali dove non ci sono, per esempio se ho un anziano non autosufficiente, se ho a casa un disabile, se non ho gli asili dove mandare i figli, se non riesco a mandare i figli a scuola perché il diritto viene negato. Noi non andiamo in piazza contro il fatto che si vuole combattere la povertà, noi stiamo dicendo che vogliamo discutere di come si fa e non ci convincono i provvedimenti che hanno fatto. Così come la questione delle pensioni: noi la vogliamo cambiare davvero la legge Fornero. Ma non si cambia semplicemente con 62 anni e 38 anni di contributi, certo se qualcuno può andare in pensione noi siamo contentissimi, ma si deve sapere che quella non è la modifica della riforma Fornero. Ci sono delle contraddizioni, quota 100 è un po’ una presa…, non è proprio precisa: devi avere 62 anni e 38 di contributi, se io sono una persona che 60 anni e 40 anni di contributi, fa sempre 100, ma io in pensione non ci posso andare. Così come c’è il problema di dare una pensione ai giovani, c’è il problema di dare una pensione alle donne e vedere riconosciuta la differenza di genere per poter andare in pensione anche prima, perché ho fatto figli, perché ti permette una ricongiunzione di contributi anche nei periodi in cui non hai lavorato. Vuol dire riconoscere che i lavori non sono tutti uguali, vuol dire separare la previdenza e l’assistenza. Quindi, non andiamo in pizza contro chi vuol cambiare le pensioni o contro chi vuole combattere la povertà, noi andiamo in piazza per farlo in maniera diversa e per chiedere che quei provvedimenti vengano discussi anche con noi. E insisto, qui si dice che alle persone saranno avanzate tre offerte di lavoro, magari, io dico, a tutti vengano offerte tre posti di lavoro, perché oggi il lavoro non c’è e se vuoi creare lavoro devi fare gli investimenti, perché se poi mi raccontano che al Sud ti offrono il posto di lavoro dicendo che devi andare a lavorare a 500 chilometri di distanza, io dico che non è molto diverso da quello che succede adesso. Le immigrazioni sono proprio per questo: nel mondo la gente si sposta perché va dove spera di trovare lavoro. Non mi pare che sia una particolare novità. Se io voglio dare dar lavorare anche al Sud, ad esempio, devo ricominciare a fare investimenti anche al Sud, non posso farlo in altro modo. Se non faccio alcun investimento, e ci si deve spostare dal Sud al Nord, quale diversità c’è rispetto ad adesso. Sono riflessioni che si devono fare con molta trasparenza.

Sui rapporti con gli altri sindacati, sottolineavi il significato di questa manifestazione unitaria che non arriva casualmente. Cgil, Cisl e Uil  arrivano da strappi che hanno scavato anche solchi profondi. Nonostante questo Landini ha chiuso il proprio mandato alla Fiom firmando un contratto unitario, il primo dopo una stagione di contratti separati,  Camusso ha tessuto molto in questi anni, ma c’ è ancora molto da fare per un’azione unitaria

Questo è il frutto di un lavoro, certo. Questi sono stati anni di divisioni sindacali, è sotto gli occhi di tutti che quando si è divisi si è più deboli, ed è sotto gli occhi di tutti che in questi anni sono passate leggi che hanno ridotto e cancellato dei diritti, il fatto che il movimento sindacale si riproponga il tema di ricostruire un’unità, di ricercare delle sintesi anche quando ci sono idee diverse, è un fatto assolutamente importante e nuovo. Gli esempi che tu facevi, dai contratti unitari che sono stati fatti non solo dai metalmeccanici, ma anche nel pubblico impiego, nella scuola, anche in altri settori, dopo anni di blocco dei contratti, si è riusciti a riconquistare dei contratti nazionali e ad aprire vertenze. Così come, in questi anni, si è riusciti a fare tanti accordi unitari interconfederali con tutte le associazioni sul terreno della rappresentanza e su quello di regole nuove che evitino accordi separati e che favoriscano invece un confronto di merito. E, allo stesso tempo, questo lavoro unitario è stato anche all’interno della Cgil ha determinato le condizioni di un’unità che sono anche quelle del Congresso unitario che abbiamo fatto proprio sulla base delle proposte. Vorrei ricordare a tutti che una delle cose importanti che la Cgil ha fatto in questi anni è stata quella di depositare in Parlamento una nuova Carta dei diritti, dopo aver raccolto milioni di firme, in cui chiediamo un nuovo Statuto dei diritti dei lavoratori, che non vuol dire tornare semplicemente a quello del 1970, ma vuol dire che tutte le persone che lavorano devono avere determinate diritti garantiti. Ma oggi l’unità va ricostruita anche dal basso, nei luoghi di lavoro, costruendo delle condizioni che permettano alle persone di tutelare insieme la propria posizione. Non tutto è risolto, ma credo che la manifestazione di sabato sia importante perché è unitaria e indica la possibilità di aprire una nuova fase, un nuovo cammino, poi, come per tutti i processi, ci vuole la voglia, la volontà e la pazienza di andare in quella direzione. E questo mi sembra un fronte nuovo che dobbiamo affrontare. E’ uno degli assi strategici su cui nei prossimi mesi e anni vogliamo lavorare.

Sulla Tav hai già detto che da segretario generale della Cgil deve tener conto della posizione di tutto il sindacato, e la maggioranza interna non è contraria alla Tav. Però, Landini è stato anche il leader sindacale che in questi anni ha saputo dialogare molto con i movimenti e quello No Tav e forse l’unico movimento che in Italia negli ultimi 20 anni è riuscito a resistere, a non farsi sradicare da nessuna opposizione politica, azione istituzionale, repressione poliziesco-giudiziaria. Un movimento molto radicato in quel territorio e con cui, quindi, al di là della posizione che si ha sull’opera, bisogna fare i conti, rapportarsi…

Certo che bisogna rapportarsi, del resto i sindacati che sono in quei territori, la Cgil di Torino e del Piemonte, hanno un rapporto. Il tema è anche parte di un articolato dibattito interno. Però, dobbiamo essere in grado di uscire da una disputa nominalistica. Certo, il problema Tav è un tema, ma noi diciamo che oggi c’è il problema di un piano di investimento straordinario, le grandi opere sono un pezzo di questa discussione. Una delle cose che noi diciamo è che oggi c’è il problema di avere un piano straordinario di manutenzione e di cura del territorio, così come diciamo che sono grandi opere anche dare gli asili a chi non li ha, dove non ci sono, o avere un sistema sanitario degno di questo nome. In questo, pur con l’articolazione delle posizioni e tenendo conto che la Cgil è un’organizzazione di cinque milioni e mezzo di iscritti, dobbiamo essere capaci di fare una sintesi. Il punto non è soltanto essere d’accordo o meno, noi abbiamo un’idea complessiva di priorità che devono essere indicate, i cantieri vanno riaperti. Voglio ricordare a tutti che nel settore edile si sono persi 600 mila posti di lavoro in questi anni, sono state chiuse più di centomila imprese. Se ci ragioniamo, il problema della manutenzione del territorio, è una delle questioni centrali anche per un diverso sviluppo e un diverso sistema ambientale.  Quindi, è questa discussione che noi vogliamo aprire, poi naturalmente siamo interessati a dialogare con tutti i movimenti, con tutti i soggetti che nel Paese vogliono affrontare in modo diverso il modello di sviluppo. Penso anche alla questione che riguarda i rifiuti, il riciclo dei rifiuti, c’è una nuova idea, una nuova sensibilità anche rispetto a quello che si mangia. Se ci ragioniamo, siamo di fronte al fatto che un nuovo modello di sviluppo, che abbia in testa una nuova idea di sostenibilità e centralità dei diritti della persona, vuol dire ripensare complessivamente che tipo di società vogliamo e anche rivedere i modelli di produzione attuali. Siamo di fronte ad una discussione che non va ricondotta semplicemente a una grande opera significa non cogliere fino in fondo quella che è la complessità. Poi, certo anche sulle grandi opere bisogna avere, di volta in volta, una posizione, trovando, ripeto, una sintesi.

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    Letizia Mosca
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