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    Memos |

    “Memoria, antidoto all’odio e al pregiudizio”

    A cura di:

    Raffaele Liguori

    «Mio padre era una persona buona, disponibile verso gli altri. Se vedeva uno per strada a chiedere l’elemosina lo portava a casa a mangiare». E’ il racconto di Ornella, la figlia di Dante Coen, ebreo milanese nato ad Ancona il 24 agosto del 1910, arrestato a Milano il 26 luglio 1944, deportato nel campo di sterminio di Auschwitz e assassinato a Buchenwald il 4 aprile del 1945. ..Ornella Coen racconta a Memos di suo padre Dante, un uomo di cui non ha ricordi diretti. Quella mattina del 26 luglio del ‘44 «quando vennero a prelevarlo, non so se i fascisti o le Ss – racconta Ornella – avevo 33 giorni». La memoria pubblica di Dante Coen, in questi giorni, è stata affermata da una delle sei pietre d’inciampo posate una settimana fa in altrettanti luoghi di Milano. Quella di Dante Coen è stata posata sul marciapiede davanti alla sua casa, in via Plinio al numero 20. «E’ un giusto contributo – dice Ornella – alla memoria di mio padre e di tutte le persone che hanno sofferto, che sono state ingiustamente ammazzate». Ma quella pietra, dopo neanche quarantottore, è stata imbrattata con una vernice nera. «Ci sono delle persone – dice Ornella Coen – cattive e ignoranti che non si rendono conto nemmeno di quello che fanno. Sono un po’ stupide, hanno dei pregiudizi. Certamente, io mi sono sentita nuovamente orfana, due volte, non una sola volta». Ornella Coen, dopodomani 28 gennaio, sarà in prima fila ad aprire la catena umana organizzata per difendere la memoria di suo padre. La conversazione con la signora Coen si conclude con alcuni suoi riferimenti all’indifferenza e all’ignoranza ancora diffuse. Il suo è un appello: bisogna far capire «che cosa è stato l’odio e il pregiudizio nei confronti di qualunque minoranza».

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    L’ONU lancia l’allarme per Gaza: “Servono più aiuti”. Ma il valico di Rafah resta chiuso

    A Gaza resta in vigore il fragile cessate il fuoco concordato a Sharm el Cheik, ma l’intesa tra Hamas e Israele è costantemente minacciata da accuse reciproche di violazione degli accordi. Al centro delle tensioni con il governo di Tel Aviv ci sono soprattutto i 19 corpi degli ostaggi non ancora restituiti dai miliziani, e il disarmo dell’organizzazione palestinese. Hamas da parte sua accusa Israele di violare la tregua e denuncia che sui corpi dei palestinesi morti in carcere e riconsegnati da Tel Aviv ci sono evidenti segni di tortura. Resta grave la situazione umanitaria: le agenzie Onu affermano che nella Striscia entra una quantità ancora troppo esigua di aiuti umanitari, mentre l’organizzazione mondiale della sanità parla di una diffusione incontrollata delle malattie infettive. Intanto il valico di Rafah resta chiuso. Giovanna Fotìa, dell’Ong WeWorld, è la responsabile dei progetti per la Palestina.

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