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Come funziona l’accoglienza profughi in casa

Matteo Salvini ha parlato di razzismo contro gli italiani, Giorgia Meloni ha detto che porterà Pisapia in Tribunale, Riccardo De Corato, per vent’anni nelle maggioranze che hanno governato la città di Milano, andrà a incontrare i clochard in stazione Centrale. La destra si è risvegliata di fronte all’iniziativa di accoglienza in casa dei profughi fatta dal comune di Milano, strumentalizzando una iniziativa nuova per Milano, consolidata altrove.

La prima città è stata Torino nel 2008 e il progetto si chiamava “rifugio diffuso”, poi sono arrivate Parma e Fidenza con l’iniziativa “rifugiati in famiglia”, replicata da altre amministrazioni. A far infuriare la destra è soprattutto il rimborso alle famiglie che ospitano uno o due profughi nella propria abitazione, cifre che variano dai 300 ai 400 euro. Soldi che rientrano nella budget annuale stanziato dal ministero dell’Interno e gestito dallo Sprar, il Servizio di Protezione nazionale per rifugiati e richiedenti asilo che coordina queste iniziative.

Si tratta infatti di accoglienza di secondo livello: i profughi che finiranno nelle case dei milanesi hanno già passato un periodo di prima accoglienza nelle strutture comunali gestite dal terzo settore, in questo caso dalla cooperativa “Farsi Prossimo”.

Chi può aderire al progetto? Famiglie o singoli residenti a Milano, che si rendano disponibili a partecipare ad una formazione di due giorni, al termine della quale ci sarà un colloquio per verificare l’idoneità all’accoglienza. Il tempo di ospitalità è di 6 mesi, prorogabili sulla base delle singole esigenze progettuali. Il rimborso con i fondi statali a disposizione dello Sprar è di circa 350 euro mensili, fino a un massimo di 400 per due profughi. La casa dovrà avere una camera da letto dedicata e un bagno accessibile all’ospite. Le domande di adesione potranno essere inviate fino al 15 gennaio 2016. Il bando sul sito del comune di Milano con tutte le informazioni è qui.

Si tratta ovviamente di una goccia nel mare dell’accoglienza. A Milano interesserà inizialmente 5 rifugiati, per poi estendersi fino a un masimo di 20. Il comune ha calcolato un risparmio per le casse pubbliche di circa il 70% rispetto all’accoglienza in altre strutture, dove il rimborso giornaliero è di 35 euro. I soldi risparmiati saranno ripartiti altrove, sempre in ambito accoglienza.

La forza di questa micro-accoglienza è che avviene nel mondo reale, in una casa in mezzo ad altre case, e non nell’isolamento forzato di un albergo periferico o in campi di accoglienza spesso simili a ghetti.

Ne abbiamo parlato con la direttrice dello Sprar, Daniela Di Capua. L’intervista è di Diana Santini:

daniela di capua

Come dicevamo Milano è solo l’ultima di una serie di città che hanno sperimentato l’accoglienza in casa. La prima è stata Torino nel 2008. Ogni anno sono circa 25 i profughi che trovano ospitalità nelle case dei torinesi.

Lo racconta, sempre al microfono di Diana Santini, Salvatore Bottari, responsabile dell’ufficio immigrazione del comune di Torino:

salvatore bottari

Ci sono anche forme di accoglienza dal basso, nate dalla spontanea solidarietà di cittadini e cittadine che si sono messi insieme per dare un tetto ai rifugiati o ai profughi in transito. In Germania la rete “Refugees Welcome” nel novembre 2014 ha aperto un sito internet per concretizzare e coordinare queste forme di scambio solidale, il sito è Refugees-Welcome.net. Iniziative simili sono sorte anche in Spagna, Austria, Portogallo, Svezia, Grecia e da novembre 2015 anche in Italia. L’associazione è nata con il lavoro volontario e autofinanziato di un gruppo di professionisti del settore ed è un progetto che vive di finanziamenti volontari: trovate tutti i modi per sostenerli alla pagina Refugees-Welcome.it, oppure contattandoli qui tramite la loro pagina Facebook.

 

 

 

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    Roberto Maggioni
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