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L’affanno del Modello Milano

C’è ancora il Modello Milano? Il centrosinistra allargato di Giuliano Pisapia ha ancora una possibilità di avere una nuova esperienza di governo cittadino? L’apertura della raccolta firme per le candidature alle primarie del 7 febbraio sta facendo intravvedere uno scenario inaspettato. La gran parte dei protagonisti della giunta di Palazzo Marino, infatti, appoggiano l’amministratore delegato di Expo spa Giuseppe Sala, seguito dall’assessore Pierfrancesco Majorino, infine la vicesindaca Francesca Balzani, indicata di fatto da Pisapia.

C’è gran discussione nel centrosinistra milanese, dove la situazione è alquanto fluida, come gli spostamenti di appoggi tra i candidati, per altro spesso non ancora ufficializzati, come Sala e Balzani. Lo scenario è molto diverso rispetto a cinque anni fa, dopo vent’anni di opposizione, anche questa prima volta, forse, sta facendo commettere una serie di ingenuità e cadute di stile.

Ieri una serie di esponenti, soprattutto del partito democratico, tra cui alcuni consiglieri di zona, hanno avuto, dopo averlo chiesto, un incontro con Sala presso la sede delle Acli. L’amministratore di Expo rischia, per altro, di fare la campagna per le primarie restando ancora in carica per gestire l’avvio del post esposizione. I soci della società (tra cui Regione, Comune e Fiera) preferirebbero che il manager restasse in carica, soprattutto Palazzo Lombardia, in attesa della presentazione dei conti, il 21 dicembre. Inoltre è probabile che l’assemblea dei soci del 23, con all’ordine del giorno la fusione in Areaexpo vada deserta, e la seconda convocazione è prevista il 29 gennaio.

A favore di Sala finora si sono schierati sette assessori: Pierfrancesco Maran, Carmela Rozza, Marco Granelli, Franco D’Alfonso, Chiara Bisconti, Cristina Tajani, e Daniela Benelli. A sostegno di Majorino c’è Filippo Del Corno, mentre per Balzani ci sono due ex assessori di Pisapia, l’architetto Stefano Boeri e la consigliera regionale civica Lucia Castellano. Si può ancora parlare del modello Milano? Ci stanno provando i pontieri di Retedem, visti di buon occhio da Sinistradem, Comitati per Milano e Sel, che lunedì sera deciderà definitivamente se aderire alle primarie.

  • Autore articolo
    Fabio Fimiani
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    Si chiama “Board of Peace” e Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, l’ha pensato come il grande consiglio che guiderà – sulla carta - la ricostruzione di Gaza. Il disegno immaginato da Trump non prevede l'intervento degli organismi internazionali che hanno retto la sovranità del diritto per decenni. Nel futuro di Gaza – almeno per ora – non sono previste presenze come le Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l'Organizzazione Mondiale del Commercio. Il "Board of Peace" richiama molto l’idea di un consiglio di amministrazione (un “board”, appunto), che dovrà gestire un affare economico e finanziario colossale, un consiglio che avrà Trump come presidente. Il piano Trump in 20 punti, al paragrafo 9 recita: "Questo organismo (Board of Peace, ndr) definirà il quadro di riferimento e gestirà i finanziamenti per la ricostruzione di Gaza". Gestirà i soldi, proprio come un CdA che si rispetti. E le logiche finiranno per essere quelle del business e non della convivenza internazionale; dell’interesse privato e non dell’interesse pubblico; dell’autoritarismo che oscura la democrazia. Raffaele Liguori ha intervistato Fabio Armao, docente di relazioni internazionali all’università di Torino. È autore, insieme a Davide Pellegrino, di “Distopia americana. L’impatto della presidenza Trump sul sistema politico americano” (Mimesis, in uscita).

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