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Politica leggera

I leghisti e -ancora- la storia dei gay che portano l’Aids

Torno oggi su un fatto di qualche giorno fa, contravvenendo alla logica del web secondo cui le notizie si commentano a caldo.

Ho lasciato trascorrere qualche giorno per darmi il tempo di riflettere, a mente serena, lasciando scorrere via la rabbia che non è mai buona consigliera, come dicevano i proverbi dei nonni (in realtà era la fretta ma facciamo in questo caso che sia la rabbia che la fretta sarebbero state cattive consigliere).

Mi riferisco al tweet del deputato leghista Claudio Borghi -sì, lui, quello che insieme al suo sodale Alberto Bagnai avrebbe voluto farci uscire dall’Euro condannandoci alla rovina- dello scorso 20 luglio. Lo riporto qui in forma integrale per completezza di informazione:

“terzo giornalista che chiama per sapere se sono vaccinato. Finora sono stato gentile, al prossimo parte il vaffanculo e la cancellazione dalla lista dei contatti. Perché questi eroi la prossima volta che intervistano un LGBT non gli chiedono se è sieropositivo e se fa profilassi?”

La mia prima reazione, a livello emotivo, sarebbe stata quella della scatologia, dico la verità. Ma in giro di questa roba ne abbiamo fin troppa e non è che aiuti, anzi avrebbe fatto il gioco dell’aggressore. Invece è molto più interessante andare a vedere l’origine delle parole di Borghi.

Dobbiamo tornare agli anni ’80, quando l’epidemia di Aids esplose negli Stati Uniti, colpendo tra gli altri la comunità gay. Alla Casa Bianca c’era il repubblicano Ronald Reagan, attorniato da uno staff di collaboratori intrisi dell’ideologia reazionaria della destra Usa che nei decenni, passando per i cosiddetti “teocon” di Bush Junior avrebbe visto la deriva del partito conservatore concludersi con il trumpismo. Ma pure negli ’80 non scherzavano, i ragazzi. Tra i consiglieri più ascoltati di Reagan figurava ad esempio Pat Buchanan, referente dei settori religiosi più oltranzisti, uno che arrivò a negare alcuni aspetti della Shoah. L’Aids fu, per lui e per il suo mondo, una grande fortuna. Nel 1984, all’insorgere sempre più frequente dei casi, sentenziò: “i gay hanno dichiarato guerra alla natura, e ora la natura esige una tremenda punizione”.

Una visione intrisa di moralismo, di estremismo religioso, di omofobia, di odio per il diverso. E di cinico e devastante calcolo politico. Una ideologia che condizionò l’azione della Casa Bianca.

Per anni Reagan evitò di parlare in pubblico dell’epidemia.

Nessuno studioso, nessuna persona guidata dal raziocinio, assocerebbe oggi una malattia sessualmente trasmissibile a un determinato orientamento affettivo e sessuale.

Lo ha fatto in Italia Claudio Borghi, non saprei onestamente dire quanto consapevole dell’origine storico-politica delle parole che ha espresso in quel tweet. Del resto che ci volete fare, in Italia siamo spesso retroguardia del peggio. Sicuramente il deputato leghista avrà pensato di solleticare l’istinto dei settori più arretrati dell’elettorato, oggi che la politica è ridotta troppe volte a pura ricerca del consenso immediato.

E qui a mio parere sta il punto, perché di Borghi Claudio in quanto tale ce ne si potrebbe anche bellamente fregare (se non fosse, non dimentichiamolo dato che è uno dei responsabili economici della Lega, per il suo sogno di farci uscire dall’Euro gettandoci nella miseria).

La domanda è: quante persone la pensano come lui? Quante persone credono ancora oggi che l’Aids sia una faccenda di omosessuali e transessuali, una malattia che è uno stigma, una giusta punizione per le tue depravazioni, per il tuo vivere al di fuori delle leggi del dio di turno?

Quante persone sognano la caccia all’untore?

Temo siano più di quante si possa immaginare. Credo che se ne stiano per lo più silenti perché agitare il fantasma della “colonna infame” è un po’ più complicato che sbraitare sui trend topic quotidiani, anche per un cosiddetto “leone da tastiera”.

Riflettendo sul caso Borghi ho pensato che, per paradosso, sarei felice, invece, se queste persone venissero allo scoperto. Per sapere con chi ci si rapporta. Per non averci nulla a che fare, mai. Per vivere la propria esistenza nella maniera più serena possibile tenendosi alla lontana, a debita distanza di sicurezza, dai propagatori di discorsi tossici, discriminatori, pericolosi e violenti.

  • Luigi Ambrosio

    Vorrei scrivere di mille cose e un giorno lo farò. Per ora scrivo di politica. Cercare di renderla una cosa umana è difficile, ma ci provo. Caposervizio a Radio Popolare, la frequento da un po' ma la passione non diminuisce mai

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La scuola non serve a nulla

Riflessioni, cose viste in giro, tournée, Ayrton Senna.

Come annunciato settimana scorsa, il tour di spettacoli è incominciato e procede spedito, tra tanti calorosi incontri con il pubblico e qualche problema tecnico sempre in agguato nelle date estive, ma quello è da mettere in conto. L’altra cosa bella di quando sei in tour è che, benché non si abbia proprio il tempo per fare anche il turista, però, magari, qualcosa in giro la si riesce a vedere. E siccome avevo una data a Cotignola (RA), ho fatto un giro all’Autodromo di Imola.

“Ma come, l’Autodromo di Imola!!! Ma ci sono robe molto più importanti in zona… il Mausoleo di Teodorico, il Tempio Malatestiano, la Tomba di Dante…” .

Ora, posto che io posso anda’ ‘ndo mi pare, vi spiego perché.

Ho una sorta di morbosa venerazione inconscia per Ayrton Senna. Che è venuta fuori dopo la sua morte ed è ancor più strana per il fatto che invece per gran parte della sua carriera, quando lui correva e io da piccolo guardavo la Formula 1, Ayrton mi stava antipatico: io tifavo per Alain (quando invece la sfida era con Mansell, ero per Ayrton perché ovviamente avevo già capito tutto della vita e mi ero imposto di tifare sempre per quello, tra i due contendenti, con la macchina più scarsa). Però poi, cominciando a far teatro, i primi spettacoli, e soprattutto grazie a certi maestri… un’ideuzza…

Certo, Ayrton non è solo – dicono – il più grande pilota di tutti i tempi, o uno di quelli sportivi, come Maradona o Cassius Clay, che son “troppo più” rispetto a quello che hanno rappresentato “semplicemente” in quanto campioni, seppur immensi (tanta roba non ci sta, nemmeno nelle pagine somme della storia dello sport). Ayrton è stato anche una sorta di coincidentia oppositorum: un computer umano nella precisione della messa a punto, e, al tempo stesso, un mistico e visionario asceta della velocità; una paranoica meticolosità nella preparazione della gara mescolata all’azzardo più arrischiato quando le luci diventavano verdi; un’attitudine da cannibale assatanato contro tutti in corsa dentro un animo profondamente religioso… e nella consapevolezza gentile di riscattare tanta poverissima gente del suo paese, che lo idolatrava quasi più degli eroi del calcio (lui, nato da una famiglia ricchissima), la certezza di incarnare una sorta di “diritto divino a vincere”.

Sono celebri le immagini degli istanti iniziali di quell’unica corsa in cui, diversamente da tutte le altre, il pilota brasiliano attese l’inizio sul rettilineo di partenza senza il casco, a volto scoperto, incurante di nascondere preoccupazioni e pensieri. Si sarebbero versati i fiumi di inchiostro sul fatto che fece questo proprio, e soltanto, prima della gara a lui fatale, quella di quel 1′ maggio 1994 a Imola (il giorno prima, in quel weekend che è letteralmente “l’11 Settembre della Formula 1”, c’era stato l’incidente di Ratzenberger). Una canzone di Lucio Dalla lo spiega molto bene: un Ayrton nell’abitacolo prima corrucciato, insofferente, spaesato… che poi chiude gli occhi e rivolge la testa al cielo, rasserenato. Come se Ayrton, in quei momenti, si stesse chiedendo, con le cinture della sua Williams che sembravano quelle di uno zaino troppo grande attaccate alle spalle d’un bambino imbronciato che a scuola non ci vuole andare, che senso avesse tutto ciò, e come se poi un senso, in qualche modo, lo si fosse trovato, un senso più alto. Come se sapesse quello che gli sarebbe accaduto. Sarebbe morto una ventina di minuti dopo.

Poi oggi, passando dal memoriale con la sua statua, lì all’Autodromo di Imola (fa strano perché Ayrton sembra avere il volto di Leopardi) un’intuizione: questo mix tra calcolo e cuore, questo ponte tra la gente e il divino, questa conciliare l’agonismo della competizione con l’empatia per i propri simili… è ciò in cui dovrebbe consistere l’essenza dell’arte dell’attore. Non c’entra niente? Forse.

(Ah sì, dimenticavo: anche qui, purtroppo, se sei ricco di famiglia… be’, ecco, questo aiuta molto…)

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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Appunti sulla mondialità

Mi chiamavo Youns

Youns El Boussetaoui, 39 anni, moglie e due figli in Marocco, residente senza fissa dimora a Voghera. Tre settimane fa era stato sottoposto a TSO, la sorella che abita in città racconta che più volte aveva tentato di farlo dormire da lei, ma Youns preferiva le panchine. Da giorni dava fastidio agli avventori dei bar, senza mai diventare aggressivo e soprattutto senza mai avere usato oggetti in grado di fare del male e men che meno armi. Per la stampa è solo il “marocchino”, ucciso e cancellato il nome, per il suo assassino, perchè difficilmente se la caverà per legittima difesa, un pericolo sociale. Ma il punto è che l’assassino non era un passante qualsiasi, ma l’assessore “alla sicurezza”, che in quanto tale non era mai intervenuto prima per monitorare la condizione psichica e sociale di Youns e dei tanti Youns, italiani e “marocchini”, che troviamo per strada e che sono aumentati vertiginosamente durante la pandemia. Sicurezza per alcuni amministratori è qualche telecamera in più, e in questo caso patologico andare in giro armati con il colpo in canna per fare da soli. Mai prevenire le peggiori conseguenze del disagio psicologico o del naufragio sociale accompagnando e sostenendo i più deboli. Chiaramente si tratta della storia tragica di due disturbati, entrambi con problemi psichici di diversa natura. Ma la differenza è che uno era un marginale ritenuto “deviante” e l’altro un’assessore comunale considerato “normale”.
La politica ha già giudicato a prescindere, ora è il tempo della Giustizia. Ma questa storia drammatica ci racconta l’ennesimo fallimento delle cosiddette politiche di rigore contro l’insicurezza, che non aggrediscono mai le cause, ma si accaniscono sulle persone colpite dai fallimenti o dal disagio, creando solo nuove tragedie
  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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Breaking Dad

Attacco al Pianeta Terra

C’era una volta un giovane alieno. Proveniva dal pianeta XZ079 e si trovava sulla Terra perché aveva un’importante missione da compiere. Il giovane alieno era molto emozionato e anche un po’ preoccupato perché si trattava della prima, vera prova per poter diventare un “Cacciatore”. Voleva fare bella figura e, per questo, si era preparato al meglio.

Il Grande Consiglio gli aveva dato questo incarico: avrebbe dovuto verificare lo stato di sviluppo del Genere Umano per confermare – o smentire – la convenienza dell’invasione. Mica una cosa da poco, aveva pensato il giovane alieno, tutto orgoglioso che quell’incarico fosse toccato proprio a lui. Ma, del resto, si era impegnato a fondo e aveva portato al Grande Consiglio una relazione dettagliata e approfondita.

Il Genere Umano, aveva illustrato ai Saggi schiarendosi la voce, ha ormai raggiunto grandi traguardi scientifici, tecnologici e sociali. Hanno fatto passi da gigante nelle comunicazioni, le loro città sono vaste e moderne, la loro società è efficiente e organizzata in modo complesso. Le stesse abitudini quotidiane – aveva proseguito, mentre i saggi annuivano – sono contraddistinte da raffinatezza, gusto del bello, finezza di ragionamento. Non sono certo – aveva aggiunto, sicuro che quel dettaglio avrebbe convinto il Consiglio – come quei buzzurri del Pianeta Sgorbius!

Il Pianeta Sgorbius era stato candidato all’invasione ma poi scartato, dopo che la relazione di suo cugino, di qualche anno più grande di lui, aveva bocciato senza appello il grado di sviluppo della popolazione indigena.

Ascoltata l’appassionata arringa del giovane alieno, il Grande Consiglio si pronunciò. E sia. Sia dato il via libera all’ultima fase della missione Terra. Era fuori di sé per la felicità. Si vedeva già con la divisa da Cacciatore, ammirato e rispettato da tutti. Ma ora non poteva commettere errori. Tutto dipendeva da lui. Ripassò mentalmente ciò che avrebbe dovuto fare: lanciarsi con il Razzo in una zona nascosta, prendere la forma umana, mescolarsi a loro e verificare di persona. Scattare foto, girare video, insomma, mettere insieme le prove definitive.

A quel punto, avrebbe inviato un messaggio di conferma e, dal pianeta XZ079, sarebbe partita la squadra d’attacco. L’obiettivo? Semplice, conquistare la Terra, uccidere la gran parte dei Terrestri tranne quelli che servivano a far funzionare città, treni, aerei, telefoni, e così via. Nel giro di qualche mese la Terra sarebbe diventata una splendida colonia del Pianeta XZ079.

Il giovane alieno aveva studiato anche quale fosse il luogo migliore per quell’ultima, decisiva, verifica. New York, Tokio, Dubai, Londra…. Aveva scelto. Ma qualcosa andò storto. Sarà stata la tensione, l’inesperienza, chi lo sa! Sta di fatto che il Razzo, programmato per atterrare in Giappone, si infilò, nottetempo, nella sabbia della spiaggia di Zadina. Tra Cervia e Cesenatico. In Romagna, Italia. Ma il giovane alieno non lo sapeva. Non se n’era accorto, emozionato com’era. E così, sul far del giorno, dematerializzato il Razzo, assunte fattezze umane, si incamminò tra gli ombrelloni colorati.

Che strane abitazioni, pensò. Me le aspettavo un po’ più… un po’ più…
Ma non ci fece troppo caso e, visto che non c’era ancora nessuno, si sdraiò e, stanco per il viaggio, si addormentò.
Venne svegliato dalle urla di un tizio che gridava: cocco! Cocco bello! Era seminudo e portava una specie di cesto colmo di pezzetti di roba da mangiare. Il giovane alieno si stropicciò gli occhi e si guardò attorno.

Erano TUTTI seminudi! E stavano sdraiati su giacigli primitivi, se non per terra, in mezzo alla sabbia. Quest’ultima, anzi, spesso ne ricopriva la pelle ma loro non sembravano esserne infastiditi.

Il giovane alieno deglutì. Sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Poteva aver sbagliato tutto? Ma che razza di pianeta era mai quello. No, non poteva essere. Si mise a camminare nervosamente verso il mare. E li vide. Fu uno choc. Le costruzioni, le famose opere dell’ingegno terrestre che aveva studiato per anni e che tanto avevano contribuito alla sua tesi sul Pianeta Terra. Eccole lì. Quattro umani, quasi nudi pure loro, con degli attrezzi primordiali, scavavano nella sabbia. Avevano costruito una piccola, ridicola, galleria. Uno di loro si alzò e, con un improbabile contenitore, trasportò dell’acqua e la fece colare nella galleria. Due umani di piccole dimensioni applaudirono. Lui disse: grande! L’altro umano grande gli scagliò della sabbia bagnata addosso.

Era un incubo. Non poteva essere vero. Il giovane alieno si sentì perduto, ma non si diede per vinto. Sarà un caso, si disse senza crederci troppo. Si mise a correre da una parte all’altra, alla disperata ricerca di qualcosa che lo rassicurasse. Ma ovunque vedeva umani nudi che si rotolavano nella sabbia, saltellavano nell’acqua, dormivano l’uno accanto all’altro. Alcuni mangiavano con le mani, come nella preistoria, pensò. Altri utilizzavano ridicoli strumenti che, con tutta evidenza, procuravano loro divertimento: sfere colorate che lanciavano qualche metro avanti a sé. Mio Dio, ho sbagliato tutto, pensò il giovane alieno. Gli umani erano a un grado di evoluzione paragonabile agli abitanti del Pianeta Sgorbius. Ma non voleva darsi per vinto.
Corse via dalla spiaggia, attraversò la pineta: umani che si spostavano su mezzi di trasporto primitivi, con due ruote e nessuna fonte di propulsione che non fossero i loro stessi muscoli. Mio Dio! Qualcuno aveva steso teli di forma quadrata a colore alternato, rosso e bianco e, seduto per terra, si nutriva di cibo appoggiato al telo stesso. No! No!

Il giovane alieno, esausto e agitato, si avvicinò a una piccola costruzione in legno dove, aveva intuito, veniva preparato del nutrimento.
Mi dia il cibo più buono che avete qui, disse.
Il signor Loris si pulì le mani sul grembiule e rispose: la piadina!
Dopo qualche minuto il giovane alieno teneva nelle mani in forma umana un pezzo di pane piatto e caldo.

Mi sentite? Qui Terra, missione attacco. No, signore. Fermate tutto. Ripeto: missione fallita, fermate tutto. Sono mortificato, non è come pensavo. No, signore. Vi relazionerò al mio ritorno. Grazie signore. Torno al razzo signore.

E fu così che il vecchio Loris, le bocce e i castelli di sabbia salvarono l’ Umanità.

“Papà! Hai finito di scrivere? Vieni in acqua?”
“Arrivooooo!”

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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Piovono Rane

Lettera aperta da un libertario ai libertari

In un film degli anni Settanta, “La Merlettaia”, un gruppo di ragazzi idealisti si confrontava sulle varie forme di autoritarismo, e uno di loro diceva che anche ogni nuovo semaforo è un’imposizione, è una regola in più che induce all’obbedienza,  alla subordinazione.

Mezzo secolo dopo la nostra società è andata molto più in là, rispetto ai timori di quei ragazzi. Siamo tutti continuamente sottoposti a nuove regole sociali.

Ancora a metà degli anni 80 c’era un movimento di motociclisti contro il casco obbligatorio. Più avanti, da alcuni fu accolto come un attentato alla libertà il divieto di fumo nei ristoranti. Poco dopo, la cintura di sicurezza obbligatoria in automobile.

Oggi con la pandemia e il Green pass siamo di fronte a un nuovo passaggio.

Con molte resistenze e non solo dalla destra: anche tra i nostri ascoltatori, a Radio popolare, ci sono quelli che ci scrivono arrabbiati. E pure qui, su Fb, da gente di sinistra.

Manca forse però il pezzo in mezzo, cioè quello che è successo a livello strutturale negli ultimi cinquant’anni.

Durante i quali la società si è molto più intrecciata al suo interno.

Durante i quali l’interdipendenza tra individui è diventata totale e globale.

Durante i quali i comportamenti di ciascuno sono diventati molto più impattanti sulla vita degli altri. Dal fare o non fare la differenziata fino all”usare o meno la macchina in città.

Siamo tutti intrecciati tra di noi. E lo saremo sempre di più.

È strutturale, appunto.

Uno scrittore visionario di fantascienza negli anni Sessanta lo aveva intuito e scriveva: la società del futuro o sarà educata o non sarà. Ma la creazione dell’abitudine – di quella che lui chiamava “educazione” – è spesso, se non sempre, passata attraverso le regole, almeno in una fase.

E allora, in questo contesto di ineluttabile iper regolamentazione che spesso vediamo come limitante per la nostra libertà, bisogna elaborare forse un nuovo concetto di libertà, oggi.

Basato non sull’Io contro l’Altro da me, non sul rapporto conflittuale tra società e individuo, ma sul controllo democratico e trasparente delle decisioni, delle regole in questione appunto – e soprattutto dei big data, degli algoritmi, del “capitalismo della sorveglianza” (Zuboff 2019).

Credo che sia questa, per tutte e tutti, la vera sfida libertaria dei prossimi decenni, altro che vaccini.

Per metterla giù con la zappa, amici libertari, forse vale la pena di occuparsi meno di fiale e più di sistemi credito sociali imposti dall’alto e con algoritmi non trasparenti, quindi della società del rating che ne deriva, della patente a punti della buona e della cattiva persona, di sharp power non controllato se non autocraticamente, in un intreccio di potere Stato-corporations.

Tutte cose che non sono dietro l’angolo: sono già in fieri.

E confesso che mi piacerebbe molto vederci in piazza insieme su questi temi, amici libertari di sinistra, anziché guardarvi mentre vi mescolate con i fasci salviniani, con i pappalardi rimbambiti e con altra umanità frustrata nei cortei contro la salute pubblica.

 

 

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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    1) A Gaza gli attacchi continuano e gli ingressi umanitari restano pochi. Nella striscia, però, si prova a pensare al futuro. (Giulio Cocchini - Cesvi) 2)Baghdad tra Washington e Teheran. Gli Iracheni votano per le elezioni parlamentari che decideranno che direzione prenderà il paese. (Laura Silvia Battaglia) 3) Stati Uniti, il senato approva il provvedimento per mettere fine allo shutdown. Lo stallo economico sembra vicino alla fine, ma il voto ha spaccato i democratici. (Roberto Festa) 4) Il costo climatico dell’intelligenza artificiale. Per la prima volta alla Cop30 di Belem si discuterà dell’impatto ambientale delle tecnologie digitali. (Alice Franchi) 5) Spagna, la pubblicazione delle memorie dell’ex re Juan Carlos riaprono il dibattito sul ruolo della monarchia. (Giulio Maria Piantedosi) 6) Rubrica sportiva. La squadra femminile di calcio under 17 della corea del nord si riconferma campione del mondo. Non una sorpresa, ma una strategia pianificata. (Luca Parena)

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    La leggenda del soul Mavis Staples raccontata dal suo produttore Brad Cook

    È uscito “Sad and Beautiful World”, nuovo disco della leggendaria Mavis Staples. Giunta all’età di 86 anni e con oltre settant’anni di carriera alle spalle, l’artista di Chicago dimostra di avere ancora tanto da condividere con il mondo. Da Leonard Cohen a Frank Ocean, da Kevin Morby a Tom Waits, muovendosi tra generi e decenni diversi, Mavis Staples fa quello che sa fare meglio: reinterpretare brani noti al grande pubblico facendoli suoi in un modo unico e inconfondibile. “Le canzoni di Mavis parlano di amore ed empatia” - spiega il produttore dell’album Brad Cook ai microfoni di Radio Popolare - “e nei tempi che viviamo non potremmo averne più bisogno”. L’intervista di Claudio Agostoni.

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    Vieni con me è una grande panchina sociale. Ci si siedono coloro che amano il rammendo creativo o chi si rilassa facendo giardinaggio. Quelli che ballano lo swing, i giocatori di burraco e chi va a funghi. Poi i concerti, i talk impegnati e quelli più garruli. Uno spazio radiofonico per incontrarsi nella vita. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

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    Volume di martedì 11/11/2025

    La nuova e inattesa collaborazione tra Charlie Xcx e John Cale nel brano "House" e l'intervista di Claudio Agostoni a Brad Cook, che racconta il nuovo album prodotto per la leggenda del soul Mavis Staples. A seguire un piccolo omaggio a Giulia Cecchettin, il quiz della settimana dedicato al film "Gli Intoccabili" di Brian De Palma, e la notizia dei Chemical Brothers ai Magazzini Generali di Milano il 22 novembre.

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