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In Lombardia tira una brutta ARIA

Per il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana sono tutte fake news, ma l’incapacità dell’amministrazione lombarda nel gestire la campagna vaccinale è sotto gli occhi di tutti. Le maggiori responsabilità le avrebbe ARIA, quella Agenzia Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti a cui la giunta ha affidato la gestione delle procedure per la “modica” somma di 22 milioni di euro.

Che quello di ARIA sia stato un fallimento, è evidente a tutti. La parte davvero interessante, però, si legge nei dettagli. Dettagli che emergono dalle dichiarazioni dell’ex membro del Consiglio di Amministrazione di ARIA Mario Mazzoleni, che ai microfoni di Radio Popolare parla di una piattaforma in cui alcuni dati sono affidati a “inserti manuali”. Dettagli che emergono dalle inchieste di altre testate giornalistiche, che parlano di una gestione delle prenotazioni che usa “file Excel non integrati nella piattaforma”.

Nessun dubbio che la piattaforma di ARIA abbia dimostrato di essere un disastro. Ma da dove arriva la tanto vituperata piattaforma? Il sistema utilizzato dall’agenzia lombarda si chiama SIAVr (Sistema Informativo Anagrafe Vaccinale regionale) ed è stato sviluppato da Regione Veneto, che lo ha “ceduto” (tra gli altri) alla Lombardia.

In teoria, leggendo la documentazione della piattaforma (online si trova addirittura il manuale di istruzioni per usarla) a SIAVr non mancherebbe nulla per consentire di gestire in maniera adeguata una campagna vaccinale, anche per il Covid 19.

Che cosa è andato storto, allora? Un’ipotesi è che dalle parti di ARIA abbiano dovuto modificare il software per adattarlo al sistema sanitario regionale, che lo stesso Mazzoleni ha definito “estremamente frammentato”. D’altra parte, se si usa un programma pensato per funzionare in un altro contesto, qualche problemino bisogna metterlo in conto.

Visto però quello che stanno combinando in Veneto, in cui le prenotazioni non sono andate molto meglio che in Lombardia, il vero problema (per dirlo in maniera professionale) può essere che il software non abbia quelle caratteristiche di versatilità e scalabilità (la caratteristica di un sistema software o hardware facilmente modificabile nel caso di variazioni notevoli della mole o della tipologia dei dati trattati – ndr) che gli avrebbero permesso di gestire anche le prenotazioni per il vaccino Covid. Per dirlo in maniera più semplice: è possibile che sia una ciofeca.

Il condizionale è d’obbligo, visto che il codice del software è proprietario e, di conseguenza, non ci si può mettere il naso. Se fosse stato sviluppato con strumenti open source, le cose sarebbero ben diverse e, probabilmente, sarebbe stato più facile anche modificarlo per far fronte all’emergenza.

Insomma: il pasticcio di ARIA non è dovuto solo all’incompetenza di chi la gestisce o chi la dirige, ma affonda le sue radici in quella “autonomia” che in una certa fase della vita politica del nostro paese (no, non è colpa solo della Lega) si è imposta come dogma di efficienza e modernità.

E il vero problema, forse, è proprio questo. Nell’informatica le “autonomie” sono il modo migliore per produrre inefficienze. Creare un prodotto “autonomo” significa creare qualcosa che non rispetta gli standard, che è più difficile da capire e modificare, sul quale diventa problematico mettere le mani, innestare nuovi moduli e che, di conseguenza, risulta difficile da adattare alle nuove esigenze. In altre parole, è il modo migliore per produrre una schifezza.

Nel mondo delle nuove tecnologie, chi va da solo è destinato a fallire. È su questo che oggi dovrebbero riflettere sovranisti, secessionisti e autonomisti di casa nostra.

Aggiornamento: rispondendo alle dichiarazioni di Mario Mazzoleni, Regione Lombardia ha specificato che i problemi in fase di prenotazione non sono stati causati da SIAVr ma da altre piattaforme fornite da aziende private, create appositamente per la campagna di prenotazione sul territorio lombardo. Fatta la doverosa precisazione, il succo non cambia.

  • Marco Schiaffino

    Dopo una (breve) esperienza come avvocato, nel lontano 2000 mi sono trovato quasi per caso a scrivere di Internet e nuove tecnologie, quando il Web e il digitale erano una specie di hobby per smanettoni e appassionati di fantascienza. Mentre continuavo a scrivere per la mia banda di nerd, mi dannavo per trovare il modo di passare a quello che pensavo fosse un giornalismo “più serio”. Qualche volta ce l’ho anche fatta. Poi è successa una cosa strana: quello di cui mi occupavo da anni, ha cominciato a interessare tutti. Ho smesso di dannarmi.

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Appunti sulla mondialità

La guerra dei vaccini

Come facilmente prevedibile, in mancanza di cooperazione internazionale sulla prevenzione come sulla risposta alla diffusione del Covid-19, è scoppiata la “guerra dei vaccini”. Le case farmaceutiche e gli Stati che producono vaccini sono i giocatori di una inedita “geopolitica vaccinale” che si è determinata in pochi mesi. Prima c’è stata la corsa a mettere a punto per primi un prodotto efficace, con pochi esempi di collaborazione; poi sono cominciati i tentativi di ostacolare o favorire la distribuzione dei vari vaccini in base a criteri politici.  I vaccini della Sinopharm cinese e lo Sputnik russo la fanno da padroni in Africa, America Latina e Asia grazie ai prezzi bassi (in alcuni casi sono stati forniti gratis) e alla velocità con la quale vengono prodotti. Non si registrano finora controindicazioni significative all’impiego di questi vaccini, che tuttavia non riescono a superare le griglie di valutazione dei Paesi occidentali, Stati Uniti e Unione Europea in testa.

Intanto USA e UE fanno blocco a favore delle rispettive multinazionali del farmaco, malgrado gli inconvenienti con i rifornimenti, il mancato rispetto dei termini contrattuali da parte delle aziende e i prezzi molto variabili. Il vaccino prodotto da AstraZeneca, anglo-svedese, è quello più economico in assoluto, solo 1,80 euro a dose, ed è ritenuto tra i più efficaci. Non pochi osservatori, durante il blocco temporaneo del suo impiego stabilito tra l’altro anche da Germania, Italia e Francia, hanno ipotizzato che a questo farmaco si siano dedicate “attenzioni” particolari non solo per motivi scientifici ma anche per la sua provenienza britannica. Proprio la provenienza è il grosso ostacolo per il vaccino russo Sputnik, che in Europa viene usato solo come spauracchio per mettere pressione sui laboratori in deficit di consegna, mentre non si accelera per la sua approvazione presso l’EMA, l’agenzia comunitaria per i farmaci.

Chi è fuori dalla mischia è la Cina, che per prima ha sviluppato un vaccino efficace: ora lo produce anche in altri Stati, come il Brasile, per venderlo soprattutto nei Paesi più poveri. La mappa dell’uso del Sinopharm e degli altri vaccini nel frattempo elaborati in Cina ricalca perfettamente la mappa dei rapporti commerciali cinesi. Il vaccino diventa così una fornitura essenziale che viene incontro ai bisogni dei più deboli, rafforzando ulteriormente le relazioni con Paesi con cui Pechino ha già saldi rapporti commerciali. Anche per la Russia il vaccino Sputnik è chiaramente uno strumento di politica estera: sono i Paesi politicamente più vicini al Cremlino che stanno usufruendo della sua disponibilità, garantita anche a costo di rimandare la vaccinazione della popolazione russa.

La situazione dell’Europa è paradossale. Avrebbe la capacità installata per produrre vaccini nei laboratori che costellano l’intero continente, ma per portare avanti lo sforzo ha scelto di dipendere da tre multinazionali, due statunitensi e una con sede centrale in Inghilterra; tra poco si aggiungerà la quarta, Johnson&Johnson, anch’essa a stelle e strisce. Multinazionali che producono in impianti europei, dai quali fanno partire spedizioni di vaccini dirette verso Paesi terzi senza che prima siano stati rispettati gli accordi con la Commissione europea. Il protezionismo vaccinale, infatti, è stato utilizzato sistematicamente solo da USA e Regno Unito, che hanno imposto il divieto di export di vaccini. La posizione europea paradossalmente è quella più debole ed esposta a rischi, ma i veti incrociati difficilmente permetteranno una politica più aggressiva nei confronti dei fornitori. E così, mentre i vaccini sono entrati a fare parte del settore strategico di molti Paesi, in Europa si preferisce tutelare Big Pharma, come se fossimo in una situazione normale. Senza mettere in conto che il problema delle pandemie non è passeggero, come dicono i massimi esperti, ma è destinato ad accompagnarci a lungo.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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Palazzeide

Renzi, sereno nel Bahrain

La premessa è che nessuno glielo impedisce e il viaggio, assicura, se lo è pagato con i propri soldi. Tra i divieti delle zone rosse e arancioni, gialle no perché per tutto aprile quel colore non riscalderà le nostre regioni, obbligati a non uscire dai propri comuni o ad andare a casa della nonna solo in due, inspiegabilmente ognuno di noi però può raggiungere un aeroporto e volare all’estero.
E quindi nessuna violazione delle regole anti Covid per Renzi, che con camicia un po’ sbottonata e pass al collo ha assistito al gran premio di Formula uno in Bahrain.
Ma una domanda però, come si suol dire, sorge spontanea: che sta succedendo a Matteo Renzi in questo periodo?
E’ come se improvvisamente volesse dimostrare provocatoriamente che dei giudizi, delle opinioni degli altri parlamentari e soprattutto dei suoi elettori e dell’opinione pubblica, non gli interessasse molto.
Si è battuto per i ristori, ora chiamati sostegni, per l’assegno unico alle famiglie e poi con grande tranquillità va a trascorrere il fine settimana in uno degli hotel più cari di Dubai.
Professori e studenti sono davanti a Montecitorio perché chiedono di tornare a scuola e lui che fa? Vola in Bahrain a vedere la corsa di Formula uno. Per non parlare del viaggio in Arabia saudita su cui pochi giorni fa ha avuto un’uscita alla ‘questo lo dice lei’: “Mohamed Bin Salman è un mio amico, e che sia il mandante dell’omicidio Kashoggi lo dite voi”.
Appare un po’ fuori tempo, fuori contesto. Sta lasciando a Salvini la conduzione della battaglia nel governo per la riapertura di bar e negozi a metà aprile, quando invece con Conte faceva il diavolo a quattro per questo obiettivo. Renzi sembra non essere riuscito a trovare una sua strada né di lotta né di governo con Draghi a Palazzo Chigi.
Del resto, l’assoluta centralità che i passi falsi di Conte e la sua stessa spregiudicatezza gli avevano regalato ora si è persa completamente. I numeri dei suoi parlamentari non sono più interessanti, anzi qualcuno al Senato se ne è pure tornato alla Casa madre, niente ago della bilancia quindi, Draghi non lo cita mai nelle sue conferenze stampa e questo deve essere un grande problema per il suo orgoglio.
Ma a pensar bene, c’è un altro fatto che deve aver messo in grande crisi Renzi: quella fotografia di Enrico Letta e Giuseppe Conte che dopo il loro incontro annunciano soddisfatti di andare verso nuove avventure è il colpo decisivo alle sue strategie machiavelliche. I due, che aveva senza molti scrupoli mandato via da Palazzo Chigi, sono tornati, cosa faranno dei loro partiti si vedrà nel tempo, ma guideranno forze politiche che hanno consensi a due cifre, e invece il due e basta è quello che Italia viva deve rassegnarsi ad avere nei sondaggi.
Il grande centro di cui vedeva se stesso come il principale manovratore si fa fatica a capire che destino avrà. Letta vuole creare una grande coalizione di centro sinistra e legittimamente vuole mettere il suo partito al centro, anche rispetto ai Cinque stelle.
Cosa resta a Renzi? Nemmeno un incontro con Letta, quest’ultimo ha visto tutti, da Calenda a Conte, ma nella sua agenda un incontro con chi gli ha preso con voracità la campanella a Palazzo Chigi ancora manca.
Lo vedrà, ma non ha fretta, tra i due, da quando Letta è tornato da Parigi, si è creata un po’ quella curiosità da soap opera: lo chiamerà, non lo chiamerà, capirà di aver sbagliato e giurerà di non tradirlo mai più?
Letta lo tiene un po’ sulla graticola, sapendo bene quanto gli fa male, infatti Renzi sulla graticola proprio non ci sa stare, allora parte e se ne va “serenamente” in Bahrain.

  • Anna Bredice

    A Roma con il cuore, una figlia e la testa, a due passi dai tetti belli di Garbatella e dal Gazometro di Ostiense, atmosfere tra Ozpetek e il caffè sospeso di Casetta Rossa. A Milano con gli affetti, la famiglia e la radio della vita. Seguo la politica per Radio Popolare da tanti anni, con impegno, partecipazione, a volte rabbia e passione.

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La nave di Penelope

Leviamo l’ancora

Siamo salpati. La nostra nave parlerà di scuola. Perché la scuola è come Ulisse: non si arrende davanti a niente. E arriverà a Itaca, con o senza banchi a rotelle, con o senza fondi adeguati da questo Stato che, quando si parla di istruzione e ricerca, non si impegna mai a trovare. Si sa, di cultura non si vive e di sicuro non si guadagna nell’immediato. Decenni di tagli, di altre priorità e, nell’anno della pandemia, questo è emerso in maniera eclatante. Ma la scuola si è arresa? No. Perché la scuola è così, è piena di donne e uomini che passano l’estate metro alla mano ad allontanare i banchi per creare la giusta distanza tra le “rime buccali”. Di persone che, anche se dal ministero non arrivano i soldi neanche per la carta igienica, costruiscono robot e organizzano laboratori di realtà aumentata, finanziando i progetti con i fondi ottenuti da bandi europei. È il luogo dove gli studenti, esasperati, con i pennelli in mano, imbiancano le aule, perché “se non lo fa Città Metropolitana, lo facciamo noi”. Le scuole si auto-organizzano. Insieme alle famiglie, ai loro contributi volontari e all’infinita disponibilità di tempo e manovalanza di tanti genitori. Ho raccontato tante di queste storie, sorprendendomi ogni volta.

Ma non crediate che il fatto che la scuola sia l’ultima tra le priorità dello Stato – anche se con il Recovery plan ora le cose potrebbero finalmente cambiare – non abbia delle conseguenze. Qualche esempio? La mancanza di strumenti didattici, l’impossibilità di svolgere la manutenzione ordinaria e straordinaria di edifici vecchi e ascensori sempre guasti, le cattedre vacanti per mesi – nonostante un’infinita platea di precari -, le classi pollaio.

Ma anche davanti a questo non c’è rassegnazione e la nave continua a viaggiare verso Itaca. E se la scuola è Ulisse, perché questa nave è di Penelope? Perché quasi l’80 per cento delle persone che vivono e fanno la scuola sono donne. Perché siamo nel ventunesimo secolo e le donne non stanno a casa ad aspettare i loro uomini: se fosse vissuta ora, anche Penelope si sarebbe messa in viaggio. Perché Penelope mi è sempre piaciuta, ha tenuto in scacco un esercito di pretendenti che si erano auto-invitati a casa sua e si è sempre rifiutata di arrendersi, attuando una resistenza silenziosa lunga anni: è un simbolo di forza e dignità, di coraggio e astuzia. E senza Penelope a proteggerla, in fondo, Ulisse non avrebbe ritrovato la sua Itaca. Infine, perché anche io sono una donna. E quindi, perché dovrebbe essere di Ulisse la nave?

  • Claudia Zanella

    Sono nata a Milano nel 1987. Ma è più il tempo che ho passato in viaggio, che all’ombra della Madonnina. Sono laureata in Filosofia e ho sempre una citazione di Nietzsche nel taschino. Mi piacciono tante cose ma, se devo scegliere tra le mie passioni quali sono quelle che più parlano di me, direi: la Spagna, il rock e il giornalismo. Dopo averci vissuto, Madrid è la mia città d’elezione; il rock scandisce il mio ritmo di vita e venero le mie chitarre come oggetti magici; infine, fare la giornalista soddisfa il mio impulso alla Jessica Fletcher di voler sempre vedere chiaro e poi raccontare. Ho lavorato per cinque anni per La Repubblica, come cronista e responsabile del settore “Educazione e scuola” a Milano. Cofondatrice del progetto di storytelling su Milano ai tempi del coronavirus: “Orange is the new Milano”. Sono approdata a Radio Popolare nel 2019, occupandomi di un po’ di tutto, ma mantenendo sempre un occhio vigile sul mondo della scuola.

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Politica leggera

Caro sindaco di Milano, se sei ambientalista dimostralo

La verità è che oggi l’ambientalismo è un ottimo brand. L’Europa punta le sue carte sulla transizione ecologica per uscire dalla crisi causata dalla pandemia.

E dato che le carte dell’Europa consistono in centinaia di miliardi di Euro, quello è “il” treno su cui stare. Beppe Sala lo ha capito benissimo e l’adesione ai verdi europei annunciata di recente non sorprende. Nel mondo post pandemia la narrazione ambientalista potrà integrare benissimo, in termini di efficienza e di capacità di stare al passo coi tempi, quella della città globale, dell’hub internazionale, fatta a pezzi dalle conseguenze della crisi.

Certo, uno non non può inventarsi una sensibilità verde se non ce l’ha. E l’ambiente è un pallino di Sala da parecchio. Ai tempi delle manifestazioni dei Fridays for Future, appena due anni fa, il sindaco si fece fotografare con loro e alcuni dei più promettenti tra quei giovani potrebbero finire candidati nella sua lista alle amministrative.

Il problema è: come si tradurrà in concreto l’ambientalismo del sindaco di Milano?

Se ci leggesse gli diremmo una cosa semplice: quando alzi tanto l’asticella poi devi saltare.

Proviamo a mettere in fila qualche idea.

Milano ha un problemino di consumo di suolo. Si può decidere che è arrivato il momento di intervenire, a cominciare dal progetto dei progetti, quello degli scali ferroviari.

Ancora: si può investire massicciamente nelle energie rinnovabili. Prima del covid il modello della Milano che voleva correre era Londra, oggi il modello ambientalista potrebbe essere la Parigi che si pone obiettivi molto ambiziosi come, per dirne una, la progressiva riduzione delle emissioni fino ad arrivare al 100% di produzione e consumo da rinnovabili.

Si può fare anche a Milano, nonostante si parta da una condizione di oggettivo svantaggio culturale, dove una striscia di vernice disegnata a terra per delimitare una timida pista ciclabile fa venire lo sturbo a frotte di automobilisti che subiscono il restringimento della carreggiata come si subirebbe la privazione di un diritto umano.

A proposito di automobili: la mentalità da anni ’50 si combatte con le scelte radicali.

Dichiariamo guerra al traffico privato a motore. A Parigi lo fanno, chiudono le grandi arterie e le trasformano in strade per le bici e i pedoni. Facciamolo anche noi. Cominciamo, ad esempio, da Corso Buenos Aires. I commercianti e quelli che non riescono a vivere senza l’appendice dell’automobile inscenerebbero clamorose proteste, poi capirebbero che tutto sommato sarebbe un vantaggio anche per loro.

Sono solo poche idee e nemmeno troppo originali per carità ma insomma, caro sindaco, era per dirti che se fosse solo green washing gli elettori se ne accorgerebbero.

Se invece fosse tutto vero potrebbero iniziare tempi interessanti.

  • Luigi Ambrosio

    Vorrei scrivere di mille cose e un giorno lo farò. Per ora scrivo di politica. Cercare di renderla una cosa umana è difficile, ma ci provo. Caposervizio a Radio Popolare, la frequento da un po' ma la passione non diminuisce mai

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    Di palo in frasca - 13-11-2025

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    "Labirinti Musicali" ideato dalla redazione musicale classica di Radio Popolare, in ogni episodio esplora storie, aneddoti e curiosità legate alla musica attraverso racconti che intrecciano parole e ascolti. Non è una lezione, ma una confidenza che guida l’ascoltatore attraverso percorsi musicali inaspettati, simili a un labirinto. Il programma offre angolazioni nuove su dischi, libri e personaggi, cercando di sorprendere e coinvolgere, proprio come un labirinto acustico da esplorare.

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    L'Orizzonte è l’appuntamento serale con la redazione di Radio Popolare. Dalle 18 alle 19 i fatti dall’Italia e dal mondo, mentre accadono. Una cronaca in movimento, tra studio, corrispondenze e territorio. Senza copioni e in presa diretta. Un orizzonte che cambia, come le notizie e chi le racconta. Conducono Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Il ricordo del Bataclan, dieci anni dopo la strage: “C’era bisogno di tornare a vivere”

    Sono passati dieci anni da quella notte del 13 novembre 2015, in cui durante il concerto degli Eagles Of Death Metal centotrenta persone persero la vita nell’attacco terroristico che colpì il Bataclan di Parigi. Costruito nel 1864 e dal 1991 dichiarato monumento storico, negli anni il locale ha portato sul palco della capitale innumerevoli artisti internazionali diventando un vero e proprio ”tempio della musica” francese. Oggi a Volume, il ricordo della “generazione Bataclan” e del concerto inaugurale tenuto da Sting un anno dopo la strage, in occasione della riapertura del locale. Ascolta lo speciale sul Bataclan.

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    Sulle tracce di Rumi con Kader Abdolah

    “Quello che cerchi sta cercando te” (Iperborea) è uno dei più recenti titoli di Kader Abdolah, celebre scrittore iraniano da tempo emigrato in Olanda, in seguito a persecuzioni politiche. Il libro ripercorre le vicende e analizza le opere del famoso poeta persiano Rumi, vissuto nel 1200 e a sua volta esule dopo l’invasione mongola in Persia, e divenuto celebre in tutto il mondo proprio in seguito al forzato espatrio. A Bookcity Milano per presentare il libro, Kader Abdolah è stato ospite a Cult, intervistato da Ira Rubini.

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    Vieni con me di giovedì 13/11/2025

    Vieni con me è una grande panchina sociale. Ci si siedono coloro che amano il rammendo creativo o chi si rilassa facendo giardinaggio. Quelli che ballano lo swing, i giocatori di burraco e chi va a funghi. Poi i concerti, i talk impegnati e quelli più garruli. Uno spazio radiofonico per incontrarsi nella vita. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

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