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Mia cara Olympe

Sì, nuotare. Controccorrente, da Budapest a Zanzibar

Le cronache dell’ultima settimana  inducono a una certa e purtroppo consueta dose di rabbia e avvilimento.
Come giudicare l’ennesima vicenda di sessismo, l’ennesima sedia sottratta a una donna in quanto donna, l’ennesimo ‘Tu non puoi stare qui’, stavolta toccato, ad un evento della Nazionale Cantanti, alla componente di The Jackal Aurora Leone (ha un cognome, lo sappiano gli autori degli articoli che continuano a chiamare le donne per nome come se fossero tutte loro cugine). Ciò che è accaduto, avvilente appunto e con l’altrettanto scontato contorno di scuse e assicurazioni  di essere campioni di inclusione lo trovate qui .
Poi il già noto a questi uffici senatore leghista Simone Pillon (per i pochi che non hanno seguito, qui il riassunto ragionato della sua parabola politica che definire oscurantista è vera cortesia) si è messo a spiegarci che è ‘naturale’ che le donne preferiscano l’accudimento alla costruzione di ponti. E che dunque malissimo fa l’Università di Bari a spingere le ragazze verso carriere Stem, con uno sconto sulla retta di iscrizione ai corsi di laurea scientifici. Quella che è una concreta misura nella direzione consigliata da tutti gli organismi internazionali che si occupano di lavoro femminile, che è  vieppiù benvenuta in un Sud Cenerentola d’Europa in quanto a donne al lavoro  (32,2%, la media europea è il doppio) e che è rafforzata dall’aver deciso l’ateneo la totale gratuità per le studentesse madri, è diventata nelle parole di Pillon ‘un modo di fare ideologico, finalizzato a manipolare le persone e la società” da parte di ‘ cultori del gender’. E due.

E vogliamo poi aggiungere lo sgomento che viene dall’ultimo caso di stupratore seriale sotto sembianze di manager e metterci nei panni di una ventunenne che spera in uno stage e si sveglia confusa a casa sua, realizzando di essere stata violentata dopo aver bevuto un’aranciata, storia che arriva dopo la lettura dell’ultima puntata del caso di Ciro Grillo e dei suoi amici, le incommentabili chat con promesse di  ‘testimonianze’ video. 3 versus 1, si vantavano.

Invece qui si vuole volgere lo sguardo all’acqua. (Piccola confessione: sono stata, per un paio d’anni, tesserata della Polisportiva Garibaldi della mia città natale: ho dovuto mollare presto e con dispiacere la mia peraltro non esaltante carriera di nuotatrice, specialità dorso e stile libero, ma mi è rimasto un discreto stile e la grande gioia nell’entrare in acqua, sia essa mare o piscina).  Non mi stanco perciò di guardare le nostre formidabili, giovanissime nuotatrici che vanno come treni e a Budapest  fanno il pieno di medaglie: Benedetta Pilato è una ranista,  ha 16 anni, sull’acqua vola, ed è tornata a Taranto con un record mondiale in tasca.  Mentre sono contenta di vedere la forza delle giovani donne dell’acqua la rete mi regala un’altra immagine:  le donne di Zanzibar che, con i loro lunghi vestiti e tenendo una tanica di plastica,  galleggiano sulle onde. Sono donne cui cultura e tradizioni locali hanno sempre impedito di imparare a nuotare – massimo scacco se si vive su un’isola – e che da qualche anno un progetto  si incarica di  ‘mettere in acqua’, dando loro strumenti per prevenire annegamenti purtroppo frequenti. ‘Finding Freedom in the Water’ è il  meraviglioso lavoro fotografico di Anne Boyiazis che racconta l’altrettanto meravigliosa realizzazione di questa idea. Non perdetelo,  solleva l’anima.

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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L'Ambrosiano

«Sentinella, quanto resta della notte?»

Arcipelago, informazione, democrazia

Spero che l’annuncio della chiusura di ArcipelagoMilano sproni molti a aiutare Luca Beltrami Gadola nel rilancio dell’importante settimanale.

La città non può perdere le sue sentinelle: voci autorevoli, libere, civilmente impegnate.
Fare il giornalista, cercare notizie, corredarle di prove in modo onesto così che chi legge può farsi un’idea dei fatti e del punto di vista di chi scrive è essere una sentinella. La sentinella veglia, perché gli altri nella notte dormano sicuri. Ma pure di giorno vigila. É interlocutore di quelli che tengono al bene comune e s’informano per “esserci”, in modo responsabile. Tiene gli occhi aperti anche per: distratti; chi vede solo gli affari suoi; coloro che non volendo grane girano la testa. Inquieta chi pratica corruzioni, speculazioni, discriminazioni, evasione, nero, diritti umani violati, abusi su donne, bambini, anziani, migranti.
L’occhio vigile della sentinella è odiato dai dittatori: Lukashenko inaugura lo stato dirottatore per catturare Roman Protasevich (che farà l’Occidente?). Non garba a mafia (dalla scomparsa di De Mauro); terroristi di casa (Tobagi docet) o sparsi nel mondo; chi fa traffici (ricordare Ilaria Alpi) e intrighi (Daphne Caruana). Gli esempi di vittime son centinaia. A volte la sentinella si frustra perché «ha addentato il polpaccio di legno dei “pupi”, non quello del burattinaio» scrive Arcipelago. Ma autocritica (quando si ha coraggio di farla) ed errori aguzzano l’ingegno. La sentinella scruta l’oscurità, ci si cala e sa che alba e giorno verranno: è la speranza, già dell’antico profeta (Isaia 21,11).

É la dialettica democratica e in generale l’eterno scontro bene/male, tenebre/luce. Milano, Italia, Europa dispongono d’un metro che dice il tasso di democrazia e smaschera coloro che han sostituito una comunicazione invasiva e affabulatoria alle mazzette (denuncia Arcipelago): è affermare coltivare, difendere la cultura della sentinella. Sostenere chi informa bene rende il cittadino sentinella. È la condizione per una città a misura d’uomo e di donna, che rende cittadini del mondo i suoi abitanti, in grado di accogliere chiunque viene da dovunque e chiedergli «dove vuoi andare?», non porre l’intimidatorio «da dove vieni?».

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Liberi tutti

Teheran, Italia

Immaginate che siate fra le categorie di persone alle quali il DDL Zan rafforza le tutele.

Le rafforza non in nome di un principio astratto, ma perché numeri alla mano, siete le più soggette a violenza verbale e fisica.

Lo avete immaginato? Bene. Ora con lo stesso sforzo pensate che della vostra incolumità non verrà dalla Politica il bisogno di ascoltarvi. Voi che siete i diretti interessati. Voi che vivete sulla vostra pelle, il disagio, la paura, il rischio.

No. La politica vuole chiedere alla CEI, ai Rabbini, ai Mormoni e alla comunità islamica se siete degni di una legge che punisca in modo più netto chi vi minaccia.

A scorrere l’elenco dei 170 che verranno ascoltati (e questo potrebbe far perdere almeno altri 5 mesi) dal Presidente della Commissione giustizia Ostellari (Lega) si rischia un disturbo cognitivo tale che non capisci più in che epoca e luogo ti ritrovi a vivere.

L’ Iran dell’Ayatollah Khomeini doveva tanto assomigliare a quelle stanze del Palazzo dove si sta facendo di tutto per boicottare una legge di civiltà.

C’è una lista infinita di realtà religiose (alcune mai sentite prima e che a malapena rappresentano la persona che andrà a parlare) le quali ci verranno a dire in base alla loro morale, perché, per dirne una, le persone trans non hanno diritto a maggiori tutele.

Una pletora infinita di figli di Dio pronti a raccontarci cosa è giusto fare delle nostre vite, fra tutte spiccano le perle di una fan delle teorie riparative come Chiara Atzori e Nino Spirlì, Presidente facente funzioni della Calabria quello del “Dirò negro e frocio fino alla fine dei miei giorni, la lobby frocia vuole toglierci le parole”.

Platinette dite? Ah si, c’è pure lui in questo circo Barnum, perché poi non manca neanche il senso dell’ironia a Ostellari e alla Lega. Ci andrà anche Mauro Coruzzi in Senato. A nome di chi non è dato saperlo. Forse per conto della nota categoria dei conduttori radiofonici gay reazionari, evidentemente molto più prestigiosa e numerosa di quanto c’è dato sapere.

Poi certo quel tocco afrodisiaco de “la sinistra che parla come Pillon” vero fiore all’occhiello dei leghisti che possono in questo modo rivendicare il loro alto principio democratico, capace di ascoltare tutti. Quella sinistra talmente illuminata che pur rappresentando quattro gatti in croce, si sta spendendo come un’ossessa, in nome del progresso, ça va sans dire, per negare ogni diritto e tutela alle persone trans.

Ci sarebbe da ridere se non fossimo talmente impegnati a piangere.

  • Luca Paladini

    Nato a Milano 51 anni. Unito civilmente con un altro Luca. Fondatore e Portavoce del Movimento de I Sentinelli di Milano. Movimento che si batte contro ogni forma di discriminazione. Collabora con il quotidiano online TPI

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La scuola non serve a nulla

“Non se ne esce”: Tetralogia del Sessismo linguistico alla Medie – 2

La seconda puntata di una ricerca linguistica condotta in classe

La settimana scorsa si parlava del brodo di coltura in cui è nata l’idea della mia ricerca sul sessismo linguistico: cosa arriva in una prima media di tutto questo discutere? Ho preso al volo la richiesta di “declinare la progettazione didattica secondo compiti di realtà per proporre esperienze d’apprendimento coinvolgenti, autentiche e significative” (qualunque cosa significhi) e ci ho collegato tutto il suddetto dibattito (avvocato, signora avvocato, avvocata, avvocatessa o più semplicemente legale che taglia la testa al toro). Obiettivo? Cogliere due piccioni con una fava: capire in modo esperienziale se qualcosina di un tema così spinoso e “adulto” – al tempo stesso sia tecnico che divisivo -, potesse arrivare fino ai giovanissimi virgulti. Più, terzo piccione: dare un senso concreto al nuovo insegnamento di Educazione Civica, “Grammatica e Inclusione”, sulla carta, la teoria del vapor acqueo applicata ai buchi del groviera.

Con questa premessa, parte il lavoro. Prima scoperta del pero fatta dagli alunni: l’italiano è una lingua che marca il genere grammaticale, il neutro non esiste e i sostantivi possono essere solo maschili o femminili. Alcuni possono esserlo solo dal punto di vista grammaticale, come oggetti, frutti e verdure (“il cucchiaio”, “la forchetta” che infatti non hanno sesso… anche se i più zuzzurelloni di voi obietteranno che “pisello” è sempre maschile, e “patata” è sempre femminile), altri anche dal punto di vista biologico/naturale, se riferiti a persone o animali (“il sarto”, “la parrucchiera”, “la gatta”). Seconda scoperta del pero: non c’è una ragione linguisticamente valida che spieghi perché non dovrebbe essere così per tutti i nomi, quindi anche per i nomi di professione, i “nomina agentis”, declinati al femminile (avvocata, per capirci).

Ora, non certo per complicarci la vita, ma proprio perché la faccenda è di suo non semplicissima, ripropongo pari pari la lezioncina che ho spiegato alla scolaresca, perché va be’ la didattica laboratoriale, ma questa qui è proprio la roba che sarebbe dovuta entrar nella zucca degli alunni, se no che l’abbiamo fatta a fare, tutta sta cosa?

Dicevo, dal punto di vista morfologico, per formare il femminile, abbiamo quattro tipi di sostantivi:

1) i sostantivi mobili, che formano il femminile semplicemente modificando la desinenza finale e mantenendo fissa la radice (caso più comune: la –o, marca del maschile, che diventa –a, marca del femminile: “gatto/gatta”, “maestro/maestra”, ma anche “attore/attrice”);

2) i sostantivi indipendenti, o di genere fisso, che al femminile presentano una forma completamente diversa dal maschile anche nella radice: “maschio/femmina”, “fratello/sorella”, “padre/madre”;

3) i sostantivi di genere comune, o – fatemela tirare un po’- ambigeneri, o epiceni, che cioè sono uguali al maschile e al femminile e cambiano solo l’articolo: “il cantante/la cantante”; “il dirigente/la dirigente”. E che talvolta formano il plurale con desinenze diverse al maschile e femminile, ad es. “i pianisti/le pianiste”;

4) i sostantivi di genere promiscuo, che hanno una sola delle due forme. Situazione che vale spesso per gli animali, con un genere grammaticale definito (“la tigre”, “il ghepardo”), cui può non corrispondere un genere biologico, quindi da specificare con l’aggiunta di un modificatore (“la femmina di leopardo”, “la tigre maschio”); ma che può essere estesa anche ad alcuni nomi riferiti a persone, come “la guardia”, “il soprano”, “il pedone”, “la vittima”. Ecco, diversamente dai primi tre casi, in cui il genere grammaticale e biologico coincidono, qui questa coincidenza si perde per mere questioni grammaticali. “Cioè, che vor dì’?” Che il termine di volta in volta è usato sia per uomini che per donne, anche se alcuni mestieri sono svolti in genere dalle persone di un certo sesso (spesso uomini per “guardia”, sempre donne per “soprano”, ecc.)

Riassumendo, checché ne abbia detto Beatrice Venezi a Sanremo, se la tua professione è indicata da un nome declinabile, mobile, primo gruppo, mettila come vuoi ma sei una “Direttrice d’orchestra” e non c’è niente di spregiativo nell’usare il femminile invece del maschile corrispondente (“Direttore”). Insomma, ok, fatto salvo il fatto che la Venezi può farsi chiamare come vuole e che a volte il genere grammaticale non definisce il genere biologico, quando però lo definisce… ecco, andrebbe usato.

Comunque, chiarito questo, abbiamo iniziato il lavoro sul campo. Sì, perché allora avevo la speranza che se ne potesse uscire, che avrei sciolto il nodo gordiano… e insomma, ho fatto questo:

– ho fornito agli alunni un elenco di professioni: “avvocato, ministro, sindaco, assessore, ingegnere, dirigente, magistrato, presidente, direttore, procuratore, ispettore, deputato, architetto… e poi: sarto, parrucchiere, maestro, cameriere, infermiere, cuoco”,

– ho chiesto loro di fare questa domanda in famiglia (parenti, amici, conoscenti): “Chiedete agli intervistati: preferite usare questi sostantivi di professioni, SE RIFERITI A DONNE, come fossero di genere mobile, quindi declinati al femminile (ad esempio, per “sindaco”: “la sindaca Virginia Raggi”); oppure di genere promiscuo (“il sindaco Virginia Raggi”); oppure di genere comune (“la sindaco Virginia Raggi”)? E, specie nel caso non si preferisse la declinazione al femminile (quindi primo caso: non il genere mobile, ma il genere promiscuo o comune), chiedete: perché?”

E come è andata? Se non vi scoccia, ve lo dico la prossima volta, che io intanto sono in scena al Teatro della Cooperativa fino al 30 maggio con la “La Scuola non serve a nulla 2.0” (…venite? quasi tutto pieno, ma vedete un po’ voi…)

 

 

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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Vista da qui

L’eredità di Battiato

A Catania e nei paesi etnei da martedì mattina si diffonde il suono delle musiche di Franco Battiato, dai bar, nelle piazze, per le strade. Non è una celebrazione straripante, non ci sono le folle che si radunano a Milo, di fronte alla sua casa, né pianti strazianti. Insomma, non c’è nulla che non apparterrebbe a quello che Battiato ci ha insegnato.

Battiato non è morto, è migrato in un volo imprevedibile a cui ci aveva preparati già da un paio d’anni, per quanto riguarda la sua vita corporea. In questo suo viaggio verso mondi inesplorati – per molti troppo strani per entrarci – ci ha però anche trascinati con la sua musica, dai tempi di Fetus e Pollution, quando si è messo a far musica psichedelica con strumenti mai visti prima dell’epoca in Italia: i sintetizzatori. E lo ha continuato a fare sino alla fine, quando ha ripreso quello che poi è il filo conduttore della sua vita e della sua opera: «finché saremo liberi, torneremo ancora».

Un passaggio centrale è anche nella scelta di canzoni scritte e cantate da altri – che nell’album Fleurs riconosce come «esempi affini di scritture e simili» – in cui ci da coordinate importanti, come «Who could hang a name on you? When you change with ev’ry new day», oppure l’invito al viaggio baudeleriano da cui l’album prende il nome «ti invito al viaggio in quel paese che ti somiglia tanto».

Libertà, movimento, spirito. La triade di Battiato potrebbe essere questa. E qui rientrano tutte le citazioni a mondi introvabili – nella memoria e sui libri – e le associazioni ad ossimoro con cui le sue canzoni hanno descritto la decadenza della modernità occidentale e aperto sguardi su possibilità da noi spesso ignorate. In questo è più attuale che mai la critica a un mondo «saturo di parassiti senza dignità» e «la voglia di vivere ad un’altra velocità» di cui cantava con Alice. E dentro un’altra velocità ci sono anche le prospettive di umana empatia che emergono fortemente in canzoni come la Cura o E ti vengo a cercare «perché mi piace ciò che pensi e che dici, perché in te vedo le mie radici».

Battiato ci ha insegnato a guardare altrove e a pensare in maniera non lineare, né analitica, utilizzando la tecnica dello spiazzamento, in alcuni casi radicale – «e gli orinali messi sotto il letto per la notte un film di Eisenstein sulla rivoluzione» -, oppure con raffinatezza – «vuoi vedere che l’età dell’oro era appena l’ombra di Wall Street […] la falce non fa più pensare al grano, il grano fa pensare ai soldi». O, ancora, con provocazione: «Organizza la tua mente in nuove dimensioni / Libera il tuo corpo da ataviche oppressioni».

C’è una politica delle relazioni fortissima che esce e si tramanda dai testi di Battiato. E allora si capisce perché le non-celebrazioni per la sua morte si siano espresse con gruppi di persone che si vogliono bene o che hanno condiviso questo percorso non accademico che è Franco Battiato che si sono trovati con una cassa e poco altro.

Verso una nuova rotta, a partire dalla montagna la cui lava custodisce la sua forza poetica.

  • Emilio Caja e Pietro Savastio

    Emilio Caja e Pietro Savastio sono ricercatori indipendenti e collaborano con varie riviste, enti di ricerca e università. Sono stati e continuano ad essere partecipi di diverse esperienze di attivismo politico e sociale. Emilio lavora all'università e ha un piede sotto l’Etna, Pietro lavora nella scuola e ha due piedi sotto il Vesuvio: “da qui” è la prospettiva del Sud da cui guardano al mondo, dopo essere stati a spasso per l’Europa del Nord a studiare e formarsi.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

    Poveri ma belli - 12-11-2025

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    "È un disco che parla dell'identità e del suo significato. Di quando scopriamo la nostra vera identità e di come, in realtà, una vera identità non esista: siamo in continuo cambiamento", ha raccontato Billie Marten ai microfoni di Volume. Per questo lavoro Billie Marten si è trasferita per qualche mese a Brooklyn, avendo voglia di registrare con nuovi musicisti, scoprendo nuovi lati della sua musica. Tornata in America per il tour, è rimasta molto colpita: "È stato scioccante vedere quanto l'America sia cambiata in così poco tempo. Ho visto un arresto dell'ICE in un parcheggio proprio davanti a me. Posso garantire che nei prossimi anni usciranno un sacco di album su tutto questo". L'intervista di Niccolò Vecchia a Billie Marten.

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    Vieni con me è una grande panchina sociale. Ci si siedono coloro che amano il rammendo creativo o chi si rilassa facendo giardinaggio. Quelli che ballano lo swing, i giocatori di burraco e chi va a funghi. Poi i concerti, i talk impegnati e quelli più garruli. Uno spazio radiofonico per incontrarsi nella vita. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

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    I brani più belli dell'ultima settimana e l'intervista a Billie Marten sul suo nuovo album, a cura di Niccolò Vecchia. Il concerto dei Massive Attack di domani a San Paolo, in contemporanea con il COP30, e il quiz cinematografico oggi sul film "Fuori Orario" di Martin Scorsese

    Volume - 12-11-2025

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    Convenzione tra Asst e clinica

    Dal 1° ottobre il personale medico della struttura complessa di Endoscopia digestiva in servizio all'ospedale di Lecco è autorizzato a operare anche nella struttura privata non accreditata clinica San Martino di Malgrate. Questo grazie a una convenzione stipulata tra l'Asst Lecco e la Clinica. Ne abbiamo parlato con Milva Caglio, volontaria dello Sportello Salute di Lecco e Osnago.

    37 e 2 - 12-11-2025

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    Un padre e una figlia impigliati nella Storia

    Il documentario di Anna Negri “Toni, mio padre” è il risultato di una lunga elaborazione sull’assenza della figura paterna. La vicenda giudiziaria e politica che ha allontanato Toni Negri dalla sua famiglia porta con se un trauma affettivo che la figlia Anna è riuscita a raccontare in meno di due ore in un film. “Ho girato per anni, il materiale è immenso, ma ho dovuto fare una sintesi di cui mio padre ha fatto in tempo a vedere e approvare solo un premontaggio”. Il documentario di Anna Negri oltre a rappresentare in modo commovente, tenero e universale la ricostruzione di un rapporto tra un padre e una figlia separati da un linguaggio agli antipodi e senza mai nascondere la rabbia e il dolore, riporta in immagini gli anni ‘70 e ‘80, fino ad arrivare ad oggi con un ritratto della seconda metà del ‘900 e inzio del nuovo millennio. Ascolta l'intervista di Barbara Sorrentini ad Anna Negri.

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    Musica leggerissima di mercoledì 12/11/2025

    a cura di Davide Facchini. Per le playlist: https://www.facebook.com/groups/406723886036915

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    Considera l’armadillo di mercoledì 12/11/2025

    Considera l'armadillo di mercoledì 12 novembre 2025 con Roberto Di Leo, presidente di @radicediunopercento e @Marco Colombo, Naturalista e fotografo pluripremiato, parliamo di @Wildlife Photographer of the year in mostra a Milano al @Museo della Permanente per la tredicesima volta, ma anche di Cop 30 e di @friday for future. A cura di Cecilia Di Lieto.

    Considera l’armadillo - 12-11-2025

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    Cult di mercoledì 12/11/2025

    Oggi a Cult, il quotidiano culturale di Radio Popolare: Barbara Sorrentini intervista Andrea Segre sul film "Noi e la grande ambizione"; Tiziana Ricci intervista Leonardo Sangiorgi di Studio Azzurro sulla mostra "Il nuotatore (va troppo spesso ad Heidelberg" al MART di Rovereto; l'edizione 2025 del Wonderland Festival di Brescia; Sara Milanese intervista Adriano Zecca sul suo libro "Cinquant'anni di mondo - Diario di un documentarista"...

    Cult - 12-11-2025

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    Pubblica di mercoledì 12/11/2025

    Pubblica ha ospitato Nino Di Matteo, sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia. La giustizia che verrà: veloce contro gli ultimi e con le armi spuntate verso la criminalità dei colletti bianchi. «La separazione delle carriere dei magistrati - sostiene il giudice Di Matteo - è un pericolo per i cittadini». La legge costituzionale Meloni-Nordio, ci ha raccontato Di Matteo, vuole colpire l’indipendenza e l’autonomia della magistratura. Non solo. La “riforma” Meloni-Nordio è inserita in un contesto di nuove norme (dall’abrogazione dell’abuso d’ufficio alla limitazione delle intercettazioni, alla sterilizzazione del traffico di influenze) che rappresentano una sorta di scudo di protezione dei potenti. Quindi, con la perdita di autonomia e indipendenza della magistratura (soprattutto nei riguardi del pubblico ministero); con una legislazione ordinaria orientata alle esigenze di polizia, l’eventuale vittoria dei SI alle nuove norme sposterebbe l’equilibrio dei poteri verso l’esecutivo. L’eventuale varo del premierato finirebbe per sanzionare una vera e propria concentrazione di potere in capo al governo.

    Pubblica - 12-11-2025

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    A come Asia di mercoledì 12/11/2025

    A cura di Chawki Senouci con Gabriele Battaglia

    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 12-11-2025

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