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Mia cara Olympe

2 giugno, le parole delle donne al voto

Riuscite oggi a immaginare il voto come cosa preziosa, emozione, che chiede il vestito della festa e, per non stropicciare la scheda, mani leggere?
Riuscite a sentire quelle conversazioni tra uomini e donne, nelle lunghe file davanti ai seggi  – qualcuna si portò la seggiolina da casa –  che finalmente, racconta Anna Garofalo, assumono ‘un tono diverso, alla pari’?
Riuscite a non consegnare solo alla storia, in tempo di passioni politiche traballanti e disaffezione al voto, quel  ‘vertiginoso ritrovarsi  davanti a me, cittadino’ come da autodescrizione – notate, al maschile –  di Maria Bellonci?
E potete immaginare, nella sua casa di Matera, seduta a un tavolino, Irene D’Amato rispondere al suo giornale preferito, il settimanale Gioia che ha chiesto alle sue lettrici come si preparano al primo voto, quello del referendum del due giugno? E lei a scrivere seria seria che andrà a votare ‘serena e fiduciosa’ perché così contribuirà alla rinascita del paese?
Riuscite a mettervi nei panni di quelle donne, uscite da una durissima guerra che per molte ha significato assumere ruoli e responsabilità maschili e che poi sono tornate a casa, che ricevono la scheda con emozione e senso di responsabilità, qualcuna con la  paura di sbagliarsi una volta lì, con la matita in mano.

La racconterei nelle scuole, spero si faccia e non in poche righe in fondo al capitolo sul libro di storia, questa prima volta delle donne al voto, ‘voto segreto che significava potersi sottrarre al controllo e alla subordinazione. Anche dagli uomini della famiglia’, come scrive la storica Anna Rossi Doria. Leggerei il referendum di Gioia e spiegherei quanto sono stati importanti i settimanali femminili nel costruire una nuova soggettività delle donne, spiegherei che nulla è stato regalato, che il percorso verso quel voto è una potentissima metafora che racconta quanto la cittadinanza delle donne sia ancora faticosa, costellata di agguati, rischi, tentativi di ricacciarle indietro. E di distanze, profonde distanze da ciò che la Costituzione detta in tema di parità, eguaglianza, diritti.

Lo farei anche con le parole di  Tina Anselmi, una che c’era e che rappresenta la faccia migliore di quella Democrazia cristiana che deve dire grazie alle italiane, perché  – lo raccontano gli studiosi della politica e dei flussi elettorali –  se nel dopoguerra in Italia non ci fu la svolta a sinistra si deve al voto delle donne che prestavano orecchie attente e ossequenti alla propaganda anticomunista della Chiesa cattolica. E se da questa parti ciò provoca rammarico, le poche righe che seguono illuminano benissimo il due giugno conquistato delle italiane: ‘Fin dalle prime elezioni  parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando via le tante paure (e anche le resistenze, ndr) di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate. Non eravamo pronte. Il tempo delle donne è stato sempre un enigma per gli uomini”.

 

 

 

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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La scuola non serve a nulla

“Non se ne esce”: Tetralogia del Sessismo linguistico alla Medie – 3

Quello che hanno scoperto i miei alunni sulla questione…

Le repliche di “La Scuola non serve a nulla 2.0” al Teatro della Cooperativa sono finite (grazie a tutti!) per cui torno a bomba sulla ricerca linguistica, iniziata nelle scorse settimane, con il terzo episodio, relativo alle risposte raccolte dagli alunni al quesito assegnato. Andate a ripescarlo qui, ma in soldoni era: “Nel caso sia una donna a svolgere queste professioni (avvocato, sindaco, direttore…), come la gente a te vicina preferisce usare questi nomi?”

 È qui che ho cominciato a capire che la cosa si faceva lunga… Perché se resti impantanato in qualcosa che dura poco, dici: ok, non ci cavo un ragno dal buco, ma è stato breve. Ma quando la roba si prolunga e tu non vedi via d’uscita?

Sì, certo, dovrei anche spiegarvi come sono messi, i miei alunni: piccola analisi sociologica, altrimenti vi mancano dei tasselli. La mia scuola è sì di utenza media o medio-alta, ma abbiamo anche alunni stranieri, di prima e seconda generazione. Ed è lì che ti viene un altro dubbio (oltre al fatto che potrebbero protrarsi all’infinito), e cioè che queste questioni possano essere care soltanto alla “upper class”. Perché, quando spieghi il lavoro da fare, sei investito da commenti che vanno dal “Sì, prof, che bello!”, al “Mia mamma no parle italiano”, fino al “Ma perché prof, anche donne possono fare politica?” (Sì, ho anche alunni stranieri per i quali la poligamia, in paesi in cui è legale, ovviamente, è roba che riguarderebbe non un esotico documentario in Tv, ma proprio il loro nonno e quasi il loro padre. Come sarà il loro approccio a questa attività?).

In più anche in questi/e piccoli/e disgraziati/e ogni tanto rivivono le solite obiezioni dei loro colleghi/e più stagionati/e. Si va dal “benaltrismo” (“Ma prof, ma con tutti i problemi delle donne, pensiamo a questo?”), alla negazione del problema (“Sì, però se io chiamo la dottoressa CHIRURGO mica vuol dire che non la rispetto”). Certo, già a una prima indagine, in brain storming con loro, quasi tutti sembrano accorgersi che per gli ultimi nomi, quelli della seconda lista (vedi puntata precedente) “non c’è problema a trasformarli al femminile”, mentre “per i primi sì” (quelli della prima lista). E perché? domando io: “Perché i primi sono i mestieri della politica”. Ah, ecco. Come dire, la politica, prof, è roba da maschi.

Ma dicevo, i risultati. Dopo un paio di settimane circa, quando portano a scuola il frutto delle interviste, si rivelano confermate anche in una piccola classe tendenze assodate, emerse da studi condotti con ben altri approcci scientifici e più seri apparati epistemologici di questo. Sì, nessun problema a declinare al femminile “sarta” o “cuoca”, mestieri nell’immaginario comune storicamente di pertinenza femminile, mentre le maggiori resistenze si avvertono, coriacee, sui mestieri percepiti come “più importanti”, dove spesso “si usa il maschile pure se si parla di donne”. Perché? “Perché le donne li fanno da troppo poco tempo”. Ma se adesso li fanno anche loro perché ora non si usa il sostantivo al femminile di questi nomi? Gettonatissimo, ovvio, il “perché suona male”. Ah, bene (detto da loro, con le loro raffinatissime orecchie e la musica che ascoltano, finalmente ho capito: suona male tutto ciò cui semplicemente non siamo abituati). In ogni caso, ecco altri esiti, i più interessanti:

– “Mio padre li usa tutti al femminile, tranne INGEGNERA che non si può sentire, anche se però lui usa INFERMIERA.”

– “Quelli che ho intervistato io non usano AVVOCATA perché sui biglietti da visita delle donne c’è scritto AVVOCATO.”

– “Un mio parente declina tutto al femminile, tranne PROCURATORE perché non lo usa mai.”

– “Ho intervistato uno che dice tutto al femminile, anche se non c’è motivo di declinarli come nomi mobili, perché la professionalità va oltre il titolo maschile o femminile che sia.”

– “Un mio amico dice che non si arrabbia se usiamo MINISTRESSA.”

– “Mio papà è contrario, anzi dice che se il signor Mario Rossi lo chiamiamo AVVOCATA lui poi si arrabbia”.

– “La signora del piano di sotto dice che l’Italia vuole così, pure per le donne: AVVOCATO, MINISTRO, SINDACO. Non si deve cambiare.”

– “Una ragazza intervistata per strada a caso mi ha detto che lei usa solo AVVOCATO e MINISTRO perché l’ha sempre sentito così, ma da adesso proverà ad adeguarsi”

– “Prof, mi sembra che alcuni nomi non si possono declinare come mobili, perché è meglio tenerli uguali al maschile e al femminile, al massimo uno decide se cambiare l’articolo: PRESIDENTE, DIRIGENTE” (E certo, ma se ve lo dicevo io, poi si perdeva il gusto di scoprirlo da voi… poi chiedo, ok, ma “IL Presidente” o “LA Presidente”? “Più o meno è uguale, Prof!”);

– “A mia zia, ASSESSORA non gli suona bene nell’orale, ma nello scritto sì.”

– “CHIRURGO non ha femminile nella grammatica, ma nel linguaggio corrente si usa CHIRURGA.”

– “Mia sorella usa ISPETTORE perché glielo hanno insegnato a scuola.”

– “Mio nonno non usa DEPUTATA perché non riesce a dirlo.”

– “Un mio amico non usa ASSESSORA perché non gli piace.”

– “Un mio parente non usa MAGISTRATA perché non esiste.”

– “Mia mamma no parle Italiano.”

Ma non si starà esagerando? Ma non finiremo come la barzellettaccia d’infima categoria di quel protettore di prostitute premiato da un’associazione di femministe perché le donne che lui sfruttava le chiamava “le puttane” e non con il maschile neutro sovraesteso “puttanoni”?

Ecco, lo sapevo che non se ne usciva… E quindi? tirare le somme di tutta questa ricerca? Prossima volta!

 

 

 

 

 

 

  • Antonello Taurino

    Docente, attore, comico, formatore: in confronto a lui, Don Chisciotte è uno pratico. Nato a Lecce, laurea in Lettere e diploma in Conservatorio, nel 2005 si trasferisce a Milano. Consegue il Diploma di attore nel Master triennale SAT 2005-2008 del M° J. Alschitz e partecipa a Zelig dal 2003 al 2019. Si esibisce anche inglese all’estero con il suo spettacolo di Stand-up, Comedian. Attualmente è in tournèe con i suoi spettacoli (non tutti la stessa sera): Miles Gloriosus (2011), Trovata una Sega! (2014), La Scuola non serve a nulla (2016) e Sono bravo con la lingua (2020). La mattina si diverte ancora tanto ad insegnare alle Medie. Non prende mai gli ascensori.

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I giorni dell'Ira

Un nuovo giorno dell’Ira: metti una sera in scena

Un mio studente, durante una lezione di analisi critica dello spettacolo, dice: “Dopo avere tanto aspettato di tornare a vedere il teatro dal vivo, mi domando se quello che ho visto abbia senso dopo il periodo che abbiamo passato.” Lo rassicuro, noi ci riabitueremo a essere onnivori e lo spettacolo fra poco ci restituirà con ricchezza l’esito di tutto quello che è successo, possibilmente senza retorica. Ma le sue parole mi tornano in mente a più riprese.

Accantonata in un precedente post la pia illusione che saremmo tornati migliori alla “normalità”, mi domando anch’io che senso abbia quello che finora ho visto della presunta ripartenza. Mi servirebbero gli ascoltatori di Radio Popolare, con le loro esperienze personali e i loro preziosi commenti, per provare capire meglio. Ma in questo momento non sono con me e quindi cerco di fare da sola. Vado per macro-temi, declinati per micro-esempi.

Economia: che senso ha una funivia che cade a causa di una incredibile azione volontaria, uccidendo 14 persone, per salvare l’incasso di una giornata? Mah…

Cultura: che senso ha che, dopo più di un anno di fermo, un Ministro annunci “una giornata storica per lo spettacolo dal vivo” presentando una serie di misure che per l’ennesima volta non rispondono nel merito e nel metodo alle esigenze del settore? Mah…

Sport: che senso ha che una squadra sull’orlo del fallimento, a fronte di un suo dipendente che se ne va un anno prima della scadenza del proprio contratto, non solo non gli commini una penale ma gli paghi anche una inimmaginabile buonuscita? Mah…

Società: che senso ha che, dopo la meraviglia per la natura che rifioriva in virtù della nostra assenza, adesso il traffico nelle città si sia moltiplicato e l’aggressività dei conducenti sia cresciuta in misura esponenziale. Mah…

Digitale: che senso ha che nei CdA delle grandi istituzioni della formazione e nei corrispondenti referenti governativi si parli della pandemia come di una “grande opportunità per una vera rivoluzione digitale” quando nelle banlieue d’Italia il digital divide taglia fuori migliaia di studenti dall’apprendimento di base? Mah…

Parità di genere: che senso ha che un maschio bianco e di mezz’età apra ogni riunione con “Buongiorno a tutte e tutti…” , quando subito dopo mette in atto i comportamenti sciovinisti, paternalisitici e prevaricatori che abbiamo sempre conosciuto? Mah…

Sanità: che senso ha che, ora che lo sciame di virologi che ha invaso le nostre case durante le fasi pandemiche più dure si è finalmente rarefatto, alcuni di loro comincino a seminare dubbi, provocando nuovo panico in una popolazione già psicologicamente sfinita? Mah…

Comunicazione: che senso ha che, nell’occasione della scomparsa di una grande artista, la conduttrice di una diretta funeraria mostri a più riprese una evidente incompetenza biografica e specifica, attribuendo alla defunta intenzioni e atteggiamenti alquanto improbabili? Mah…

 

 

 

  • Ira Rubini

    Nata in Belgio, vive a Milano. Studia insieme legge e teatro. A 20 anni inizia a scrivere per la TV e firma oltre 40 trasmissioni, come la diretta della notte degli Oscar in cui vinse Benigni. Come antidoto, scrive teatro (anche con Franca Valeri) e gira il mondo per fare documentari. Insegna teatrologia alla Paolo Grassi e coordina il corso di Sceneggiatura alla Luchino Visconti. La radio è il primo amore: esordisce a Radio Popolare a 14 anni, poi ci torna a condurre il quotidiano culturale. Lavora a RadioRAI e alla Radio Svizzera Italiana. A volte, le piace tornare in scena con l'ensemble Ottavo Richter.

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Piovono Rane

Berlusconi nudo tenemos

Quante parole, quanti cortei, quante analisi, quanti libri.

Uno ne scrissi pure io, era il 1994, e il partito era appena nato. Probabilmente fu il primo, su Forza Italia, colpa o merito del mio mitico direttore, Lamberto Sechi, che qualche mese prima mi disse: vai un po’ a vedere che cosa sono questi club, cos’è questo popolo che impazzisce per un imprenditore.

Quante parole, quanti cortei, quante analisi, quanti libri.

E quante copertine di giornali, all’Espresso ne contammo cento qualche tempo fa, quando lui compiva ottant’anni e noi gli dedicammo l’ultima, in stile Andy Warhol, perché ormai era un’icona pop, non più un politico.

Ma prima, prima dico, che ora ci siamo dimenticati quasi tutto: l’odore della mafia – dalla Banca Rasini in poi -, lo sdoganamento dei fascisti, Raimondo Vianello e Mike Bongiorno e pure Ambra Angiolini che ci dicevano in coro sulle sue tivù di votare per lui, le leggi ad personam, le sentenze comprate, la barzellette sporche e cretine,  le corna al G8, Ruby la nipote di Mubarak, “guariremo il cancro entro tre anni”.

E il Popolo Viola, ve lo ricordate il Popolo Viola? C’ero anch’io al No-B day, sono perfino ancora un po’ orgoglioso di aver parlato in piazza San Giovanni, mio Dio quanti anni fa era,  vado su Wikipedia a vedere, ah sì, il 2009, una vita fa.

Una vita fa e oggi è la sua di vita a spegnersi lentamente, come accade a tutti i vecchi a un certo punto, anche se nel 2005 il suo medico personale diceva “Berlusconi è tecnicamente immortale”, si chiamava Umberto Scapagnini, il medico, nel frattempo è morto anche lui perché il tempo – si sa – divora tutti i suoi figli, tutti, nessuno escluso.

E adesso è il tempo del tramonto in solitudine, chiuso in una villa attrezzata come un ospedale, la stessa villa dei vertici politici e del bunga bunga, la villa che lui  comprò quasi 50 anni fa con la circonvenzione di una ragazzina fresca erede di una tragedia, la complicità dell’avvocato Previti, e poi Dell’Utri lì come “bibliotecario”, il mafioso Mangano lì come “stalliere”.

Ora sembra quasi un contrappasso: lui che aveva fatto dell’amore uno slogan politico, costretto a vedere e ascoltare dal letto la fuga vigliacca dei suoi, la grande diaspora dei beneficiati, il tradimento dei leccapiedi, di quelli che ridevano sguaiatamente alle sue barzellette per farsi ben volere dal capo, quelli che imploravano dieci minuti di udienza ad Arcore trapanando il filtro prima delle segretarie poi delle badanti, quelli senza dignità né idee che pensano a incassare ancora qualcosa, qualsiasi cosa, le briciole cascanti di un profitto politico antico, inventato da un altro quasi trent’anni fa, “L’Italia è il Paese che amo”.

Già, come tutto, stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.

  • Alessandro Gilioli

    Nato a Milano nel 1962, laureato in Filosofia alla Statale. Giornalista dai primi anni 80, ho iniziato a Rp da ragazzo poi ho girato per diversi decenni tra quotidiani, settimanali e mensili. Ho scritto alcuni libri di politica, reportage e condizioni di lavoro, per gli editori più diversi. Tornato felicemente a Radio Popolare dall'inizio del 2021.

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Breaking Dad

Caro Banksy ti scrivo

Caro Banksy,

ho portato i miei ragazzi a vedere la mostra “The world of Banksy – The immersive experience”, allestita dentro il Teatro Nuovo di Milano. Non so se tu ne sappia qualcosa, magari no. Come sempre, non è autorizzata da te. Comunque c’è. I due sono sempre più curiosi, sai, stanno crescendo. Fabri, poi, è molto attratto dai murales, pensa che siamo andati in giro per la città a fotografarli! Gli piacciono i colori, le figure strane e un po’ mostruose, come quelle che si trovano – ad esempio – al Barrio nel quartiere Barona di Milano (ci sei mai stato?). Franci, invece, è più interessato ai messaggi, alle cose che certi murales rappresentano e vogliono dire.

Così abbiamo deciso di andarci. Per aumentare la curiosità ho tirato subito fuori la cosa che non si sa chi tu sia, che forse non esisti nemmeno, hai presente, no? Ti assicuro che funziona anche con i bambini. Abbiamo fatto un mucchio di ipotesi: che tu sia una vecchietta, un super eroe, un gruppo di persone, alcuni amici che erano con noi hanno avanzato l’ipotesi che tu sia uno dei Massive Attack, o forse tutti, o forse di qualche altro gruppo. (“Magari i Maneskin?” “Mah, non credo…).

Insomma, alzata l’asticella dell’aspettativa e cosparsa un po’ di polvere di mistero, eravamo pronti per immergerci nella mostra. Poliziotto in tenuta antisommossa con mitra spianato e faccetta gialla da “smile” e le alucce da angioletto. Oddio. Cosa diavolo è? Fa ridere, però! Non sembra cattivo, così. Se la tua intenzione era quella, ci sei riuscito: bambini che ridono davanti a un energumeno armato fino ai denti.

Poi, ecco i due agenti che si baciano, quello che fa il gestaccio e quello, molto antipatico, che perquisisce una bimba vestita di rosa costretta con le manine al muro. Sai, caro Banksy, cosa dicono i bambini davanti a questo tuo disegno? Ci restano male. E vogliono sapere perché mai si debba perquisire una bambinetta con l’orsacchiotto. E sai cosa dicono alla fine? Che non è giusto. Ecco, vedi: non so se fosse quello l’effetto che avevi in mente, ma sappi che dei bambini hanno detto proprio così. Si sono accorti che qualche cosa non va. Non è giusto e basta.

Senti, poi la cosa dei topi li ha divertiti da matti. I topastri che si nascondono e che nessuno riuscirà mai a scacciare del tutto. Gli emarginati? Ma anche le nostre cattive coscienze che vorremmo nascondere e dimenticare. Ah, solo una cosa: la conclusione è stata che “a me i topi mi fanno un po’ senso”.

A un certo punto Fabri e il suo amico che era con noi si sono seduti davanti alla bambina che lascia andare il palloncino rosso a forma di cuore (o cerca di prenderlo?). Si sono seduti per terra e la guardavano. Io gli ho scattato una fotografia da dietro. Così anche loro due, alla fin fine, erano diventati parte del murale.

Franci scoppiettava domande: il copyright, la guerra, le armi, il muro, lo sberleffo, la regina con la faccia da scimmione, Churchill con la cresta punk, il leopardo che scappa dalla gabbia fatta con un codice a barre, Cristo su una croce di pacchi regalo, il consumismo. Alcune le abbiamo evase, altre no. Ma sai cosa penso? Che una sfilza di interrogativi e tentativi di risposta sia un buon risultato per uno che disegna sui muri, no? Voglio dire, lo so che tu lo fai apposta, che te le aspetti queste reazioni. Ma questi qui sono ragazzini! E ci hanno detto tante volte che sono apatici, superficiali, che non approfondiscono niente. Bene, sappi che i tuoi disegni – uno dopo l’altro – sono state pagine di un libro che hanno sentito molto interessante, molto stimolante.

Il murale della bambina abbracciata alla bomba è stato spiazzante. Qui Fabri proprio non ci capiva niente. Ma perché la abbraccia? Non è mica una cosa bella! E se scoppia? Pensa che ha provato a leggere il cartellino: si parla di società, attrazione per la guerra, esportazione della democrazia. “Niente, papà, non capisco. Però secondo me le bombe è meglio non abbracciarle”. Bene così.

Ah, grazie di aver fatto i due militari che disegnano quell’enorme simbolo della pace rosso. Anzi te lo dico con le loro parole: questo spacca! E giù di foto. Invece, quello della donna che toglie le strisce alla zebra e le appende ad asciugare è un vero casino. “Ma cosa vuol dire?” “Secondo me è contro le zebre…” “Ma no, è contro… no, anzi è per… boh!”. Ecco, vedi, mi è sembrato un po’ complicato, lì per lì, insistere sul rischio di prendersi cura, troppo. Fino a togliere le strisce, fino a togliere l’identità all’oggetto del proprio amore. Come potrebbe fare un genitore, per esempio. Vabbè.

Alla fine del percorso, tra video e suoni di strada, siamo arrivati al negozietto finale con i gadget della mostra. Tazze, sottobicchieri, calamite da frigorifero, cartoline, mascherine Covid, persino. Sarà in contraddizione con il tuo messaggio anti-consumistico? E se questa contraddizione contribuisse però a rafforzare il messaggio stesso? Ma tu cosa faresti, caro Banksy, con i tuoi figli? Gli faresti portare a casa un cimelio? Secondo me sì. E sai perché? Perché secondo me tu capisci abbastanza bene i bambini. E loro capiscono i tuoi murales: sono come titoli, come fotografie, rapidi, sintetici. Come un messaggio sul telefono. Bum! Arrivato. E quindi, caro mio, non fare lo snob con me: un ricordino lo compreresti, eccome, ai tuoi figli.

Ora ti saluto, poi la prossima volta mi spieghi come diavolo hai fatto a far scattare al momento perfetto il meccanismo che ha tagliuzzato a striscioline la tua tela appena venduta da Sotheby’s. Io poi me la rivendo con i ragazzi.

 

p.s.

Hanno comprato una riproduzione ciascuno da appendere in camera. Fabri il “gangsta rat”, Franci il cumulo di macerie con in cima i bambini che si tengono per mano.

  • Alessandro Principe

    Mi chiamo Alessandro. E, fin qui, nulla di strano. Già “Principe”, mi ha attirato centinaia di battutine, anche di perfetti sconosciuti. Faccio il giornalista, il chitarrista, il cuoco, lo scrittore, l’alpinista, il maratoneta, il biografo di Paul McCartney, il manager di Vasco Rossi e, mi pare, qualcos’altro. Cioè, in realtà faccio solo il giornalista, per davvero. Il resto più che altro è un’aspirazione. Si, bè, due libri li ho pubblicati sul serio, qualche corsetta la faccio. Ma Paul non mi risponde al telefono, lo devo ammettere. Ah, ci sarebbe anche un’altra cosa, quella sì. Ci sono due bambini che ogni giorno mi fanno dannare e divertire. Ecco, faccio il loro papà.

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    Il documentario di Anna Negri “Toni, mio padre” è il risultato di una lunga elaborazione sull’assenza della figura paterna. La vicenda giudiziaria e politica che ha allontanato Toni Negri dalla sua famiglia porta con se un trauma affettivo che la figlia Anna è riuscita a raccontare in meno di due ore in un film. “Ho girato per anni, il materiale è immenso, ma ho dovuto fare una sintesi di cui mio padre ha fatto in tempo a vedere e approvare solo un premontaggio”. Il documentario di Anna Negri oltre a rappresentare in modo commovente, tenero e universale la ricostruzione di un rapporto tra un padre e una figlia separati da un linguaggio agli antipodi e senza mai nascondere la rabbia e il dolore, riporta in immagini gli anni ‘70 e ‘80, fino ad arrivare ad oggi con un ritratto della seconda metà del ‘900 e inzio del nuovo millennio. Ascolta l'intervista di Barbara Sorrentini ad Anna Negri.

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    Musica leggerissima di mercoledì 12/11/2025

    a cura di Davide Facchini. Per le playlist: https://www.facebook.com/groups/406723886036915

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    Considera l’armadillo di mercoledì 12/11/2025

    Considera l'armadillo di mercoledì 12 novembre 2025 con Roberto Di Leo, presidente di @radicediunopercento e @Marco Colombo, Naturalista e fotografo pluripremiato, parliamo di @Wildlife Photographer of the year in mostra a Milano al @Museo della Permanente per la tredicesima volta, ma anche di Cop 30 e di @friday for future. A cura di Cecilia Di Lieto.

    Considera l’armadillo - 12-11-2025

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    Cult di mercoledì 12/11/2025

    Oggi a Cult, il quotidiano culturale di Radio Popolare: Barbara Sorrentini intervista Andrea Segre sul film "Noi e la grande ambizione"; Tiziana Ricci intervista Leonardo Sangiorgi di Studio Azzurro sulla mostra "Il nuotatore (va troppo spesso ad Heidelberg" al MART di Rovereto; l'edizione 2025 del Wonderland Festival di Brescia; Sara Milanese intervista Adriano Zecca sul suo libro "Cinquant'anni di mondo - Diario di un documentarista"...

    Cult - 12-11-2025

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    Pubblica di mercoledì 12/11/2025

    Pubblica ha ospitato Nino Di Matteo, sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia. La giustizia che verrà: veloce contro gli ultimi e con le armi spuntate verso la criminalità dei colletti bianchi. «La separazione delle carriere dei magistrati - sostiene il giudice Di Matteo - è un pericolo per i cittadini». La legge costituzionale Meloni-Nordio, ci ha raccontato Di Matteo, vuole colpire l’indipendenza e l’autonomia della magistratura. Non solo. La “riforma” Meloni-Nordio è inserita in un contesto di nuove norme (dall’abrogazione dell’abuso d’ufficio alla limitazione delle intercettazioni, alla sterilizzazione del traffico di influenze) che rappresentano una sorta di scudo di protezione dei potenti. Quindi, con la perdita di autonomia e indipendenza della magistratura (soprattutto nei riguardi del pubblico ministero); con una legislazione ordinaria orientata alle esigenze di polizia, l’eventuale vittoria dei SI alle nuove norme sposterebbe l’equilibrio dei poteri verso l’esecutivo. L’eventuale varo del premierato finirebbe per sanzionare una vera e propria concentrazione di potere in capo al governo.

    Pubblica - 12-11-2025

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    A come Asia di mercoledì 12/11/2025

    A cura di Chawki Senouci con Gabriele Battaglia

    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 12-11-2025

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    COLLETTIVO GESSI WHITE - CITTA' IN AFFITTO

    COLLETTIVO GESSI WHITE - CITTA' IN AFFITTO - presentato da F. Fulghesu

    Note dell’autore - 12-11-2025

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    Morti in bici, ecco le mappe per ridurli

    L’Atlante italiano dei morti (e dei feriti gravi) in bicicletta, la più completa mappatura dell’incidentalità ciclistica in Italia finora mai realizzata (gratis e consultabile a questo link: https://craft.dastu.polimi.it/it/articles/15) è il risultato di uno studio del Competence Centre on Anti-Fragile Territories (CRAFT) del Politecnico di Milano. Quattro Dashboard offrono un’analisi degli incidenti ciclistici su base ISTAT 2014-2023 in ogni singolo comune italiano e i dati possono essere consultati per province, regioni e aggregazioni spaziali libere. La quinta Dashboard consente di visualizzare la localizzazione degli incidenti con le coordinate utili alla geolocalizzazione degli incidenti. Paolo Bozzuto, docente del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano - DAStU, coordinatore del progetto: “Geolocalizzare e mappare tutti gli incidenti ciclistici è un cambio di paradigma per l’analisi dell’incidentalità ciclistica in Italia è diventa uno strumento di conoscenza e pianificazione per contribuire a ridurre gli incidenti”.

    Clip - 12-11-2025

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    Tutto scorre di mercoledì 12/11/2025

    Sguardi, opinioni, vite, dialoghi al microfono. Condotta da Massimo Bacchetta, in redazione Luisa Nannipieri.

    Tutto scorre - 12-11-2025

Adesso in diretta