Il futuro dell’Iran dipenderà anche dalle elezioni di oggi. Da una parte ci sono i riformisti del presidente uscente Hassan Rouhani, che ha portato all’accordo sul nucleare e alla rimozione delle sanzioni internazionali. Dall’altra i conservatori, con Ebrahim Raisi, ben visto dai vertici religiosi e popolare soprattutto nelle regioni più povere e tradizionaliste.
Hassan Rouhani, il favorito, è stato il presidente della stabilità, dell’inclusione e della moderazione. L’economia è tornata a crescere, l’inflazione è scesa dal 40% a meno del 10%, e ci sono state anche delle timide aperture sociali. Molti giovani di Teheran sono con lui. “Con Rouhani abbiamo avuto più libertà”, ci dice una ragazza con un velo color viola che le copre solo una parte del capo. “Non possiamo dire che sia tutto perfetto. I cambiamenti economici e sociali sono ancora molto lenti. Ma nulla a che vedere con quello che c’era prima”. Il riferimento è alla presidenza di Ahmadinejad.
Qui non è in gioco la Repubblica Islamica. L’Iran non è una democrazia e il sistema non viene messo in discussione. Ma in questi ultimi anni un’apertura c’è stata, a partire da quella verso l’esterno. Con la rimozione del blocco economico – che aveva messo in ginocchio il Paese – l’Iran è stato riammesso nella comunità internazionale. Ancora una volta molti giovani – che fanno più di un terzo della popolazione iraniana – vorrebbero che la direzione rimanesse questa. “Rouhani ci ha ridato la speranza. È stato più attento alle esigenze dei giovani – ci spiega un ragazzo durante un raduno elettorale – e finalmente ha messo al governo figure professionali e competenti che hanno portato innovazione nel Paese”.
Il presidente iraniano ha poteri limitati, sopra di lui ci sono i vertici religiosi, non eletti, ma le elezioni ci possono comunque indicare in che direzione andranno il Paese e lo stesso regime.
Rispetto ai sostenitori di Rouhani, quelli del conservatore Raisi hanno in mente un modello diverso di Repubblica Islamica. Meno aperture e più attenzione ai problemi concreti della gente. Una posizione che fa leva sull’aumento della disoccupazione nonostante la ripresa delle esportazioni di petrolio. Un ragazzo avvolto in una grossa bandiera iraniana ci racconta perché vuole un cambio di governo. “Noi vogliamo un presidente concentrato sul Paese, sulle esigenze dei giovani, sul lavoro, sulla nostra economia, non sulle relazioni internazionali”.
Ebrahim Raisi non vuole cancellare l’accordo sul nucleare, non ne avrebbe nemmeno i poteri. Il candidato conservatore è popolare soprattutto nelle regioni più povere e tradizionaliste del Paese. Secondo alcune voci potrebbe anche diventare la prossima guida suprema, la massima carica nella gerarchia iraniana. Un’altra sua sostenitrice, completamente coperta di nero, pensa che questa sia un’ottima cosa: “L’obiettivo principale della Rivoluzione Islamica del ‘79 era preparare il ritorno del dodicesimo santo, Mahdi, il nostro salvatore. Raisi è la figura ideale per accompagnarci a quel momento”.
L’Iran è il Paese più potente di tutto il Medio Oriente, con forti interessi in tutta la regione, pensate solo alla guerra in Siria, alla campagna contro l’ISIS in Iraq, oppure al conflitto in Yemen. All’orizzonte non ci sono cambi di rotta sulla politica estera, e lo scontro elettorale rimane all’interno di un sistema rigido e ben definito. Ma il voto di oggi ci potrà comunque dire come sarà nei prossimi anni la Repubblica Islamica dell’Iran.