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OMS e il contagio dagli asintomatici. Parla l’infettivologo Matteo Bassetti

Fase 2 COVID

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso la dottoressa Maria Van Kerkhove, responsabile tecnico per il coronavirus, ha rilasciato una dichiarazione che ha destato diverse polemiche: i soggetti infettati e asintomatici hanno meno probabilità di diffondere il contagio del virus rispetto a quelli che hanno sviluppato sintomi.

Una dichiarazione che ha allertato tutti i medici e tutti gli esperti per gli importanti effetti che potrebbe avere. Ne abbiamo parlato col dottor Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova.

L’intervista di Sara Milanese a Fino Alle Otto.

Qual è la sua posizione?

Secondo me l’Organizzazione Mondiale della Sanità dovrebbe usare un po’ più di cautela quando vengono date certe notizie. Da un’istituzione così importante ci si aspetta che nel momento in cui si pronuncia lo fa su delle chiarissime evidenze scientifiche. Se noi siamo qua con tutte le misure che stiamo adottando è perchè pensavamo, e continuiamo a pensare, che gli asintomatici siano contagiosi e rappresentino un problema importante.
Questo però introduce sicuramente un tema che dovremo studiare di più: probabilmente gli asintomatici, e questo è oggetto di diversi studi, non sono tutti uguali. Possono esserci asintomatici con una bassissima carica virale che trasmettono meno o addirittura non trasmettono o altri asintomatici con una carica virale più alta. Questo necessità di ulteriori approfondimenti.

Secondo lei c’è stata un’eccessiva leggerezza nel dare questa informazione o sono stati i giornalisti che hanno estrapolato quella frase dal contesto?

Sono vere tutte le ipotesi. Deve pensare che negli ultimi 3 o 4 mesi i ricercatori e gli scienziati, che magari normalmente sono abituati a parlare in contesti medici in cui certe frasi si possono anche dire, mentre in una conferenza stampa il rischio è che se dici una cosa anche corretta può venire estrapolata dal contesto e male interpretata. Credo che il pensiero dell’OMS sia che non abbiamo certezze e che dobbiamo capire di più su questi asintomatici, perchè all’interno della categoria possono esserci delle differenze. Abbiamo un asintomatico che rimane sempre asintomatico, e probabilmente ha una carica virale più bassa e una bassa contagiosità, ma abbiamo un asintomatico che sta per manifestare i sintomi ed è più contagioso. E poi c’è l’asintomatico che è convinto di esserlo, ma che ha avuto dei sintomi molto specifici come lieve stanchezza o congiuntive che non mette in relazione quei sintomi col COVID.

Conta anche il fatto che il virus sta mutando?

Per quanto riguarda la contagiosità non credo che il fatto che il virus stiamo mutando abbia qualche influenza. Abbiamo degli studi che ci dicono che il virus è mutato quasi 200 volte, ha avuto delle mutazioni molto veloce in un periodo molto ridotto, qualche mese. Credo che sia proprio un problema di carica virale, come dimostrato dal San Raffaele: nei pazienti sembra esserci una minore carica virale. Maggiore è la carica virale e maggiore è la possibilità di contagio.

Sono state avanzate delle ipotesi che individuano cariche virali diverse per fasce d’età. Anche di questi studi dobbiamo prendere i risultati con una certa cautela?

Sì, ma anche questo va nella direzione che dicevo. Dobbiamo cercare di dire non solo ai medici o a chi fa il tampone se c’è o no il virus, ma dovremo anche dire quanto: determinare la carica.

Questa fase ci chiede di continuare a mantenere le misure di sicurezza?

Le misure devono essere semplici, ma adottate da tutti: distanziamento fisico, cioè cercare di stare almeno ad un metro da un’altra persona. Se non posso stare distanze, l’uso della mascherina. E il lavaggio delle mani. Bisogna evitare i fronzoli, ne abbiamo visti tanti sia a livello nazionale che regionale. I guanti, ad esempio, non funzionano.

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    Redazione
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    Pubblica di martedì 22/04/2025

    Il populismo d’Argentina. E’ quello che ha caratterizzato Jorge Maria Bergoglio durante i suoi dodici anni di pontificato. Scrive oggi sul quotidiano Domani, Nadia Urbinati, teorica della politica alla Columbia University di New York. «Figlio d’Argentina, culla del populismo, la retorica che taglia in due fatti e concetti, che arriva diritta alle emozioni, che non fa sconti perché il giusto e lo sbagliato devono stare o di qua o di là. Il populismo argentino fu social-nazionale in politica e conservatore nei valori. Così papa Francesco, che non ha avuto difficoltà a essere populista progressista nelle questioni sociali e conservatore in quelle morali, del resto coerenti ai principi della Chiesa di Roma». Bergoglio ha saputo tenere insieme lingue diverse. E non è detto che sia stata sempre una virtù. Papa Francesco ha tenuto insieme la lingua della Laudato Si’, che denuncia le ingiustizie contro l’ambiente, gli umani, che tiene insieme la crisi sociale e ambientale. Bergoglio ha tenuto insieme questa lingua con una lingua violentemente anti-abortista. Diceva nel settembre 2024: «un aborto è un omicidio, si uccide un essere umano», e «i medici che si prestano a questo sono, permettetemi la parola, sicari». Pubblica ha ospitato Rosa Fioravante, ricercatrice e docente di etica aziendale e delle organizzazioni; e Enrica Morlicchio, sociologa del lavoro, docente all’università Federico II di Napoli.

    Pubblica - 22-04-2025

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