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Fleishman a pezzi, la nuova serie dal 22 febbraio su Disney+

Fleishman a pezzi

Il titolo italiano, Fleishman a pezzi, ammicca all’Harry a pezzi di Woody Allen, e non è un caso: l’ambientazione borghese e newyorkese, la crisi di mezza età, la psicoanalisi dei sentimenti, le idiosincrasie e le nevrosi di quello che a prima vista appare il protagonista del racconto sono tutte caratteristiche che ormai da decenni riconduciamo facilmente ai lavori alleniani.

Il protagonista in questione, tra l’altro, è interpretato da Jesse Eisenberg, che per Woody Allen ha recitato in Café Society, nel 2016, portando perfettamente sullo schermo lo stile del cineasta. Ma Fleishman a pezzi, che debutta su Disney+ il 22 febbraio (e il cui titolo originale è Fleishman Is in Trouble, “Fleishman è nei guai”) non è un film di Woody Allen, ma una miniserie tv tratta da un bestseller dell’autrice Taffy Brodesser-Akner, già giornalista del “New York Times Magazine”.

Brodesser-Akner ha curato personalmente l’adattamento televisivo del suo romanzo, esordendo anche come showrunner e firmando le sceneggiature di sette episodi sugli otto totali. La regia delle puntate è invece affidata quasi interamente a due coppie di registi – Jonathan Dayton e Valerie Faris (celebri soprattutto per il cult Little Miss Sunshine) e Sheri Springer Bergman e Robert Pulcini (autori, tra gli altri, di American Splendor) – e suona in qualche modo appropriato, visto che Fleishman a pezzi è, tra molte cose, la storia di una coppia, di un matrimonio e di un divorzio.

Jesse Eisenberg interpreta Toby Fleishman, medico quarantunenne, ricco e di successo; le sue nozze con Rachel (impersonata da Claire Danes, ex attrice adolescente in Romeo + Giulietta, poi acclamata e premiata in tv come star di Homeland) si sono concluse dopo 15 anni, e Toby scopre che infinite possibilità sessual-sentimentali lo aspettano, a portata di swipe, sulle app di appuntamenti. Solo che Rachel gli fa piombare in casa i loro due figli con un giorno d’anticipo sul calendario familiare, scombinandogli tutti i piani, e poi sparisce – un evento che Toby vive come un brutto scherzo ai suoi danni, e con una tale irritazione da metterci fin troppo tempo a capire che Rachel è, in effetti, scomparsa, e che potrebbe essere in pericolo.

Fleishman a pezzi ha anche una terza protagonista, l’amica di gioventù con cui Toby riallaccia i rapporti, Libby, interpretata da un’ottima Lizzy Caplan (già protagonista delle serie Masters of Sex e Castle Rock), il cui personaggio ha qualche caratteristica in comune proprio con la scrittrice della storia Brodesser-Akner e che funge anche da voce narrante dell’intera serie, commentando in modo talvolta caustico talvolta acuto gli eventi che riguardano Toby e Rachel (e anche i propri). E se Rachel potrebbe esser definita una tipica donna in carriera, ambiziosa e risoluta, Libby è un’ex giornalista che ha abbandonato la professione per fare la madre e la casalinga a tempo pieno, trasferendosi con la famiglia nel New Jersey.

La serie si costruisce, puntata dopo puntata, sullo slittamento dei punti di vista attraverso cui guardare e raccontare questa storia: se istintivamente, proprio come accade all’osservatrice Libby, ci viene automatico parteggiare per Toby e trovare incomprensibili, se non egoiste, le scelte di Rachel, a un certo punto la prospettiva si ribalta, rivelando altre narrazioni e, con esse, altre verità. Tutti i personaggi sono accomunati, prima di tutto, da una crisi esistenziale che si esprime e deflagra secondo modalità diverse, perché differenti sono le personalità dei protagonisti e le condizioni in cui si trovano.

Tra flashback e, come dicevamo, cambi di punto di vista, Fleishman a pezzi si costituisce appunto come un puzzle da rimettere insieme, o come un prisma attraverso cui guardare le molte sfumature di un’esistenza, una famiglia, un’identità, in quel momento della vita in cui si inizia a fare i conti con il proprio sé, con quello che si è diventati, con quello che si è perso e con il tempo che rimane. Magari poi imparando a guardare con nuovi occhi anche i nostri più o meno consapevoli pregiudizi.

  • Autore articolo
    Alice Cucchetti
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    Musiche dal mondo è una trasmissione nel solco della lunga consuetudine di Radio Popolare con la world music – da prima che questa discussa espressione entrasse nell’uso internazionale – e in rapporto con World Music Charts Europe. WMCE è una iniziativa a cui Radio Popolare ha aderito e partecipa dall’inizio: una classifica europea realizzata attraverso il sondaggio mensile di animatori di programmi di world music su emittenti pubbliche, aderenti all’Ebu, appunto l’associazione delle emittenti pubbliche europee, ma con qualche eccezione come Radio Popolare, che è una radio privata di ispirazione comunitaria. Nel 1991 l’EBU sondò la Rai, per coinvolgerla in WMCE, ma la Rai snobbò la proposta. Però all’Ebu segnalarono che c’era una radio che sulle musiche del mondo aveva una certa tradizione e che probabilmente avrebbe risposto con interesse… L’Ebu si fece viva con noi, e Radio Popolare aderì entusiasticamente. Ormai quasi trent’anni dopo, WMCE continua e Radio Popolare continua a farne parte, assieme ad emittenti per lo più pubbliche di ventiquattro paesi europei, fra cui la britannica BBC, le francesi Radio Nova e RFI, le tedesche WDR, NDR e RBB, l’austriaca ORF, Radio Nacional de Espana, la russa Echo of Moskow, la croata Radio Student. Attraverso WMCE, Musiche dal mondo riceve annualmente centinaia di novità discografiche inviate dalle etichette o direttamente dagli artisti, dal vintage dell’Africa nera al canto di gola siberiano, dalle fanfare macedoni al tango finlandese: proponendo musica che difficilmente le radio mainstream fanno ascoltare e di cui i media correntemente non si occupano, Musiche dal mondo è una trasmissione per la salvaguardia e lo sviluppo della biodiversità musicale.

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    Live Pop - Franco Basaglia, l’apostolo dei matti - 28/03/2024

    Quest’anno Franco Basaglia – il medico che liberò i matti – avrebbe compiuto 100 anni. Prima della rivoluzione basagliana le persone con sofferenza psichica erano considerate pericolose per sé e per gli altri e quindi erano tenute separate e nascoste dal resto della società in luoghi chiusi e isolati, quali erano appunto i manicomi, dove spesso venivano sostanzialmente abbandonate. Non c’era cura ma controllo. Negli anni Sessanta a Gorizia, insieme a un gruppo di giovani psichiatri, Basaglia iniziò la sua battaglia per restituire diritti e dignità ai pazienti del manicomio: abolì contenzioni fisiche ed elettroshock e sostenne un nuovo rapporto tra medico e paziente, non più verticale ma orizzontale, basato sull’ascolto e sulla parola, in cui pazienti e operatori avessero pari dignità e pari diritti. Noi festeggeremo il centesimo compleanno di Basaglia cantando con Alessio Lega le canzoni che accompagnarono quel movimento, quella rivoluzione che rese l’Italia un paese migliore. Canzoni in gran parte estrapolate da “E ti chiamaron matta”, un disco del 1972 dello psichiatra-poeta Gianni Nebbiosi. Massimo Cirri, psicologo e giornalista, e Thomas Emmenegger, psichiatra e presidente di Olinda, ci regaleranno un Bignami sulle pratiche di libertà introdotte da Franco Basaglia.

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