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“Fu omicidio, l’unica verità possibile”

“Oggi è un grande giorno, un momento storico. Sono passati sette anni dalla morte di Stefano. Ora finalmente si parla di omicidio, di calunnia, di falso, si parla di verità. In questo momento mi viene da piangere, il mio pensiero va a Stefano, al suo povero corpo all’obitorio, ai suoi sorrisi e abbracci che nessuno mi restituirà mai”.

Sono queste le prime parole di Ilaria Cucchi dopo la decisione della Procura di Roma di accusare tre carabinieri per omicidio preterintenzionale per la morte di suo fratello Stefano. Secondo i magistrati la morte fu determinata da schiaffi, pugni e calci.

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Otto anni dopo la morte di Stefano Cucchi, in un letto del reparto di medicina dell’ospedale Pertini di Roma, il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il pm Giovanni Musarò hanno concluso l’inchiesta aperta nel novembre del 2014 sui responsabili del suo pestaggio.

I tre carabinieri, Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, che arrestarono Stefano nel parco degli Acquedotti di Roma sono accusati di omicidio preterintenzionale.

“Stefano Cucchi fu colpito dai tre carabinieri che lo avevano arrestato con schiaffi, pugni e calci – hanno scritto Pignatone e Musarò – e le botte provocarono una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale, che unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell’ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte”.

Stefano è morto per gli esiti letali di quel pestaggio che subì la notte del suo arresto. Non si tratta dunque – sostiene la Procura – di una “morte per epilessia, o per fame e sete, o per motivi sconosciuti alla scienza medica”. È stato un omicidio preterintenzionale, un reato che avviene quando chiunque, con azioni dirette unicamente a percuotere o a provocare lesioni personali nei confronti di un’altra persona, ne provochi, senza volerlo, la morte.

Un omicidio in cui sarebbe stata decisiva la responsabilità di chi aveva in custodia Stefano, i carabinieri allora in servizio nella stazione Appia. Gli stessi che avrebbero incolpato degli innocenti della morte di Stefano per coprire la verità.

Con i tre carabinieri, sono stati accusati di calunnia il maresciallo Roberto Mandolini, allora comandante della stazione dei carabinieri Appia, quella che, nella notte dell’ottobre del 2009 aveva arrestato Stefano Cucchi, e i carabinieri Vincenzo Nicolardi e Francesco Tedesco. Mandolini e Tedesco, sono anche accusati di falso verbale di arresto.

La decisione della Procura di Roma cambia il capo di imputazione: i carabinieri a cui viene adesso contestato l’omicidio preterintenzionale erano stati a lungo indagati per lesioni personali aggravate. La decisione della Procura evita inoltre il rischio incombente della prescrizione sul caso della morte di Stefano Cucchi. Una morte sino a oggi senza responsabili. Ci sono stati tre giudizi, uno di primo grado e due di appello, oltre a una pronuncia della Cassazione, che hanno portato ad assoluzioni. Ora con la decisione della Procura di Roma ci sono le condizioni per un nuovo processo sulla storia del pestaggio e della morte di Stefano Cucchi. A partire da quanto accadde quella maledetta notte del 15 ottobre del 2009 quando fu pestato nei locali della caserma Casilina, dove era stato portato per essere fotosegnalato.

Ilaria Cucchi, ha anche affidato a un post su Facebook, una delle prime reazioni alla decisione della Procura di Roma: “I carabinieri sono accusati di omicidio, calunnia e falso. Voglio dire a tutti che bisogna resistere, resistere, resistere. Ed avere fiducia nella giustizia. Ma devo dire grazie soprattutto a questa persona persona”. Il suo avvocato Fabio Anselmo, nella foto con lei.

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Avvocato Anselmo, come commenta la decisione della Procura?

“Siamo emozionati, siamo soddisfatti. Questa è la verità. ‘Omicidio, calunnia e falso’ sono le parole che descrivono bene quello che è successo. Tutto il merito va alla famiglia Cucchi che ha saputo resistere per sette anni. Il merito va anche al procuratore Pignatone e al pm Musarò che hanno saputo fare un’inversione a U – letteralmente – per andare a cercare i veri colpevoli della morte di Stefano”.

Cosa emerge quindi secondo lei?

“È emersa anche la verità che era l’unica possibile, cioè che Stefano stava bene prima del suo arresto e dopo il suo arresto è stato restituito alla famiglia in quelle terribili condizioni, morto. Questa è la verità più semplice che tornerà a occupare finalmente un’aula di giustizia”.

Quali sono adesso le prospettive dal punto di vista giudiziario?

“Corte d’Assise e, per usare un termine poco tecnico, ce la giochiamo. Adesso faremo i conti. Faremo i conti con tutti”.

  • Autore articolo
    Lorenza Ghidini
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    Quest’anno Franco Basaglia – il medico che liberò i matti – avrebbe compiuto 100 anni. Prima della rivoluzione basagliana le persone con sofferenza psichica erano considerate pericolose per sé e per gli altri e quindi erano tenute separate e nascoste dal resto della società in luoghi chiusi e isolati, quali erano appunto i manicomi, dove spesso venivano sostanzialmente abbandonate. Non c’era cura ma controllo. Negli anni Sessanta a Gorizia, insieme a un gruppo di giovani psichiatri, Basaglia iniziò la sua battaglia per restituire diritti e dignità ai pazienti del manicomio: abolì contenzioni fisiche ed elettroshock e sostenne un nuovo rapporto tra medico e paziente, non più verticale ma orizzontale, basato sull’ascolto e sulla parola, in cui pazienti e operatori avessero pari dignità e pari diritti. Noi festeggeremo il centesimo compleanno di Basaglia cantando con Alessio Lega le canzoni che accompagnarono quel movimento, quella rivoluzione che rese l’Italia un paese migliore. Canzoni in gran parte estrapolate da “E ti chiamaron matta”, un disco del 1972 dello psichiatra-poeta Gianni Nebbiosi. Massimo Cirri, psicologo e giornalista, e Thomas Emmenegger, psichiatra e presidente di Olinda, ci regaleranno un Bignami sulle pratiche di libertà introdotte da Franco Basaglia.

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