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La battaglia per l’aborto

In Polonia la sinistra e i settori progressisti della società civile protestano di nuovo contro il governo conservatore attualmente in carica. Alcuni giorni fa migliaia di persone hanno manifestato a Varsavia, di fronte al Parlamento, il loro dissenso nei confronti del progetto di legge che vieta l’aborto in quasi tutti i casi. Si tratta di un’iniziativa del partito governativo Diritto e Giustizia sostenuta dalla chiesa cattolica polacca. Tanto che le parrocchie hanno diffuso una lettera ai fedeli il cui testo appoggia il disegno di legge.

Quest’ultimo prevede il ricorso all’interruzione della gravidanza solo nel caso in cui la madre sia pericolo di vita e pene detentive fino a cinque anni per coloro i quali praticassero l’aborto nei casi non contemplati dal progetto di legge. Occorre tenere conto del fatto che attualmente le disposizioni polacche vigenti in questo campo sono tra le più restrittive in Europa. Esse prevedono infatti il ricorso all’aborto solo nel caso in cui la gravidanza metta a rischio lavita o comunque la salute della donna in attesa o sia frutto di violenza o incesto o ancora se da esami clinici preparto si dovesse accertare patologie gravi e irreversibili a danno del feto.

La manifestazione che si è svolta nella capitale polacca nei giorni scorsi è stata organizzata dal partito di sinistra Razem (Insieme). Alcune donne hanno partecipato alla dimostrazione indossando cinture di filo di ferro, un’esternazione simbolica per descrivere la condizione delle donne private del loro diritto di non portare a termine la gravidanza. La sinistra e i cittadini contrari alla politica del governo protestano, ma l’esecutivo sostiene questo disegno di legge che considera in linea con i principi cattolici i quali, in questo ambito, mettono al primo posto la difesa del nascituro. E difende i valori cristiani sottolineando il suo impegno a difendere la vita, bene sacro che, secondo i sostenitori del progetto di legge, l’uomo non ha il diritto di gestire a suo piacimento.

Del resto il partito governativo guidato da Jarosław Kaczyński ha sempre sostenuto la sua azione volta al ripristino dei valori cristiani contro le consuetudini di un mondo secolarizzato. La sua iniziativa  è stata stimolata dalla recente esortazione della Conferenza episcopale polacca alla difesa incondizionata del nascituro. Secondo diverse statistiche oggi a disposizione, in Polonia il numero di aborti è cresciuto nel tempo. Stando a quanto emerge dalle stime della Federazione delle donne il numero delle interruzioni di gravidanza all’anno è considerevole e molte donne si recano all’estero per sottoporsi all’intervento.

Dall’inizio dell’anno hanno avuto luogo in Polonia diverse manifestazioni contro il governo presieduto da Beata Szydło, 52 anni, primo ministro dal novembre dello scorso anno e vicepresidente del partito Diritto e Giustizia che il mese prima aveva vinto le elezioni politiche. A gennaio l’opposizione e i suoi sostenitori hanno manifestato contro una serie di misure volte a limitare le competenze della Corte Costituzionale e ad aumentare il potere di controllo dell’esecutivo sugli organi di informazione. A Varsavia i manifestanti erano scesi in piazza sfidando il freddo intenso di quelle giornate. Gridavano “Democrazia e “Libertà” e sfilavano con bandiere polacche e dell’Unione europea che aveva messo sotto accusa le autorità del paese ipotizzando il reato di violazione della libertà di stampa. Nel mese di marzo ci sono state nuove azioni pubbliche di protesta che hanno chiesto all’esecutivo di rispettare la costituzione. Nei giorni scorsi i critici dell’attuale governo si sono mobilitati per esprimere la loro condanna contro un disegno di legge, quello sull’aborto che, secondo diversi analisti, potrebbe essere approvato senza troppe difficoltà dal momento che Diritto e Giustizia ha la maggioranza alla Camera bassa, particolarmente forte dal punto di vista decisionale.

 

Massimo Congiu è direttore dell’Osservatorio Sociale Mitteleuropeo, un’agenzia che si propone di monitorare il mondo del lavoro e degli affari sociali in Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca.

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