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Un conflitto senza soluzioni diplomatiche

La denuncia è di qualche giorno fa.

Ora però cominciano a essere diffuse testimonianze e prove delle violazioni compiute in Sud Sudan.

Si tratta di esecuzioni sommarie, omicidi anche di ragazzini, persone disabili bruciate vive, gente asfissiata nei container, appesa agli alberi, fatta a pezzi. E stupri, tanti stupri che i comandanti offrono come bottino di guerra alle loro truppe.

E’ questo il quadro dei crimini di guerra denunciato dall’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani in Sud Sudan. Per ognuno di questi crimini ci sono testimonianze e prove. Per esempio quello già denunciato da Amnesty International che risale allo scorso ottobre, quando 60 tra uomini e ragazzi sono morti asfissiati dopo essere stati chiusi con le mani legate in un container sotto il sole a picco dai soldati.

Il rapporto sottolinea poi con particolare sgomento le brutalità di cui sono spesso vittime le donne, dal momento che, come detto, per i gruppi armati sia dei ribelli che del governo in carica la licenza di stuprare e uccidere le loro vittime è parte integrante del salario che gli viene riconosciuto.

Purtroppo tutto questo non arriva come una sorpresa per chi segue questo conflitto dimenticato che non sembra avere soluzioni diplomatiche o mediazioni e compromessi. La guerra civile in Sud Sudan è scoppiata nel gennaio del 2013, solo due anni dopo che il paese, nel 2011, aveva ottenuto con un referendum la secessione dal regime di Khartoum e, di conseguenza l’indipendenza divenendo il più giovane stato del mondo.

Il conflitto era scoppiato perché il presidente Salva Kiir aveva accusato il suo ex vice presidente Riek Machar di organizzare un colpo di stato per prendere il potere.

La guerra era esplosa in tutta la sua violenza e i due contendenti non avevano esitato a tirare in ballo le appartenenze etniche: il presidente Salva Kiir alla tribù dei Dinka e il suo rivale Riek Machar a quella dei Nuer.

Il contrasto etnico ora aggrava il conflitto perché la rivalità tra queste due etnie è storica e fortemente sentita da una parte e dall’altra.

A tutto ciò va aggiunto che i due rivali non possono accettare, nel caso di una soluzione diplomatica, meno di ciò che già avevano: uno era il presidente e l’altro il vice. Tutto questo complica la ricerca di un cessate il fuoco in vista di una trattativa di pace perché ai due non si può offrire di più di ciò che già avevano.

  • Autore articolo
    Raffaele Masto
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    Quando le povertà dei padri e delle madri ricadono sui figli e sulle figlie. In Italia il titolo di studio dei genitori condiziona le opportunità di di vita dei minori. La povertà educativa è diventata di fatto ereditaria. Sono gli ultimi dati dell’Istat a raccontare questa ingiustizia. Il 34% dei figli di genitori con un titolo di studio inferiore o uguale alla licenza media vive in condizione di “deprivazione materiale e sociale”. La percentuale crolla al 3% se i genitori sono laureati. L'ereditarietà della povertà educativa è anche un tradimento di un principio fondante della Repubblica. L’articolo 3 della nostra Costituzione, la seconda parte, assegna un compito preciso allo stato, e cioè quello di “rimuovere gli ostacoli” che limitano di fatto l’uguaglianza tra i cittadini. Un compito evidentemente non svolto, vista la permanenza della disuguaglianza. Pubblica ha ospitato oggi la sociologa Chiara Saraceno.

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