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La difesa della barriera

Stefano Lusa è caporedattore di Radio Capo d’Istria. In questo momento è inviato nei Paesi della rotta balcanica, il fronte caldo della cosiddetta “emergenza immigrazione”. Questi i suoi reportage.

Idomeni (Grecia)/4 – Passato il confine macedone l’autista che sta davanti a noi scende rapidamente dalla macchina, copre la sigla MK della targa con un bigliettino da visita, su un’altra macchina la sigla  è coperta con una striscia di nastro isolante. Un benzinaio ci spiega che lo fanno per evitare che la polizia greca faccia storie. Per Atene è intollerabile che la Macedonia si tenga un nome che considera parte esclusiva della propria storia.

Il poliziotto greco che ci controlla i documenti ci racconta che lui ha fatto il volontario ad Idomeni. Lungo la strada che porta al campo un centinaio di persone sono in cammino. Il flusso è continuo e sembra inarrestabile. Nei pressi della stazione ferroviaria del paesino, una macchina si ferma, il finestrino si apre ed una signora allunga ad una mamma con di bambini un sacchetto con delle vivande.

L’estensione del campo aumenta a vista d’occhio. Sta nascendo un vero e proprio insediamento. Arriva persino il furgoncino della Vodafone. Una bella ragazza vende schede telefoniche. Il ritmo nel corso della mattinata diventa sempre più frenetico. I giornalisti inseguono politici ed operatori umanitari. Presto potrebbe essere proclamato lo stato d’emergenza. Tra le tende ci sono pozze d’acqua stagnante, dalle docce un rivolo d’acqua corre direttamente sul terreno e va ad alimentare uno stagno. Ad ogni istante si sente qualcuno alle spalle tossire. Sembrano essere le condizioni ideali per lo scoppio di epidemie.

Dall’altra parte del confine il campo di transito di Gevgelija continua a essere vuoto. Negli ultimi tempi passano 400 persone al giorno. Un funzionario dell’UNHCR spiega che il cancello si apre per siriani ed iracheni, ma devono avere documenti originali rilasciati dai loro paesi, i permess delle autorità elleniche e non devono essere rimasti per più di un mese in Turchia. E’ preoccupato, ha una bella grana da risolvere. Fuori dal campo, su un prato, bivaccano 170 persone. Sono iracheni: yazidi, mussulmani e cristiani. Avevano pagato un passeur per farsi portare in Austria e invece sono stati abbandonati in Serbia. La polizia li ha presi e li ha consegnati ai macedoni, che hanno tentato di darli ai greci, ma Atene non ha voluto sentire ragioni, visto che non è possibile dimostrare che siano passati dalla Grecia. Le autorità macedoni li hanno lasciati li nella terra di nessuno intrappolati in una falla del sistema.

La rete che separa la Macedonia dalla Grecia è presidiata da ingenti forze di polizia. Passa una famiglia, gli agenti austriaci li fanno entrare in un ufficio mobile dove si effettueranno ulteriori verifiche. Escono dopo più di venti minuti. Devono attendere. E’ appena arrivato un treno merci. Una ventina militari in tuta mimetica e bardati di tutto punto, tolgono i puntelli al grande portone che chiude i binari. Lo aprono e si mettono di fianco. Il convoglio passa lento. Quando transita l’ultimo vagone immediatamente si chiude la porta. La famiglia si incammina. Arrivati al campo si trovano davanti un’altra rete. A controllare l’ingresso un poliziotto croato e alcuni suoi colleghi serbi. Prendono in mano i documenti rilasciati dalle autorità elleniche, li studiano dettagliatamente, si passano i fogli. Le verifiche non sono finite.

 

Salonicco (Grecia)/3 – Le barche a vela da una parte, il porto dall’altra. E’ il lungomare di Salonicco. Il Mediterraneo si respira nelle vie della città. I ritmi sono quelli mediterranei e rilassati che si possono trovare nel meridione d’Italia. Non sembra una città che con il suo circondario conta un milione di abitanti. Periferia decadente, centro città curato, pieno di monumenti, con un bel mercato, ampi spazi dedicati alla cultura, gallerie, negozietti e bar raffinati. Seduti a guardare il golfo da un locale dal centro cittadino la Grecia non sembra certo in crisi e nemmeno invasa dai migranti. Idomeni è lontana, mentre Gevgelija è proprio un altro mondo.

Sulla strada che porta verso il confine con la Macedonia si comincia a vedere un paese che non sembra aver conosciuto negli ultimi decenni periodi di particolare ricchezza e su cui oggi la crisi pare aver colpito duro. Ad un autogrill della superstrada l’UNHCR ha allestito una tendopoli. Gruppi di profughi passeranno lì la notte. Qualcuno accende un fuoco in vecchi bidoni, altri si bevono tranquillamente un caffè nella stazione di servizio. Un papà sopporta per un po’ il figlioletto che in arabo cerca di convincerlo a comprargli un giocattolino e poi cede. La polizia fa sentire la sua discreta presenza, ma lascia libertà di movimento ai migranti.

Ad Idomeni molti migranti arrivano direttamente in taxi, altri percorrono la strada a piedi. Oramai è scesa la sera. Nel campo profughi le tende sono sempre più numerose e qualcuno passerà la notte nei vagoni merci. L’aria è piena di fumo. Molti fuochi sono accesi. C’è un terribile odore di rifiuti e di plastica bruciata. Una delle attività è quella di trovare la legna da ardere. Uomini e donne trascinano tronchi e rami lungo la strada.

La gente continua a fare file per mangiare, per farsi dare medicinali o per verificare la validità dei propri documenti. In un angolino qualcuno, con un generatore, ha allestito un piccolo cinema. Si trasmettono cartoni animati per i bambini. Famiglie e coppiette si fanno una semplice passeggiatina serale, prima di tornare alla propria tenda. Il locale vicino alla stazione dei treni è pieno di ragazzi. Alla luce delle pile si continuano a vendere sigarette e i barbieri sono ancora in azione. Una nuova Calais Jungle potrebbe nascere in Europa.

 

Idomeni (Grecia)/2– Il campo profughi di Gevgelija è praticamente vuoto, potrebbero starci comodamente tremila persone. Su prato, davanti all’ultimo controllo di polizia, bivaccano alcuni profughi con i loro bambini. Mezzi della polizia e dei militari passano veloci per il fangoso tratto che porta alla barriera. A ridosso della rete fa bella mostra di se un cannone ad acqua, pronto per essere usato, qualora i migranti dovessero nuovamente tentare di forzare il blocco. Poliziotti austriaci, slovacchi, cechi, sloveni, croati, serbi, alcuni in assetto da guerra, presidiano il confine, assieme ai loro colleghi macedoni.

Tutti sembrano convinti di voler difendere la Macedonia dai pericoli che arrivano dall’Unione europea e dall’area Schengen. In Grecia una marea di persone si accalcano per tentare di arrivare alla porticina che separa i due paesi. Nel passaggio non sembra esserci più nessuna logica.

A pochi passi di distanza inizia il campo greco. Decine di antenne paraboliche di televisioni di tutto il mondo raccontano il dramma dei profughi, ma presto i riflettori potrebbero spegnersi. La situazione è difficile, ma non catastrofica. Nel villaggio di Idomeni la vita sembra proseguire con i soliti ritmi, del campo non ci si accorge quasi e i migranti non sembrano dar fastidio. Nel paesino non c’è nemmeno un caffè dove sedersi, mentre davanti al piccolo spaccio una lunga fila di espatriati aspetta di poter entrare per fare acquisti.

Nel campo tutti sono in fila per qualcosa. Alcuni sono in coda alla distribuzione del cibo o altri stanno di fronte alla tenda dai medici. Un ambulante fa affari d’oro con i panini, altri vendono sigarette, arance e schede telefoniche, ma c’è anche chi ha messo su un banchetto con pentole e spugnette. Oramai sta sorgendo uno slam con le sue logiche commerciali. Quello che appare a prima vista stupefacente è come anche in condizioni estreme le persone cerchino alla fine di ritrovare un minimo di normalità: bambini che giocano a rincorrersi, mamme che fanno il bucato o ragazze che si lavano i capelli.

Il tempo è incerto. Non fa freddo, ma le schiarite si susseguono a scrosci di pioggia. Qualcuno trova rifugio nelle tende allestite dalle organizzazioni umanitarie, altri bivaccano in tendine come quelle che vengono usate dai ragazzini per andare in campeggio d’estate. Le canadesi sono oramai dappertutto. Un addetto della ferrovia, con l’aiuto di un fotografo che fa da interprete, cerca di far spostare quella appena piazzata da quattro ragazzi. E’ troppo vicino ai binari ed è pericoloso perché i treni continuano a passare.

La polizia greca controlla la situazione in maniera discreta e rilassata. Il caos regna sovrano, ma tutto sommato le cose sembrano funzionare. I greci si sentono un po’ buttati a mare e lasciati al loro destino. Un poliziotto a ridosso della rete, guardando gli altri poliziotti dell’Unione europea che stanno dall’altra parte, commenta ironico dicendo i problemi stanno da questa parte del confine e non in Macedonia. Non ce l’ha con i suoi colleghi, ma con i politici incapaci di trovare una soluzione per la crisi e con l’Unione che non è ancora riuscita a elaborare un piano efficace di redistribuzione.

 

Gevgelija (Macedonia)/1 – Quella che doveva essere l’autostrada della “Fratellanza e unità”  è quasi finita. Per collegare Capodistria al confine greco mancano solo due piccoli tratti in Serbia e Macedonia. I cantieri sono aperti e presto anche i pochi chilometri che restano da fare saranno completati. La fratellanza si è dissolta definitivamente quasi una trentina d’anni fa, anche prima dello scoppio delle guerre jugoslave, mentre l’unità sembra ritrovata, almeno nel far fronte alla crisi migranti.

La rotta balcanica è chiusa o quasi. In Grecia, al campo profughi di Idomeni a ridosso del confine Macedone, migliaia di persone sono ammassate in attesa di poter proseguire il viaggio. Passano con il contagocce. Ieri in Macedonia sono entrate solo 400 persone. Nei mesi scorsi ne passavano a migliaia, anzi, il tutto sembrava funzionare come una sgangherata agenzia di viaggio. Adesso gli operatori umanitari che stanno al di qua della barriera, innalzata al confine Macedone, sono preoccupati si chiedono sino a quando il muro reggerà e cosa accadrà se si dovesse arrivare ad uno sfondamento.

Da Atene il polacco Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, ha invitato esplicitamente i migranti economici a non venire in Europa. Da quando l’Austria ha limitato l’accesso dei profughi, dettando il ritmo a tutti gli altri pesi della rotta balcanica, i controlli sono diventati più serrati. Un operatore di una delle organizzazioni che si occupa di assistenza ai rifugiati ci dice che le verifiche sono diventate severe e arbitrarie. Ci sono molti appunti sulle modalità usate per respingere i migranti. Passare la frontiera macedone non è garanzia che si arriverà in Germania. Le forche caudine sotto cui si passare si ripetono ad ogni frontiera e oramai anche il periodo in cui si transitava senza particolari problemi per Serbia e Croazia è finito.

Alla fatiscente stazione di polizia di Gevgelija il viavai è continuo. E’ qui che si difende la barriera. Poliziotti austriaci, cechi, slovacchi, sloveni, croati e serbi sono accorsi a dare una mano ai colleghi macedoni. Difendono il confine di uno stato che non è membro dell’Unione europea (e che probabilmente non lo sarà ancora per molto tempo), dai profughi che stanno cercando di uscire da un paese dell’Unione e dell’area Schengen: la Grecia. Ritirano rapidi il rancio e si preparano per quella che sarà una notte passata a presidiare la rete.

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    Stefano Lusa
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