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I raid russi non colpiscono l’Isis

Sul nord-ovest della Siria, una delle roccaforti dell’opposizione al regime di Damasco, ormai bombarda solo l’aviazione russa. E sempre più spesso i suoi raid fanno vittime civili. L’ultimo caso, domenica scorsa, nella città di Ariha, nella provincia di Idlib, dove le bombe russe hanno ucciso più di cinquanta persone che stavano comprando da mangiare nel principale mercato della città.

“I jet russi – ci racconta una fonte di Radio Popolare proprio ad Ariha – hanno sparato tre razzi sul mercato della frutta e della verdura, da dove ogni mattina passano centinaia di persone. Due razzi hanno colpito gli edifici, un altro è caduto in strada. I morti accertati sono 43, ma ci sono anche cinque dispersi e sei corpi non identificati”. A questo si aggiungono decine di feriti: secondo l’ospedale di Ariha almeno tredici sono molto gravi.

La zona di Ariha non è controllata dallo Stato Islamico. Nella provincia di Idlib, l’unica provincia siriana totalmente controllata dai ribelli, non ci sono miliziani dell’ISIS. Eppure l’aviazione di Mosca continua a concentrarsi su questa regione, anche Radio Popolare aveva già raccolto altre testimonianze simili. Ennesima conferma del fatto che la priorità di Putin non sia sconfiggere il Califfato ma eliminare i gruppi ribelli che stanno mettendo a rischio le posizioni del regime. Idlib è vicina al Latakia e alla costa mediterranea, la regione di riferimento per la comunità alawita siriana, la stessa alla quale appartiene la famiglia Assad. Anche il jet russo abbattuto dai turchi la scorsa settimana voleva non lontano da Idlib.

Ma come è possibile identificare i jet russi? Sulla base di quali elementi l’opposizione siriana dice che i jet che bombardano il nord-ovest della Siria, come quelli che hanno colpito Ariha, sono jet russi? “Abbiamo degli osservatori molto efficaci – ci spiega la nostra fonte da Ariha-. Alcuni militari siriani che hanno disertato e sono passati con i gruppi dell’opposizione sono in grado di captare, grazie a strumentazioni specifiche, le conversazioni degli piloti che volano sopra questa zona. Sono stazioni radio in grado di sentire i piloti che parlano con la loro base. E domenica scorsa erano russi”.

In questa regione gli aerei russi avrebbero praticamente sostituito i caccia e gli elicotteri siriani. “Sono ormai due mesi – ci conferma la fonte di Radio Popolare -che non vediamo e non sentiamo quasi più l’aviazione di Damasco”. Domenica scorsa i raid russi su tutta la provincia di Idlib sarebbero stati in tutto 75, con 77 vittime, praticamente tutte civili.

Ariha è vicina a un’importante base militare, quella di Maarat al-Numan, a lungo contesa tra esercito e ribelli. Ma oggi Ariha è molto lontana dalla linea del fronte. “I combattimenti – aggiunge ancora la nostra fonte – sono a circa 55 chilometri. In città non ci sono più miliziani. Anche per questo il bombardamento di domenica ci ha colto di sorpresa”.

La regione di Ariha, come quasi tutta la provincia di Idlib, è controllata militarmente da Jaish al-Fatah, l’Esercito della Conquista, una coalizione di gruppi armati, soprattutto islamici ma non solo. Della coalizione, nonostante alcune divergenze con le altre milizie, fa parte anche al-Nusra, il principale gruppo islamista dell’opposizione siriana, sulla carta il braccio siriano di al-Qaida.

Ma la Russia non colpisce questa regione perché ci sono gruppi islamici. Al-Nusra è cosa ben diversa dall’Isis. La sua è una battaglia contro il regime siriano, sulla base di una rigida interpretazione della religione islamica, ma sempre una campagna esclusivamente contro il regime di Assad. Nessun progetto di colpire fuori dalla Siria. Mosca sa però che questa è la minaccia principale per Damasco. I gruppi che combattono a Idlib sono quelli che in questi anni hanno dimostrato la maggior capacità militare.

Per la popolazione civile, invece, cambia bene poco. All’ennesima domanda sui jet russi la nostra fonte ad Ariha ci ricorda che alla fine la storia è sempre la stessa. “Prima erano gli aerei di Assad adesso sono quelli russi, ma in fondo noi siamo sempre sotto le bombe”.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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