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    Il “lungo berlusconismo italiano”, sessualità e biopolitica. Intervista con Ida Dominijanni.

    A cura di:

    Raffaele Liguori

    Ida Dominijanni, giornalista e saggista, ha lavorato a lungo al “manifesto”, ha insegnato Teoria femminista in varie università italiane e straniere. Attualmente si trova negli Stati Uniti, dove insegna alla Cornell University di Ithaca, nello stato di New York. E' uscito di recente un suo libro dal titolo: “Il Trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi” (Ediesse). E' il racconto del berlusconismo italiano in una chiave che supera (va oltre) le interpretazioni “classiche”. «L'interpretazione maggioritaria a sinistra – ricorda Dominijanni a Memos – è che Berlusconi sia stato una grande anomalia rispetto al modello della liberaldemocrazia. E' una cosa vera, non la contesto. Ma ancora più vero è il fatto che lui, Berlusconi, sia stato un esperimento del tutto sintomatico del neoliberalismo e della biopolitica». L'opposizione ha usato le leve giuste per contrapporsi al berlusconismo? Dominijanni racconta i limiti dei tentativi di contenimento del sistema-Berlusconi: «La sinistra avrebbe dovuto proporre un'altra estetica, un'altra passionalità, anche prendendo l'eredità dei movimenti degli anni '60-'70. Invece, abbiamo passato vent'anni ad appellarci solo alla legge». Per Dominijanni il sentiero di ricerca di questo suo lavoro porta ad una contraddizione. «Cerco di spiegare in questo libro – dice la giornalista e saggista - com'è stato possibile che una rivendicazione come quella della politicità della sessualità, che è stata propria dei movimenti di libertà del '68, ma soprattutto del femminismo, sia diventata nel corso del tempo un'arma del potere politico. C'è un rovesciamento: da un'istanza di liberazione si passa ad un uso della sessualità da parte di un potere politico».

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