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Mio fratello, ucciso dai gendarmi

Adama Traoré è morto il 19 luglio scorso, il giorno del sui 24esimo compleanno, dopo un controllo dei gendarmi alla periferia di Parigi. Una morte dovuta, secondo il pm, prima a un’infezione, poi ad una patologia cardiaca. Quando la famiglia ha chiesto e ottenuto una seconda autopsia per far luce sull’accaduto, in pochi credevano che la verità sarebbe venuta a galla. Non avevano fatto i conti con la determinazione di Assa Traoré, la sorella di Adama. Quella che, in questa famiglia di 17 fratelli di origine maliana, si è sempre presa cura dei più piccoli e oggi, a 32 anni, ha messo tra parentesi la sua vita – il lavoro e i tre figli – per dedicarsi anima e corpo alla lotta per ottenere giustizia.

Assa Traoré
Assa Traoré

Tra un’intervista, un meeting del comitato cittadino e un incontro con l’avvocato, Assa ha trovato il tempo di raccontare ancora una volta la sua versione dei fatti, basata anche sulle comunicazioni dei medici intervenuti quella sera:

“Se Adama è andato via di corsa non lo ha fatto perché aveva rubato, ferito, ucciso o fatto del male a qualcuno. Lo ha fatto perché oggi, in Francia, in questi quartieri popolari, i giovani vivono delle pressioni e una repressione violenta. Vengono picchiati dai poliziotti e dai gendarmi sin dentro la caserma o il commissariato. È successo in due tempi: hanno acchiappato Adama, lo hanno picchiato, violentato, riempito di colpi… Una persona che conosce Adama passa da lì e si mette in mezzo. Lo fa perché quelle persone non sono in divisa, non sono riconoscibili. Adama scappa e va nell’appartamento di un amico. Si mette a pancia a terra e i gendarmi arrivano, si gettano in tre su di lui, che si ritrova addosso circa 250 chili. Sono dei militari pesantemente armati che lo placcano al suolo. Adama dice ‘non riesco a respirare’, ‘mi fa male’, ma loro continuano. Adama non era armato, non c’era bisogno di usare questa violenza. Lo rimettono in piedi e lo portano in macchina. Adama dice ‘non riesco a respirare’. La testa di Adama sanguina, si fa la pipì addosso. Se un giorno avrete l’occasione di passare da Beaumont, vedrete che il luogo del fermo è a soli 300 metri dall’ospedale. Stiamo parlando di militari, che dovrebbero prestarci i primi soccorsi, aiutarci, salvarci. Solo che quel giorno hanno deciso di aiutarlo a morire”.

Oltre ad accusare i gendarmi di aver mentito e voler insabbiare il caso, Assa denuncia il discorso ufficiale:

“Subito dopo la sua morte ci hanno criminalizzati. Hanno fatto passare mio fratello per un delinquente. Non sarà più una vittima ma un criminale, mentre i carabinieri diventano i poveretti. Già dalla prima sera diranno che Adama è un tossicomane, un drogato. Il rapporto tossicologico mostra che Adama non aveva nessuna traccia di sostanze o alcol”.

Suo fratello Bagui è stato recentemente condannato a otto mesi di prigione per violenza a pubblico ufficiale in seguito agli scontri scoppiati davanti al municipio di Beaumont-sur-Oise lo scorso novembre. Il pm ha sottolineato che era già stato condannato 12 volte per furto ed estorsione, ma Assa racconta che al loro arrivo all’assemblea municipale e pubblica sono stati accolti da poliziotti in tenuta antisommossa che hanno gasato la folla, compresi donne e bambini. Oggi Bagui è accusato di tentato omicidio durante le violenze scoppiate subito dopo la morte di Adama Traoré, e ha iniziato uno sciopero della fame. Altri due fratelli sono stati fermati il 13 marzo e accusati di aver picchiato, l’anno scorso, un ex compagno di cella di Adama. La sorella Assa non ha dubbi, si tratta di accanimento:

“Bagui è il testimone principale della morte di Adama. Bagui è l’ultima persona che ha visto Adama. Bagui e Sarah. Sarah è la ragazza di Bagui, e c’era anche lei. Quindi sono testimoni che vanno criminalizzati, screditati, fatti passare per delinquenti, per racaille (feccia). Perché sono le ultime persone che hanno visto Adama a terra sul pavimento della caserma. Ma sapete che c’è? Più fanno così, più ci rendono forti. Perché quello che vogliono è destabilizzarci per farci smettere. Ma mai. Mai. Se oggi siamo qui è perché combattiamo nel nome della morte di mio fratello ed è quello che dà fastidio”.

Dopo otto mesi, l’attenzione sul caso di Adama Traoré rimane alta. Perché? Assa Traoré è una donna carismatica e particolarmente amata dai media, certo, ma non è tutto:

“La forza di Adama, della lotta per Adama, è che si tratta di una lotta locale. Tutti si sono mobilitati per lui. La sua morte ha toccato tantissime persone. Beaumont è una piccola città di novemila abitanti, ma… siamo forti. E sono fiera di questa lotta locale, di tutti questi amici e questi Beaumontois. È ciò che ci rende forti, perché senza il territorio non c’è forza”.

Assa parla con amarezza alla Francia contemporanea, ma non perde la speranza per il futuro e il comitato “Verità per Adama” continuerà a organizzare manifestazioni e a rispondere agli inviti per parlare del caso in tutto il Paese e all’estero:

“Quando succede una cosa del genere, subito cercano di chiuderci nei nostri quartieri popolari, nel loro razzismo. Sappiamo bene che in quello che ha subito Adama c’è del razzismo. Voglio dire che ce n’è stato prima di Adama, ce ne è stato durante Adama, e ce n’è stato dopo Adama. Ma oggi Adama rappresenta il male della Francia. La Francia non è un Paese di libertà, uguaglianza, fratellanza. Questo è rigorosamente falso. Oggi in Francia dividono il popolo. Ci sono i quartieri popolari e gli altri quartieri. Una parte della popolazione è sollevata, una parte è oppressa, e finché una parte della popolazione è contenta non è un problema. Ma noi abbiamo deciso diversamente. Abbiamo deciso che la lotta per Adama sarà una lotta che ci riunirà e per cui combatteremo insieme. Questa brutta Francia dobbiamo farla piegare insieme. Questi gendarmi marci li faremo piegare insieme. Ci vuole una rivoluzione! Le persone si sono battute prima di voi e di me. Le cose non cambiano così, ci vuole una rivoluzione e di questa rivoluzione devono occuparsene tutti”.

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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