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Il libertinaggio intellettuale di De Mauro

Tullio De Mauro è morto a 84 anni. Linguista, docente universitario, saggista, intellettuale e ministro della Pubblica Istruzione dal 2000 al 2001 nel governo Amato, era nato a Torre Annunziata nel 1932.

Silvia Giacomini ha chiesto un ricordo di De Mauro all’enigmista Stefano Bartezzaghi.

“Ci vorrebbe tanto tempo per dire chi è stato Tullio De Mauro. Anzitutto è stata la persona che ha messo la questione della lingua italiana di fronte all’Italia e l’ha posta nel momento in cui la questione cominciava a essere tale, nei primi anni Sessanta. Nel 1963 De Mauro scrisse la Storia linguistica dell’Italia unita, che era anche una storia sociale e politica. A quel punto la lingua non era più una questione accademica – studiare le radici e le desinenze, per dirla superficialmente – ma diventava qualcosa che aveva a che fare con la costruzione dell’identità italiana.

Tullio De Mauro ha avuto anche tantissimi altri meriti e cose discusse, come la sua riforma universitaria da ministro. Ma soprattutto ha sempre pensato la lingua come lo snodo tra la società e la sua cultura e questo gli ha sempre dato una posizione di grandissima centralità nella cultura italiana.

E poi vorrei dire un’altra cosa: oggi che ricordiamo Tullio De Mauro è proprio il giorno in cui Umberto Eco avrebbe compiuto 85 anni. Erano entrambi del 1932, erano anche amici, avevano fatto anche degli scherzi insieme. Ed entrambi hanno rappresentato, da un lato, un’idea di cultura molto tecnica e molto seria, in dialogo con tutti gli altri saperi, compresi quelli scientifici, però allo stesso tempo erano persone che sapevano divertirsi. Restituivano un’idea viva e vivace della cultura anche dal punto di vista del franco divertimento. Di questo dobbiamo essere grati e da questo dobbiamo imprarare qualcosa, perché invece negli anni in cui noi – pallidi nipotini – stiamo agendo, parlare di cultura sembra un rassegnarsi a essere persone seriose”.

Anche lei è uno che si diverte con la lingua. Che cosa rimane di questi due grandi, che lei ha messo insieme grazie a una data, il 5 gennaio, in una lingua che è sempre più rapida, più ridotta all’osso?

“Mah, un uso così rapido della lingua fa parte anche quello del divertimento. Penso che uno come Tullio De Mauro farebbe notare che con questi sistemi tutti si sono rimessi a scrivere, anche persone che prima di questi nuovi mezzi non scrivevano”.

Quindi De Mauro vedrebbe il bicchiere mezzo pieno?

“C’è sempre un aspetto di bicchiere mezzo pieno. La lingua si impoverisce di certi usi perché si estende moltissimo e viene parlata da persone che una volta si sarebbero limitate a un dialetto e a una competenza linguistica molto minima. Io penso che la cosa che dovremmo riuscire a ripetere e a imparare da figure come quella di De Mauro e di Eco – anche se adesso è addirittura più difficile – è la loro libertà intellettuale. Direi persino il loro libertinaggio intellettuale, il fatto di flirtare con altre discipline, con altri modi di vedere, il loro inserimente nella società fuori dagli specialismi. Non erano intellettuali che facevano gli intellettuali, mentre oggi sembra che non ci sia via di mezzo”.

Si ricorda come conobbe Tullio De Mauro?

“Me lo ricordo benissimo. Lo conobbi una prima volta incontrandolo in treno, non ci presentammo nemmeno, io non ero nessuno. Lui era con sua moglie e io avevo di lui un’immagine di un grande professore e il decano di tutti i linguisti italiani. Sentendo i loro dialoghi mentre lavoravano, leggevano, chiacchieravano in treno, ho scoperto una persona molto spiritosa. Qualche anno dopo mi ha invitato a un convegno a parlare di enigmistica e linguistica – tema che peraltro nessuno prima aveva affrontato – e anche in quell’occasione si è confermato una persona veramente molto molto spiritosa che riusciva a uscire benissimo dalla toga”.

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