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E’ il G.O.P. di Donald Trump

Donald Trump vince in Indiana e diventa il presunto, probabile, quasi certo candidato dei repubblicani alla Casa Bianca.

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Il risultato nello Stato, atteso ma non per questo meno eclatante, consegna a Trump oltre il 53 per cento dei consensi. Ted Cruz, che in Indiana aveva stipulato un accordo di desistenza con John Kasich, non supera il 36 per cento e annuncia il suo ritiro. “Abbiamo dato tutto. Ma gli elettori hanno scelto un’altra strada”, ha detto. La sconfitta in Indiana è particolarmente bruciante per il senatore del Texas. Lo Stato ha una forte base di conservatori e religiosi, e qui Cruz aveva messo in piedi una straordinaria macchina elettorale, con centinaia di volontari e migliaia di elettori raggiunti con una campagna porta a porta.

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In campo democratico, Bernie Sanders conquista il 52,5 per cento dei voti e batte Hillary Clinton. “La campagna non è finita”, ha detto il senatore del Vermont all’arrivo dei risultati.

Il voto in Indiana ha però un carattere storico soprattutto per i repubblicani. Dopo essersi aggiudicato tutti i 57 delegati in palio, Trump a questo punto ha la possibilità di conquistare la maggioranza dei 1237 delegati necessari alla nomination prima di arrivare alla Convention di Cleveland. La cosa fa naufragare i piani della leadership repubblicana, che sperava di arrivare a una “contested Convention”, spostando i delegati di Trump su un altro candidato. A questo punto, il tycoon newyorkese appare destinato a toccare soglia 1237 delegati ben prima di Cleveland.

Il carattere inedito di quanto successo in queste settimane, in questi mesi, e culminato nella notte in Indiana, è più evidente se si guarda alla storia. Donald Trump sarà il primo candidato, dopo il generale Dwight D. Eisenhower, a rappresentare i repubblicani in un’elezione senza aver mai avuto un precedente incarico politico. Trump è diventato un “repubblicano registrato” nell’aprile 2012. Per anni, le sue simpatie politiche, e milioni in finanziamenti, erano andati ai candidati democratici. Su molte questioni – dall’aborto al controllo delle armi, dal commercio alle tasse – le sue posizioni sono per anni state antitetiche a quelle del G.O.P.

Dopo il voto in Indiana, Trump ha ringraziato i sostenitori dalla “sua” Trump Tower sulla Fifth Avenue, a New York. Rispetto al passato, è apparso meno propenso a gesti e dichiarazioni eclatanti. Ha detto di essersi trovato nel mezzo “di un anno incredibile” e ha rivolto alla leadership un appello a dimenticare gli scontri del passato. “Vogliamo portare unità nel partito repubblicano”, ha detto, facendo poi riferimento alle donne, un segmento di elettorato che non gli è sempre stato favorevole. “Adoro vincere con le donne”, ha spiegato Trump, minimizzando poi i suoi cattivi ratings tra ispanici e afro-americani. “Vinceremo, vinceremo a novembre. E vinceremo alla grande”, ha concluso.

In campo democratico, la vittoria di Bernie Sanders ridà fiato alla campagna del senatore ma non aumenta le sue probabilità di vittoria. I numeri continuano infatti a favorire ampiamente la Clinton, che prima del voto in Indiana aveva circa 300 delegati di vantaggio su Sanders. Il buon risultato in Indiana – che anticipa probabili risultati positivi per il senatore in altri Stati a larga maggioranza bianca, la West Virginia e l’Oregon – ha comunque un significato politico importante. Sta a significare che il suo appello a una maggiore giustizia sociale, a una redistribuzione delle risorse economiche, mantiene un forte attrattiva ed è capace di mobilitare larghi settori del voto progressista.

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E’ il messaggio che Sanders vuole portare alla Convention democratica di Philadelphia, e far entrare nella piattaforma ufficiale del partito che verrà scritta in quell’occasione.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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